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#3 - Fieri della Resistenza perché... perché è una rivoluzione morale

“Allora i partiti, al bando da vent’anni, cercavano per lo più di collaborare, le persone erano costrette dalla situazione a svelare il loro vero volto e le loro capacità. Le ideologie, nell’impatto con la violenza degli eventi si rivestivano di concretezza. I veri valori non offuscati dalla civiltà dei consumi, tralucevano tra le scorie” così scriveva Leletta d’Isola nel 1985 ripensando agli anni della Resistenza.

A Villar di Bagnolo, nella Valle del Po, c’è un Castello, risalente agli anni Mille; ai piedi della sua altura, una grande casa patrizia, il Palàs del XIV sec. con un parco e alberi secolari. Sono le residenze dei feudatari del posto, i baroni Malingri. In quelle dimore, abitate ininterrottamente per sette secoli dalla stessa famiglia, tra il 1943 e i 1945 vissero la baronessa Caterina Malingri di Bagnolo (“la Baruna” come tutti la chiamavano) e suo marito il barone Vittorio Oreglia d’Isola. Con loro, ospiti, parenti, domestici e i due figli, Leletta e Aimaro studenti liceali. A Villar, tra quelle mura, per tutti i venti mesi della lotta partigiana, Leletta tenne un diario che oggi ci appare come uno dei documenti più straordinari scritti in quel periodo. Leletta aveva allora 17 anni (era nata nel 1926); cattolica fervente, era sorretta da una vocazione già pronta a sbocciare. Il 9 giugno 1944, nella cappella delle Suore del Cenacolo a Torino, Leletta divenne Figlia di Maria. La sua fu una vocazione abbracciata con impetuosa, giovanile freschezza; quella stessa che oggi imprigiona nelle pagine del suo diario lo sguardo di una fanciulla affacciata sugli orrori della guerra con la spensieratezza dei suoi anni ma anche con la consapevolezza che le deriva da una fede religiosa precocemente solida e strutturata. Al castello si insediò il comandate della Formazioni Garibaldi della Valle, Pompeo Colajanni. Tra la futura suora e il partigiano comunista si intrecciò un rapporto di stima profonda. Quella vicenda offre oggi un irripetibile spaccato della dimensione umana, culturale e religiosa della Resistenza. Nel 2013 si è stata avviata la causa di beatificazione di Leletta.
Allora, nei venti mesi della Resistenza, Leletta, cattolica e aristocratica, rifiutò di stare a guardare e scelse di stare dalla parte dei partigiani. Erano diversi da lei per tante ragioni, ma riconobbe in loro valori profondi che non poteva non condividere. Entusiasmo, passione politica e civile, generosità venivano messe in campo spontaneamente per costruire un paese migliore. Dalla scelta di Leletta si capisce come la Resistenza sia stata anche una rivoluzione morale, una sferzata di attivismo, un’ondata di dinamismo in grado di rompere la crosta dell’immobilismo, del conformismo, del trasformismo.
Nella Resistenza ci fu la rottura del principio autoritario del "ciascuno al suo posto", la cancellazione di "ogni differenza fra i politici e la gente comune", in un universo in cui – come scriveva Carlo Levi- "ciascuno faceva quello che faceva con naturalezza, in un mondo indipendente e senza compartimenti stagni, nelle fabbriche, sul lavoro o nel governo locale del Comitato di Liberazione", alimentando una straordinaria esperienza di "democrazia diretta" vissuta, prima ancora che nel "cielo" della politica, direttamente nel cuore e nelle coscienze degli uomini; allora "tutti si capivano: in città e in campagna: e si poteva battere a tutte le porte, e si aprivano senza bisogno di parole d'ordine. Ci si riconosceva, così allo sguardo, a fiuto. Si era tutti d'accordo".

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