Marco D'Eramo: George Bush prende tutto

07 Novembre 2002
Oggi i repubblicani americani possono citare Cesare Previti e dire ai democratici: "Questa volta non faremo prigionieri". Si è realizzata infatti la peggiore delle alternative: i democratici hanno perso il controllo del Senato e i repubblicani hanno rafforzato la loro maggioranza alla Camera. E, secondo le previsioni, tutta la partita si è giocata per poche migliaia di voti nel Midwest. Alcuni seggi sono ancora da attribuire (in Louisiana si andrà al ballottaggio il 7 dicembre, ma è favorita la candidata democratica), altri saranno sicuramente contestati, ma per ora il dato è il seguente: alla Camera - dove la maggioranza semplice è di 218 onorevoli -, i repubblicani sono passati da 223 a 227 e i democratici sono scesi da 210 a 203 (gli indipendenti sono sempre 2, e tre seggi restano ancora da attribuire). Al Senato (composto di 100 seggi) i democratici sono passati da 49 a 47 (alla fine saranno 48), i repubblicani da 49 a 51 e gli indipendenti sono passati da 2 a 1. Nel partito democratico è già cominciata la notte dei lunghi coltelli. I due sicuri perdenti sono l'ex presidente del senato Tom Daschle e il portavoce della minoranza alla camera, Dick Gephardt del Missouri. Sono considerati responsabili di aver portato il partito alla rovina con la loro strategia di collaborazione con Bush sul terrorismo e la "libertà di coscienza" lasciata ai parlamentari nella politica economica. Sia Daschle, sia Gephardt nutrivano ambizioni presidenziali per il 2004, ora se le possono scordare. Anche perché sono loro ad aver delineato la strategia elettorale che ha evitato ogni impegno chiaro sul terreno economico e sociale, tanto che tutti i sondaggi mostravano un crescente scetticismo dell'elettorato nei confronti dei democratici ritenuti privi di una chiara proposta politica. Né i democratici possono addurre a parziale alibi per la loro sconfitta un astensionismo elevato, perché in primo luogo l'affluenza è bassissima in tutte le elezioni di metà mandato (midterm), e in secondo luogo questa volta è stata lievemente più alta (39%) che nel 1998 (37,6%), grazie anche a duelli particolarmente combattuti che hanno spinto gli elettori a recarsi alle urne, come per esempio è avvenuto in Minnesota dove l'affluenza è stata del 70%, una percentuale eccezionale per gli Stati uniti. D'altronde l'attenzione degli americani è volubile e le tv si sono sbrigate a sistemare la pratica elettorale in poche ore e sono tornate all'appassionante argomento dell'attrice Winona Rider processata per aver rubato capi di vestiario da un grande magazzino.
In realtà, il vero trionfatore è il presidente George W. Bush che nelle ultime due settimane di campagna ha percorso 15 stati (alcuni due volte) e ha raccolto 141 milioni di dollari per aiutare i candidati in difficoltà, in primo luogo suo fratello Jeff che è stato riconfermato governatore della California, facendo di questa giornata una vittoria per tutta la famiglia, anzi la dinastia, Bush. Questa è stata la campagna elettorale non presidenziale più cara della storia. I candidati hanno speso 1,6 miliardi di dollari (3.200 miliardi di vecchie lire). Per le sole pubblicità tv è stato speso un miliardo di dollari.
La vittoria di Bush è storica perché da decenni il partito del presidente ha sempre perso le elezioni di midterm. Per di più, dal 1952 la Camera era stata ininterrottamente in mano democratica fino al 1994, alla rovinosa sconfitta dei democratici durante il primo mandato di Bill Clinton. Oggi l'unico rimpianto per i repubblicani è di non aver superato la soglia fatidica di 60 senatori richiesta per impedire alla minoranza di praticare l'ostruzionismo che negli Usa è in grado di bloccare indefinitamente alcune procedure legislative. Su questi terreni Bush sarà ancora costretto a mediare. È una magra consolazione per i democratici. I progressi repubblicani più significativi sono avvenuti perciò alla Camera dove alla fine si potrebbero ritrovare con 229-30 seggi, con un'avanzata di una decina di seggi. Ma siccome la Camera era già controllata dai repubblicani, il vero ribaltone politico è avvenuto al Senato (anche se nell'ormai conclusa legislatura i democratici avevano conquistato la maggioranza solo grazie alla