Marco D'Eramo: La musa della tribù bianca

10 Dicembre 2002
Si chiama Orania e si trova nel bel mezzo delle piane dell'alto Karoo, nella provincia del Capo Settentrionale. Si estende su una superficie di 200 ettari (2 chilometri quadrati) e conta, alle ultime stime, 670 abitanti. Orania non ha niente a che vedere con Urania, la musa dell'astronomia, ma il suo nome deriva dalla dinastia olandese degli Orange e dallo "stato libero di Orange" fondato dai boeri nel 1836. Ed è la più famosa "città privata" sudafricana. Certo, fa ridere rispetto alle città private statunitensi, con le loro decine di migliaia di abitanti. Ma il suo nome è noto a ogni sudafricano perché, dopo la fine dell'apartheid, in una società che Nelson Mandela vuole "arcobaleno", Orania è esclusivamente bianca e, anzi, pensa se stessa come il nucleo originario di un futuro stato boero, un Afrikaneerstan, in una sorta di contrappasso storico, un bantustan in cui la tribù bianca, o almeno la sua parte più razzista, si vuole auto-segregare. Non potendo più rinchiudere i neri, si auto-imprigiona. Non combattere il sistema (multirazziale), dice il sindaco di Orania, Prinsloo Potgieter, "ma unisciti a noi e lasciati il sistema alle spalle: noi afrikaneers non governeremo mai più il Sudafrica, mi sono rassegnato a questo, ma non voglio essere governato da altri, voglio l'autogoverno". Insomma un leghismo razziale.
Il territorio su cui sorge Orania fu comprato nel 1991 da un piccolo gruppo di afrikaneers. Costoro costituiscono il 60% dei 5,5 milioni di bianchi sudafricani (il 12% della popolazione di 45 milioni di persone) e che sono discendenti dei coloni olandesi e ugonotti cacciati dalla Francia quando Luigi XIV revocò l'editto di Nantes nel 1685. Tra i fondatori di Orania spiccava Betsie Verwoerd, la novantenne vedova di Henrik Verwoerd, il premier sudafricano che negli anni `50 fu l'architetto dell'apartheid: contrariamente a quel che si pensa, l'apartheid non era l'originario regime di separazione razziale instaurato tre secoli fa dai bianchi; ma la sua legislazione è modernissima, risale a dopo la seconda guerra mondiale: fino ad allora non c'era bisogno di leggi di apartheid perché bastava il costume.
Le leggi si resero necessarie proprio perché il secolare cripto-schiavismo stava andando in crisi. Lo stesso termine "apartheid" (versione afrikaner dell'inglese "apartness") fu coniato solo negli anni `30 dal Partito nazionale che lo usò come slogan, e le varie leggi sono tutte degli anni `50. Il Population Registration Act (1950) schedò tutti i cittadini sudafricani in tre categorie razziali (neri, bianchi e colored, cioè indiani), cui fu più tardi aggiunta una quarta (asiatici); il Group Areas Act (1950) e i Land Acts (1954 e 1955) assegnarono a differenti aree residenza e attività delle differenti razze, mentre il Bantu Authorities Act (1951) creò i bantustan, cioè enclave di "libere terre" nere, un modello che lo stato d'Israele vorrebbe applicare ai palestinesi: all'inverso "Orania sarà il nostro Israele, la nostra salvezza" ha dichiarato al Cristian Science Monitor un residente. Hendrik Verwoerd fu il promotore di altre leggi ancora più capillari, come il Separate Amenities Act che segregava razzialmente i luoghi di svago (piscine, spiagge, stadi, parchi). Orania è l'unico luogo sudafricano in cui c'è un museo Verwoerd. Dagli edifici pubblici sventola la bandiera boera. Gli abitanti di Orania disertano le elezioni politiche sudafricane, ma votano in massa per il proprio consiglio territoriale.
Due anni fa ad Orania si recò Milton Nkosi, giornalista nero della Bbc, cresciuto negli anni più duri dell'apartheid: fu accolto con molta gentilezza, racconta, ma alla guest house Herberg gli fu offerta la "stanza Henrik Verwoed". E naturalmente il primo capo della comunità di Orania è (ed è) il professore Carel Boshoff, genero di Hendrik Verwoerd. I neri possono varcare i cancelli di questo paesetto solo per ragioni di affari (o per comprare merce nell'emporio), tanto che quando si sono trasferite a Orania, alcune vecchie signore hanno dovuto, poverine, lavare i piatti e stirare i panni con le loro mani per la prima volta nella loro vita, visto che prima questi compiti erano eseguiti dalle colf nere. "Se uno dei nostri ragazzi tornasse a casa dall'università con un amico nero non verrebbe guardato bene dalla comunità. Non dico che sia giusto. Dico solo che è così" dichiara Wynand Boshoff, professore alla scuola media di Orania e altro esponente della dinastia Verwoerd.
Wynand Boshoff è stato compagno di università di alcuni della dozzina di arrestati nei mesi scorsi per atti terroristici e per tentato colpo di stato che saranno processati l'anno prossimo. Quest'autunno infatti bombe e attentati hanno scandito la vita sudafricana (dieci giorni fa un ponte è stato fatto saltare nel KwaZulu-Natal) e una lettera è stata mandata ai giornali da un gruppo radicale minacciando altri attentati per le festività natalizie. La polizia ha scoperto anche depositi di armi accumulate dalle milizie bianche. A novembre una bomba è esplosa in un hangar di aerei della polizia.
