Antonio Tabucchi: Italia, beato il Portogallo

01 Gennaio 2002
Il 21 ottobre scorso su questo giornale uscì un mio articolo intitolato «L’Italia alla deriva». Era un articolo apparso il giorno prima su «Le Monde» che altri giornali italiani cosiddetti indipendenti avevano rifiutato di pubblicare. Esso si riferiva al fatto che se oggi in Italia il Presidente della Repubblica davanti alla lapide di un partigiano afferma che i repubblichini combatterono comunque per l’onore della Patria e l’unità d’Italia, è meglio acconsentire o almeno tacere.
Il mio articolo dissentiva, per questo fece scandalo, e non solo fra tutti quei giornali (e sono molti) che oggi ai «valori» repubblichini si richiamano. Perfino un giornalista televisivo, che viene pagato con i nostri canoni ma che si scambia per un portavoce del governo, mi indicò alla pubblica disapprovazione: segnalato. Che certi princìpi costituzionali, come quello che l’Italia sia una Repubblica nata dalla Resistenza e si fondi sull’antifascismo, siano guardati con sospetto e avversione è oggi palese. La Costituzione Italiana è un ostacolo alla classe politica al potere: l’impegno è farla fuori al più presto.
Negli ultimi giorni uno dei poteri costituzionali fondamentali su cui si regge l’equilibrio democratico, la Magistratura, è stata oggetto di attacchi da parte del potere politico impensabili in qualsiasi altro Paese europeo. Il disegno è chiaramente eversivo. Per abbattere la Costituzione e installare un regime è necessario minare gli equilibri costituzionali. Il 5 dicembre l’Associazione Nazionale Magistrati, dopo le parole eversive rivolte al potere giudiziario dal ministro della Giustizia, il leghista Castelli, si è dimessa. Il bubbone creato dai finanzieri, che per non essere processati sono scesi in politica, è scoppiato creando un conflitto istituzionale senza precedenti nel dopoguerra italiano.
Uno squilibrio di poteri così allarmante non si era mai verificato. Ma, come dice la Costituzione, c’è un garante supremo della Costituzione: il Presidente della Repubblica. Il 5 dicembre, giorno delle dimissioni dell’Associazione dei Magistrati, il garante della Costituzione era in visita ufficiale a Lisbona, dove gli sono state celermente inviate da firmare le dimissioni dell’avvocato Taormina, il sottosegretario alla Giustizia che ha aperto il fuoco a raffica sui magistrati lasciando poi la mitragliatrice in mano al proprio ministro. Il Portogallo, istituzionalmente, è un Paese giovane, più giovane del nostro. Nel 1974 è uscito dalla dittatura fascista di Salazar durata quasi cinquant’anni, la più lunga d’Europa. E nel ritrovare la sua libertà, il Portogallo ha elaborato la sua Costituzione democratica ispirandosi in parte a quella italiana (ricordo bene gli anni della Costituente portoghese, ho conosciuto alcuni costituzionalisti e so con quale attenzione guardassero alla nostra Carta Costituzionale). E la Costituzione portoghese, come la nostra e come del resto le altre Costituzioni europee, si basa sulla distinzione dei poteri, con una distinzione molto netta tra potere politico e potere giudiziario. In quel Paese di navigatori, dove tali poteri per fortuna sono davvero separati e autonomi, il nocchiero della Costituzione Italiana, proprio nel giorno in cui l’espressione di uno dei nostri poteri istituzionali, sopraffatto dalle ingiurie, presentava le proprie dimissioni, ha fatto un discorso solenne, come si addice ai Capi di Stato, affermando che la democrazia si fonda sulla divisione dei poteri, e se uno sopraffà l’altro, buonanotte suonatori.
Parole sante! Mai affermazione parve più opportuna agli sparuti giornali democratici sopravvissuti nel regime italiano caratterizzato dal monopolio dell’informazione. Grandi titoli rassicuranti hanno occupato le prime pagine di pochi rispettabili giornali: Ciampi difende la distinzione dei poteri, era il senso comune dei loro fieri titoli. Capisco la loro fierezza: è confortante, anche se forse illusorio in uno Stato in via di fascistizzazione, avere un Capo dello Stato che ha il senso dello Stato.
