Storia dell'Italia partigiana
Pubblicato presso l’editore Laterza nel 1966, Storia dell’Italia partigiana è il primo libro “di storia” del giornalista Giorgio Bocca. Già inviato tra i più importanti del paese, Bocca inizia con questo volume una tradizione di scrittura storiografica che conta numerosi titoli e che Feltrinelli intende riproporre al pubblico di oggi.
Scritta con la felicità di racconto e l’acutezza nell’osservazione e nella descrizione del grande cronista, questa Storia rimane, a distanza di decenni, uno dei migliori libri che siano stati scritti su quel periodo, per l’equilibrio dello sguardo e per la chiarezza con cui questo momento fondante della storia repubblicana viene restituito al lettore nella sua drammaticità, ma anche nella sua importanza. “Bocca è stato soprattutto un partigiano. Sono stati quei ‘venti mesi’ di guerra partigiana che l’hanno rivelato a se stesso: che ne hanno fatto quello che poi sarà e che noi abbiamo conosciuto,” scrive Marco Revelli nella sua Prefazione a questo volume. In decenni che ormai scivolano verso una generale dimenticanza dei valori della Resistenza, dei suoi eroi e delle sue tragedie, sempre più spesso si è assistito al tentativo di fare del revisionismo sulla guerra partigiana, e non sempre a un sufficiente livello scientifico e culturale. La Storia dell’Italia partigiana di Bocca è senza dubbio un potente antidoto a questa deriva, in cui si ritrovano, senza semplificazioni assolutorie ma con tutta la forza di chi ha partecipato in prima persona, le ragioni di una lotta senza la quale l’Italia repubblicana non sarebbe mai nata.

 

Grazie no
Forse ci siamo assuefatti all’Italia di oggi: cose che dovrebbero farci indignare passano sotto silenzio, discorsi che non si dovrebbero sopportare sono ormai moneta corrente, idee come minimo discutibili sono invece comunemente accettate. Giorgio Bocca non intende però rassegnarsi, e in questo pamphlet alza la voce per denunciare le scorciatoie del pensiero unico, a cui si deve rispondere con un sonoro e liberatorio: "Grazie, no!"
E se è ormai quasi un’abitudine anche l’indignazione, anche il cinico e soddisfatto luogo comune secondo cui l’Italia è ormai perduta, preda delle sue ataviche tare e dei suoi vizi ineliminabili, Bocca ci ricorda con l’autorità del testimone e la vividezza del grande cronista che già altre volte (ultima la guerra partigiana, così vicina e così preziosa) l’Italia fu sul punto di soccombere, ma gli italiani seppero trovare in loro stessi la forza di salvarsi.



 

Fratelli coltelli
In questo libro-antologia è raccolto in modo organico e sistematico il meglio della produzione “storica” di Giorgio Bocca, articoli che a suo tempo hanno rivoluzionato lo stesso modo di fare inchiesta e quindi il giornalismo italiano, quando “l’Anti-italiano” per eccellenza si mischiava ai pendolari che al mattino presto si recavano al lavoro nel Triangolo industriale o descriveva gli abbacinanti fasti del Miracolo italiano. Dalla caduta del fascismo alla Resistenza, dall’eredità della dittatura al boom economico degli anni sessanta, dal Sessantotto al fattore K., dagli anni di piombo alla fine del fordismo, dalle mafie al leghismo e all’ascesa del berlusconismo: tutti i grandi temi storici e civili che hanno contrassegnato la storia nazionale dal secondo dopoguerra sono qui al centro di un libro straordinario, specchio di antichi mali e al contempo di caduche virtù.




 

Annus Horribilis
La crisi economica e l’autoritarismo strisciante, il circo berlusconiano e il discredito internazionale. Il suicidio della sinistra e il ritorno dei fascisti. L’Italia delle ronde e l’Italia dei respingimenti. Il 2009 sarà ricordato come un anno nero della nostra storia. Un anno in cui molti nodi sono venuti al pettine, tutti insieme, e ci hanno riconsegnato un paese stanco, involgarito, ripiegato su se stesso e sui suoi atavici difetti.
Giorgio Bocca racconta il nostro Annus Horribilis con la veemenza e l’intransigenza di cui può essere capace solo un grande ?antitaliano” come lui. La sua è un appassionato j’accuse contro i mali apparentemente inestirpabili della nostra vita pubblica: il trasformismo, l’opportunismo, la memoria corta, la furberia diffusa, l’impunità, l’ossequio al potente di turno.