defezione di un senatore dal campo repubblicano). Questa sconfitta priva i democratici di alcuni poteri chiave: la presidenza delle commissioni che formulano e spesso votano le leggi; il potere di bloccare la nomina dei giudici ultrareazionari proposti da Bush; la facoltà di emendare la finanziaria; insomma i democratici non hanno più quel potere di veto che il controllo precario del Senato dava loro. Le chiavi della sconfitta democratica sono Arkansas, Georgia, Colorado, Minnesota, Missouri e South Dakota. In Minnesota i democratici avevano dovuto candidare l'anziano Walter Mondale dopo la morte di Paul Wellstone, l'unico senatore a opporsi alla guerra in Iraq, perito la settimana scorsa in un incidente aereo. Mondale (48%) è stato sconfitto per 38.000 voti dal repubblicano Norm Coleman (50%). In Missouri il repubblicano Jim Talent (50%9 ha sopravanzato per 23.500 voti la senatrice uscente Jean Carnahan (49%), che però aveva occupato il seggio nel 2000 solo perché il marito era stato eletto da morto. In Colorado il senatore uscente repubblicano Wayne Allard (51%) è riuscito a vincere il candidato democratico Tom Strickland (45%) dopo una campagna che era rimasta incerta fino all'ultimo giorno. In Georgia i repubblicani hanno strappato con Saxby Chambliss (53%) il seggio al senatore democratico uscente e veterano della guerra in Vietnam, decorato al valor militare Max Cleland (46%): Chambliss ha vinto con un'aggressiva campagna pubblictaria che dipingeva Cleland come un sinistrorso troppo liberal. I democratici sono riusciti a conquistare l'Arkansas dove Mark Pryor (54%) ha sconfitto il senatore repubblicano uscente Tim Hutchinson (46%). Dovrebbe restare democratico anche il South Dakota dove il protégé di Tom Daschle Tim Johnson (50) sopravanza di soli 527 voti il candidato repubblicano John Thune (49) che ha subito chiesto una verifica dei voti. Ma la conquista di un seggio (Arkansas) e il mantenimento di un altro (South Dakota) non ha compensato la mancata conquista del Colorado e la perdita di Minnesota e Missouri, tanto più che anche in New Hampshire, il senatore repubblicano uscente (con tre mandati alle spalle), John Sununu, è riuscito a prevalere sulla candidata democratica Jeanne Shahaleen, nonostante costei sia assai popolare nello stato come governatrice. Tra i personaggi famosi, Elizabeth Dole moglie dell'ex candidato alla presidenza, ha vinto il posto di senatrice della North Carolina contro l'ex aiutante di Bill Clinton Erskin Bowles in quella che è stata la campagna per il senato più costosa di tutte: le due candidate hanno speso in tv 21 milioni di dollari. In Texas, l'ex sindaco di Dallas, il candidato nero Ron Kirk (42%) non è riuscito a battere l'attorney general uscente John Cornyn (56%). L'unica consolazione i democratici l'hanno ottenuta a livello di cariche statali. In particolare hanno conquistato la carica di governatore negli stati di Illinois (dove da 30 anni il governatore era repubblicano e dove ora i democratici hanno la maggioranza sia alla camera sia al senato locale), in Pennsylvania e in Michigan. Hanno però perso in Georgia, Massachussett e Maryland dove la democratica Kathlyn Kennedy Townsend non è riuscita a realizzare il suo sogno di divenire il primo membro del clan Kennedy a diventare governatore. In Texas il miliardario di origine latina Tony Sanchez (39%) è stato stracciato da Rick Perry (565) che era subentrato a George W. Bush quando costui si era candidato alla Casa bianca.
In California, nonostante i 70 milioni di dollari pompati nella campagna, il governatore Gray Davis (48%) ha faticato molto più del previsto a vincere contro un carneade come il candidato repubblicano Bill Simon (42%). La disaffezione dei californiani si è manifestata in un altissimo tasso di astensione e nel forte voto per il candidato verde Peter Miguel Camejo (5%) che si definisce "un cocomero, verde fuori, rosso dentro". Se i democratici dovessero paragonarsi a un vegetale, sarebbero sicuramente identificati con le rape, bianche dentro e fuori e del tutto sciape.

Marco d’Eramo

Marco d’Eramo, nato a Roma nel 1947, laureato in Fisica, ha poi studiato Sociologia con Pierre Bourdieu all’École Pratique des Hautes Études di Parigi. Giornalista, ha collaborato con “Paese Sera” …