Ma è arrivata la sera del 6 dicembre con i suoi telegiornali della sera che riescono ad essere a reti unificate, pur trasmettendo in orari diversi. Il garante della Costituzione Italiana era a Oporto, bella città sul fiume Douro, dai vini prelibati. E al cronista televisivo che seguiva il suo viaggio ha tenuto a fare una specificazione. Guardate, ha detto, che il mio discorso era stato preparato qualche giorno prima e dunque non ha niente a che vedere con la situazione italiana attuale: lungi da me. E poi ha aggiunto che lui, all’estero, non parla dell’Italia. Al contrario di Berlusconi, aggiungo io. Insomma (questo era il senso della sua specificazione), il suo era solo un discorso «teorico», con la realtà del suo Paese non ha niente a che vedere. Chi pensava che un discorso di elementare filosofia politica che vale per tutte le democrazie valesse anche per l’Italia, deve ricredersi. Ci spiace, ma esso vale evidentemente per il giovane Portogallo, dove la distinzione dei poteri istituzionali vige in maniera sana. In Italia, dove tale divisione è stata menomata, il discorso non è valido. E in America, mi chiedo, il principio è ancora valido?, e in Guatemala?, e in Cecenia? O bisognerà adattare questo principio a seconda dei Paesi a cui ci si riferisce?
L’Italia alla deriva, dunque. Quel titolo, che un mese fa faceva scandalo, oggi appare eufemistico. L’Italia è semplicemente allo sbando. E credo sia necessario e urgente informare e mettere in guardia (fino a quando ci sarà consentito) i cittadini che questo sbando non approvano e che sentono di non far parte della ciurma di questa nave. In un’epoca in cui appare vincente come mai la logica lapalissiana del Manzoni, e cioè che chi il coraggio non ce l’ha non se lo può dare, credo sia inutile aspettare salvatori della patria o miracoli: Padre Pio può guarire l’epilessia, ma la Costituzione non è di sua competenza. E in questi tempi di revisioni sarà bene anche rivedere l’immagine che i secoli hanno depositato sulla figura di Ponzio Pilato: forse era solo un uomo super partes, dipende dai punti di vista. Ma chi pensava che ci siano solide garanzie democratiche è bene che rifletta. Inviolabilità del domicilio e perquisizioni solo su mandato del magistrato? Ma se i magistrati non ci sono più il mandato di perquisizione lo firma direttamente il ministro. Anzi, non c’è bisogno neppure che lo firmi: basta un agente dei Servizi che bussa autorevolmente alla porta. È il diritto di sciopero, allora? Ma via, è un vecchio attrezzo di una Costituzione da rivedere con una legge varata ad hoc e promulgata a spron battuto. Che poi gli scioperi, si sa, nuocciono alla produzione di un Paese, lo rendono poco competitivo.
Alcuni giorni fa, alla trasmissione radiofonica GR Parlamento, un arguto docente di diritto dell’Università di Roma, il prof. Armaroli, ha detto una cosa che rivela la voglia di «modernità» di questo Paese: che la Costituzione Italiana ha bisogno di essere ritoccata perché i partiti che parteciparono alla sua elaborazione (Democrazia Cristiana, partito Socialista, partito Comunista, partito d’Azione) non ci sono più. Il prof. Armaroli ha una logica stringente: a quella Costituzione non partecipò il Partito Nazionale Fascista, per ovvie ragioni. Ma erano altri tempi. Oggi i tempi sono cambiati. Come diceva il poeta barocco: cambiano i tempi, cambiano i voleri.
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Antonio Tabucchi

Antonio Tabucchi (Pisa, 1943 - Lisbona, 2012) ha pubblicato Piazza d’Italia (Bompiani, 1975), Il piccolo naviglio (Mondadori, 1978), Il gioco del rovescio (Il Saggiatore, 1981), Donna di Porto Pim (Sellerio, 1983), Notturno indiano (Sellerio, 1984), I volatili del Beato Angelico (Sellerio, 1987), Sogni …