 

È la stampa, bellezza!
Nessuno meglio di Giorgio Bocca può aiutarci a riflettere sulla crisi che sta vivendo oggi la professione di giornalista. In Italia (e non solo) la carta stampata appare schiacciata dalle pressioni della politica e dell’economia, incapace di reagire allo strapotere della comunicazione televisiva, non più in grado di scandagliare i mutamenti reali della società. Orfani di grandi battaglie, i giornali perdono copie e non riescono ad attirare un pubblico di lettori più giovani. Per capire come si sia giunti a questo punto, Bocca parte da alcuni snodi fondamentali della sua più che sessantennale carriera: le grandi inchieste degli anni sessanta, la fondazione di “Repubblica”, la sua stessa esperienza televisiva. Racconta il lavoro con direttori e compagni di strada. Ricostruisce anni di travagliati rapporti con i protagonisti della politica (da Craxi fino a Bossi e Berlusconi). E non risparmia critiche a chi ha portato l’informazione in un vicolo cieco. Letta sullo sfondo della sua eccezionale storia personale, la crisi di oggi appare una crisi di professionalità, di credibilità e di stile. Ma soprattutto una crisi di etica e di forti motivazioni ideali, senza le quali il giornalismo non potrà riconquistare il ruolo centrale che ha svolto in passato.



 

Il provinciale
Il “romanzo” di Giorgio Bocca. La memoria spavalda, insolente, appassionata di un “provinciale” che ha attraversato settant’anni di vita italiana. Un provinciale che, in quanto personaggio guida di questa autobiografia, balza fuori continuamente. Emerge con il tratto burbero della disciplina sabauda, scivola con severa curiosità sul Paese che cambia, si staglia come il vero protagonista della storia sociale italiana: è lui, il provinciale che va alla conquista del mondo, protetto dalla certezza borghese, sospettoso e al contempo permeabile al nuovo. Consapevole di sé e della sua formazione, Bocca ci restituisce un cammino che penetra nel tessuto connettivo del nostro Paese, sommando personaggi minori e personaggi maggiori, il rumore del mondo e il chiacchiericcio intellettuale. La Topolino degli anni cinquanta e dei primi anni sessanta sembra aprire una immaginaria pista che arriva sino a noi, per un giornalismo “on the road” che è sempre stato un tratto forte del lavoro di Giorgio Bocca. Dal “cumenda” Angelo Rizzoli al “cavaliere” Berlusconi, da Enrico Mattei “onesto e corruttore” al generale Dalla Chiesa tre settimane prima della morte, i ritratti si animano, memorabili, tolstojanamente protagonisti di quella “marcia inesorabile degli eventi” che è la Storia.

 

Le mie montagne
Nel giugno del 1940 l'esercito italiano attacca la Francia sul confine alpino: i francesi sono già prostrati dalla disfatta appena subita a opera dei tedeschi, ma i fanti italiani avanzano con enorme fatica e l'equipaggiamento inadatto miete più vittime, per assideramento, delle pallottole nemiche. "Alla prova della montagna il fascismo era già finito," scrive Bocca.
Bocca ha girato il mondo e all'Italia ha dedicato i suoi più recenti e appassionati libri: qui ritorna alla "patria alpina", alla provincia incastonata tra le montagne da cui proviene e che diventa in Le mie montagne il crogiuolo in cui si mettono alla prova gli uomini e le idee.
Dalla grande schiatta piemontese dei maestri di antifascismo – i Gobetti, i Galimberti, gli Einaudi, i Bianco – al rapporto con i valligiani nella Guerra di Liberazione, alla scoperta dell'eredità occitanica tra Piemonte e Francia, dalla provincia eterna che produce buoni alimenti ma è politicamente sempre rivolta al passato, fino alle montagne amatissime in cui ha passato la sua giovinezza di forte sciatore e che sono ora anch'esse vittime dell'industrializzazione, trasformate in palestre meccanizzate per il tempo libero.

