Umberto Galimberti: La chimica della solidarietà

26 Luglio 2002
Una ricerca americana ha constatato che quando i soggetti assumono comportamenti cooperativi e altruistici, dalle immagini della risonanza magnetica risulta una maggior irrorazione nelle prossimità delle aree cerebrali che rispondono a quando si vedono dolci, belle donne, denaro, cocaina e piacevolezze in genere, lecite o illecite che siano. Dunque, se queste osservazioni sono corrette e verranno confermate, dovremo concludere che l´altruismo, la cooperazione, la solidarietà hanno un fondamento biologico e una ricompensa immediata.
Una ricompensa registrata a livello cerebrale dalla maggiore irrorazione di sangue che, già lo si sapeva, sempre accompagna la visione di cose piacevoli. Tutto ciò confermerebbe l´intuizione aristotelica secondo la quale la virtù è già in se stessa felicità e non deve attendere una sua ricompensa in un altro mondo.
Ma ancora di più questa ricerca sembra dar ragione alla tesi esposta qualche anno fa da Eugenio Scalfari nel suo libro «Alla ricerca della morale perduta» (Rizzoli) dove si dice che: «La morale è un istinto», l´istinto di solidarietà che favorisce la conservazione della specie, spesso in lotta con l´istinto di sopravvivenza individuale. Scrive in proposito Scalfari nel suo libro: «Il sentimento morale non ha la sua sede nella ragione, non ci arriva dal cielo inviato da chissà chi, non c´è bisogno di riferirlo a un Dio come non è necessario un diavolo per spiegare l´amore di sé. Si tratta in entrambi i casi di un istinto, istinto potentissimo che è quello di sopravvivere».
Non furono pochi quelli che, dopo aver ornato la morale dei più nobili paludamenti, storsero il naso di fronte a questa riduzione della morale al regime istintuale. Oggi Gregory Berns, che dirige la ricerca della Emory University in Atlanta, ne dà conferma informandoci che, a livello di «piacere cerebrale» il comportamento altruistico eccederebbe di molto il comportamento egoistico e, se non fosse per il tipo di società che abbiamo inventato, il comportamento cooperativo sarebbe da tutti preferito a quello competitivo.
Le ragioni di questa preferenza sarebbero le stesse per cui l´uomo, a differenza persino di quegli animali che pure dispongono di un grosso cervello come i delfini e gli scimpanzé, sono capaci di rinunciare a un vantaggio immediato per un bene a più lungo termine. Sono capaci di sacrificarsi sul momento, rinunciando alla soddisfazione immediata dettata dalla cecità egoistica.
Queste cose la filosofia già le aveva dette da tempo. Ma chi oggi legge un libro di filosofia? Hobbes, ad esempio, già nel 1600 scriveva che, a differenza dell´animale che si butta sul cibo quando lo trova, «l´uomo ha fame anche della sua fame futura», e Schopenhauer nell´800 riconosceva che in ciascuno di noi c´è una doppia soggettività: una che dice Io, fa i suoi progetti, raggiunge i suoi scopi, cerca le condizioni della propria sussistenza anche a spese degli altri, ma accanto all´Io c´è un´altra soggettività: la «specie» che, ad esempio, fa sì che una mamma, senza pensarci, per puro istinto, sacrifichi se stessa, il suo corpo, il suo tempo, il suo sonno e per un certo periodo sospenda la vita del suo Io per la vita del figlio.
Siamo nati tutti da una «relazione», dal sacrificio di sé per l´altro che viene al mondo. E pensiamo davvero che poi la vita degli uomini possa sospendere la «relazione», l´»altruismo», la «cooperazione» per inseguire solo gli interessi egoistici dell´Io?
A conforto di quanto andiamo dicendo, Gregory Berns riferisce che cinquanta scimpanzé che non si conoscono, adunati in uno spazio a loro sconosciuto, incomincerebbero a scannarsi determinando un´esplosione sociale, mentre cinquanta esseri umani nelle stesse condizioni incomincerebbero subito a collaborare per sopravvivere. La cooperazione, la solidarietà e l´altruismo, in cui, ridotta all´osso, consiste la morale, sarebbero quindi biologicamente iscritti nella costituzione della natura umana, per cui vien da chiedersi se l´esasperata competizione, che stiamo importando dallo stile di vita americano che si va diffondendo in tutto il mondo, è «secondo natura» o non invece un tentativo inconsapevole di fare anche dell´uomo un «organismo geneticamente modificato» .
I risultati delle ricerche di Atlanta concordano con i risultati ottenuti dall´équipe guidata da Ernst Fehr dell´Università di Zurigo che ha messo in evidenza oltre all´importanza della punizione per mantenere il comportamento cooperativo, l´esigenza della punizione che i componenti di qualsiasi comunità richiedono nei confronti di coloro che violano la norma. Ciò significa che disattendere il bisogno di giustizia indebolisce nella comunità la spinta alla cooperazione che, fra tutte le cose di cui una comunità necessita per sopravvivere, è la cosa di cui ha massimamente bisogno.
Sapevamo, ciascuno per esperienza personale, che a essere cooperativi, solidali e altruistici, si sta bene con la propria coscienza, ora, se le ricerche di Atlanta e di Zurigo verranno confermate, sappiamo che stiamo bene anche con i nostri circuiti cerebrali.
Lascio al lettore le considerazioni che da queste scoperte scientifiche si possano trarre in ordine al modo con cui sono regolati i comportamenti nella nostra società e alle linee ideologiche e politiche che li governano quando il messaggio che si diffonde è solo business, successo, denaro, immagine, invece che cooperazione, solidarietà, aiuto reciproco. Ora sappiamo che, seguendo questa tendenza, non ne va solo delle nostre idee o della nostra coscienza, ma anche della nostra salute.

Umberto Galimberti

Umberto Galimberti, nato a Monza nel 1942, è stato dal 1976 professore incaricato di Antropologia Culturale e dal 1983 professore associato di Filosofia della Storia. Dal 1999 è professore ordinario …