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#5 - Fieri della Resistenza perché... perché insegna a disubbidire e a pensare

“Il primo significato di libertà che assume la scelta resistenziale”, ha scritto Claudio Pavone, “è implicito nel suo essere un atto di disobbedienza. Non si trattava tanto di disobbedienza a un governo legale, perché proprio chi detenesse la legalità era in discussione, quanto di disobbedienza a chi aveva la forza di farsi obbedire. Era cioè una rivolta contro il potere dell'uomo sull'uomo, una riaffermazione dell'antico principio che il potere non deve averla vinta sulla virtù”.

I contadini...
Quando dopo l’8 settembre 1943 la guerra entrò nelle case degli italiani e delle italiane, ogni giorno bisognava decidere cosa fare. Non fu facile, per molti, ma le città e le campagne si rivelarono capaci di grande coraggio. Nonostante le ordinanze e i proclami dei nazifascisti, feroci, proibissero ogni sorta di solidarietà con i perseguitati, la gente imparò a disubbidire e fin dalle prime ore dell'occupazione migliaia di famiglie nascosero e ospitarono uomini e donne in fuga: militari alleati, sbandati e antifascisti, ebrei. Nei confronti degli ex prigionieri alleati la solidarietà – quella contadina in particolare- non conobbe remore di sorta. All' 8 settembre 1943, in Italia questi erano raccolti in 72 campi e in 12 ospedali. Erano circa 85 mila. Un terzo di essi si inabissò nel mare delle campagne italiane scomparendo agli occhi dei tedeschi e dei fascisti. Fu un’opera disinteressata e rischiosa; per chi dava ospitalità a un ex prigioniero era pronta l’accusa di tradimento, mentre veniva riconosciuto un premio di 1.800 lire e chi ne permetteva la cattura. Altrettanto indiscutibile fu la generosità con la quale, al Nord, i contadini si presero cura degli sbandati dell’esercito. "Caddero le barriere razziali," ha scritto Nuto Revelli "anche i ‘terroni’ adesso erano italiani da aiutare. Saltarono fuori giacche, pantaloni, gli indumenti borghesi dei figli lontani, dei figli dispersi o morti sui vari fronti di guerra". A essere rinvigorita fu l'antica tradizione dell’ospitalità contadina, atto disinteressato, dovuto a chi è incapace di recare offesa, povero tra i poveri. E in questo caso, il rapporto che si instaurava con il contadino era il legame più semplice tra uomo e uomo: quello di chi ha bisogno e chiede, e di chi lo aiuta come può, senza gesti superflui.
Gli operai...
In molti altri impararono a protestare: gli scioperi del marzo del 1944 nel triangolo industriale – Genova, Torino, Milano – furono un evento unico nell'Europa occupata dai tedeschi. Se negli scioperi che avevano punteggiato il corso del 1943 sembravano prevalenti i motivi economici (le rivendicazioni salariali) e la richiesta della pace, nel 1944 quelle lotte assunsero un aspetto decisamente politico e si configurarono come uno scontro aperto con la Repubblica di Salò e l’occupazione tedesca. Il 1 marzo, su invito del Comitato di liberazione nazionale che aveva proclamato lo sciopero generale, si mobilitarono gli operai, soprattutto a Torino e Milano, appoggiati dai partigiani impegnati in azioni di sabotaggio. L’agitazione si protrasse all’incirca per una settimana e richiamò l’attenzione del “New York Times”, subito attento ad evidenziare il carattere “di classe” assunto dalla lotta contro i tedeschi. L’occupazione nazista prevedeva infatti lo sfruttamento intensivo delle risorse industriali italiane e non poteva prescindere dalla normalizzazione dell'attività produttiva. Per questo gli operai furono al centro delle attenzioni dei tanti uffici che agivano sul nostro territorio: tutti si adoperarono perché le fabbriche italiane continuassero a produrre per la guerra e per assicurare a quelle tedesche un afflusso continuo di manodopera. Gli occupanti esercitarono quindi una pressione continua sui lavoratori italiani e gli scioperi provocarono un’ovvia, rabbiosa reazione. Oggi si stima che circa 12.000 operai vennero deportati nei campi di concentramento tedeschi in seguito ad azioni di sciopero. Ciò nonostante, proprio la riappropriazione su vasta scala dello sciopero, un arma di lotta per venti anni bandita dal fascismo, e la riconquista dell'agibilità politica della fabbrica, ritornata a essere un centro di organizzazione e di autonomia, furono la testimonianza di comportamenti segnati da un marcato protagonismo politico.

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