 

Napoli siamo noi
Sotto il tacco della camorra, annegata nell'illegalità, strozzata dal traffico e dall'abusivismo, umiliata dal servilismo e dal clientelismo, Napoli muore: ma siccome muore da troppi anni nessuno ci fa più caso. ?Napoli è un caso a parte”, ?Napoli è sempre stata così”, ?Queste cose succedono solo a Napoli”: se Napoli è unica ed eterna, allora ce ne possiamo fregare, non ci riguarda e comunque nulla si può cambiare. La verità che Giorgio Bocca ha scoperto era sotto gli occhi di tutti, bastava andare a vederla come ha fatto il grande cronista: Napoli ha, elevate a potenza, malattie molto simili a quelle del resto d'Italia e la sua patologia più grave non è nemmeno la camorra, ma come in tutto il Sud, il Centro e il Nord, è l'immoralità e la vigliaccheria della politica, che fa affari, che cerca il consenso costi quel che costi, che fa finta di non vedere.

 

L'Italia l'è malada
Dopo Piccolo Cesare dedicato alla figura e alle ambizioni di grandezza di Silvio Berlusconi e Basso Impero che si concentrava invece – profeticamente come si è visto – sui disastri del maldestro e violento Impero americano di George W. Bush, Giorgio Bocca consacra questo suo ultimo libro di denuncia alla società italiana e alla sua crescente e passiva accettazione del regime berlusconiano. Lo ?sguardo lungo” di Bocca – che non si misura sulle brevi oscillazioni dell’attualità politica –, al di là del recente indebolimento elettorale di Forza Italia e del suo leader, vede il risorgere del pericolo autoritario proprio nell’atteggiamento rassegnato e cinico diffuso anche tra coloro che non si riconoscono nel progetto di smantellamento della Costituzione, della giustizia e della solidarietà sociale perseguito dalla Destra. A un potere arrogante e privo di pudore, che si esalta in quotidiane apologie di reato e sta acquisendo un controllo non più mediato ma immediato su tutta la società italiana – dalla tv ai giornali, dallo sport agli affari, il presidente del Consiglio e i suoi uomini decidono direttamente il che cosa, il come, il quando e il quanto – fa riscontro una società civile disattenta, volubile (ieri tutta dietro Mani pulite, oggi in maggioranza contro i giudici), intontita dal consumismo e dal sesso, le merci uniche della tv interamente in mano governativa. Il traguardo verso il quale ci stiamo avviando a grandi passi è quello di una democrazia puramente negativa, di pura tolleranza. Non si incarcerano né si torturano gli oppositori, ma il controllo decisionale è interamente sottratto ai cittadini ai quali rimane soltanto – beninteso non sui mass media che davvero contano – il ?diritto di mugugno”. Per un’Italia nata dalla Resistenza, cresciuta nel miracolo economico e capace ai suoi tempi di sconfiggere il terrorismo e impostare una coraggiosa lotta contro la corruzione politica, è una prospettiva davvero poco confortante.

 

Partigiani della montagna
Sessant'anni fa, a guerra appena finita, Giorgio Bocca ha scritto questo saggio sui partigiani delle montagne, in senso più lato sulla Resistenza. Un saggio che semplicemente vuol dire ai revisionisti dell'ultima ora: le cose sono andate esattamente così. Una minoranza di italiani, i soliti mille delle imprese disperate, ha raccolto dal fango in cui erano state gettate le stellette del popolo in armi e, senza eroismi e senza retorica, ha messo in piedi in venti mesi la Resistenza più forte in Europa dopo quella iugoslava. Quarantacinquemila partigiani caduti, ventimila feriti o mutilati, gli operai e i contadini per la prima volta partecipi di una guerra popolare senza cartolina precetto, una formazione partigiana in ogni valle alpina o appenninica, un comitato di liberazione in ogni città e villaggio, l'appoggio della popolazione, la cruenta, sofferta gestazione di una Italia diversa, la fatica paziente per armare e far vivere un esercito senza generali. E alla fine tutti a casa senza ricompense e privilegi.
"Attraverso la somma dei sacrifici e dei dolori sopportati, col grandioso apporto dato alla causa della libertà, con i risultati militari ottenuti, il movimento partigiano è riuscito ad assumere un significato morale di valore altissimo. Ha riscattato dinnanzi al mondo, insieme a coloro che nei campi di Germania tennero fede alla loro patria, la dignità del popolo italiano; ha dimostrato, ben altrimenti che gerarchie e facili affermazioni verbali, la sua volontà di essere un popolo libero degno di essere riammesso nella vita delle libere nazioni."

 

Basso impero
Grazie a un’inedita mistura di fondamentalismo religioso e fondamentalismo economico, la superpotenza globale di Bush procede, tra lo stupore dell’Europa e del mondo, ad attuare il suo disegno di conquista economica e controllo militare. Ma lo stupore, argomenta Bocca, non ha ragion d’essere: il modello democratico americano è sempre stato fin dai suoi inizi legato alla ricchezza – vista come premio divino – e alla conquista, assai poco sensibile invece alle tematiche sociali e all’egualitarismo, a differenza dell’Europa, nella quale non solo la sinistra ma anche la destra ha sviluppato nel tempo una sensibilità sociale. Fino alla Seconda guerra mondiale il modello americano è stato una merce per il consumo interno, ma con la Guerra fredda, poi con il liberismo reaganiano e infine con il crollo dell’Urss il capitalismo aggressivo di marca Usa è diventato merce d’esportazione.
Il fatto nuovo, semmai, è la progressiva caduta delle giustificazioni, dei pretesti di cui si ammantava: anche Napoleone nelle sue guerre aveva i banchieri al seguito, ma oggi la divisione delle spoglie belliche è addirittura pianificata a tavolino da un consesso di petrolieri e affaristi alla corte del presidente. Questa evoluzione non è rimasta senza conseguenze gravi anche nel paese da cui si è generata: l’informazione da indipendente si fa sempre più subalterna al potere politico e militare e i diritti degli individui vengono intaccati sia negli Usa sia nei territori da loro controllati.
Mentre tutti, persino coloro che non ne condividono il progetto globalistico, si affannano a negare l’esistenza dell’Impero – per paura di essere accusati di antiamericanismo o peggio di connivenza con il terrorismo islamico – l’Impero, ci dice Bocca in questo suo durissimo nuovo j’accuse, esiste, colpisce e colpirà ancora.

 

Piccolo Cesare
La chiave del libro è nel considerare Silvio Berlusconi come un fenomeno non strettamente italiano, ma come il prodotto di una degenerazione della democrazia in atto in tutto il mondo occidentale: dall'America di Bush e del caso Enron, alla Francia in cui la sinistra vota in massa per Chirac trascurando l'opposizione a Le Pen, all'Inghilterra pseudolaburista di Blair, all'Austria di Haider fino all'Olanda di Fortuyn. Berlusconi è il sintomo italiano di una malattia mondiale che si può individuare in buona parte nel dominio assoluto del denaro sulla politica e nel liberismo sfrenato. In questa visione, il governare esclusivamente per i propri interessi, l'uso sistematico della menzogna, la demonizzazione degli avversari, lo screditamento di tutte le istituzioni e i poteri autonomi, la furia di produrre a ogni costo leggi nuove che eliminino le tracce del sistema precedente, sono l'espressione di un'anomalia italiana che sta dentro la generale anomalia di tutte le democrazie occidentali.
Mentre alcuni aspetti del fenomeno Berlusconi possono apparire folcloristici, la sua sostanza non lo è affatto, ma è anzi l'anticamera di una qualche forma postdemocratica di società che non sarà probabilmente un regime con tanto di lager e polizia segreta, ma neppure la società aperta che sembrava a portata di mano dopo la fine della Guerra fredda.