Le probabilità di successo di un colpo di stato bianco sono nulle, lo stato è troppo forte e i cospiratori troppo deboli (le loro forze non dovrebbero superare i 1.200 effettivi). Ma le loro azioni costituiscono solo la parte emersa di un iceberg di disagio bianco che si diffonde non solo tra gli agricoltori, tradizionalmente più conservatori, ma anche tra docenti e professionisti. Per tastare il polso basta ascoltare Radio Pretoria (lunghezza d'onda 104,2 in FM) le cui trasmissioni si aprono con l'inno nazionale versione era apartheid, Die Stem. Nelle trasmissioni la Namibia è spesso chiamata Africa Sudoccidentale e lo Zimbabwe ritorna Rhodesia. Gli ascoltatori denunciano le "persecuzioni" del "regime" (democraticamente eletto). E poi affrontano temi come: è l'Aids una soluzione per la crescita della popolazione nera? Dovrebbero i contadini possedere armi illegali per scoraggiare i ladri? Quale è il posto migliore per passeggiare coi bambini? Come ottenere un visto per emigrare in Sudafrica?
Il nuovo estremismo bianco non è più quello di una volta, dei mercenari e degli uomini di mano. I nuovi sono di classe media e intellettuali. Sono dottori, ingegneri, ex ufficiali dell'esercito, ha dichiarato al Guardian Henri Boshoff, coautore di un rapporto pubblicato dall'Institute of Security Studies: "Costoro non sono personalmente perdenti nel nuovo, ma sono malcontenti per l'attacco contro la propria lingua, cultura e identità. In questo li paragonerei ai terroristi dell'Eta in Spagna".
Così gli afrikaneers si sentono minacciati. Minacciati nella loro identità. Dicono che la loro lingua è sempre più soppiantata dall'inglese: ricordiamo che dal 1899 al 1902 i boeri combatterono una sanguinosissima guerra contro gli inglesi, terminata con la vittoria britannica e il trattato di Vereeniging. Perfino accademici bianchi progressisti hanno di recente formato una nuova organizzazione, il Gruppo dei 63 (no, non è l'avanguardia letteraria italiana degli anni `60) per promuovere la cultura afrikaneer e il coinvolgimento nella vita pubblica. Si dichiarano contrari alla violenza, ma alcuni tra questi intellettuali erano stati indicati come possibili ministri del nuovo governo da parte dei congiurati che complottavano un colpo di stato.
Gli afrikaneer si sentono minacciati dalla criminalità crescente. È vero che nelle città sudafricane la criminalità è elevata, ma il senso d'insicurezza rasenta e a volte supera la paranoia. Famiglie di ceto medio basso assumono guardie private; giovani coppie progressiste mettono su impianti di allarme non solo all'esterno, ma anche tra la cucina e la camera da letto: così raccontava Paolo Hutter di ritorno da Johannesburg per il recente summit sullo sviluppo sostenibile. Il problema con l'insicurezza è che è una delle tante profezie che si autorealizzano: se pensi che le vie sono malsicure, non esci più di notte, quindi le vie diventano deserte e diventano davvero pericolose.
Gli afrikaneers si sentono infine minacciati nel proprio status e nelle loro carriere, a causa delle azioni affermative decise dal governo sudafricano. È lo stesso reclamo sollevato dai bramini contro le decisioni della Mandal Commission in India che auspicava azioni affermative a favore delle caste basse.
Ë vero che per la prima volta dalla depressione degli anni `30 si vedono in Sudafrica mendicanti bianchi, ma è anche vero che la percezione è spesso contraria alla realtà. Noi sappiamo infatti che un secolo fa nella nostra società si uccideva cinque volte più di oggi, ma la nostra percezione è che oggi la società sia molto più violenta di una volta. Così in Sudafrica la dura realtà è che dieci anni dopo la fine dell'apartheid tutte le leve di comando sono rimaste in mano ai bianchi, tutte le grandi corporations, banche e industria sono bianche, e che i neri non sono riusciti ad assurgere a posizioni di responsabilità al di fuori del governo e delle cariche statali.
Il vero motivo di speranza per il Sudafrica è che Orania rimane un paesetto desolato, di 670 abitanti, senza futuro, senza prospettive e senza lavoro. Le città private nacquero nell'800 come acquartieramenti recintati dei funzionari coloniali britannici in India, dove esistono ancora, abitate dagli occidentali. Io stesso a New Delhi sono stato ospite in una Defense Colony e in una Friends Colony. Sono quartieri recintati che racchiudono villette e sono difesi da milizie private. Questo modello è stato ripreso negli Stati uniti, soprattutto negli anni `80 e `90, con le gated communities ("comunità recintate"), città private che funzionano come condomini, con proprie costituzioni, proprie tasse, milizie, ospedali. Sono città che si chiudono al mondo esterno, ai suoi pericoli. Spesso sono città autosegregate per età, come la celeberrima Sun City in Arizona, di 40.000 abitanti, in cui non può risiedere nessuno al di sotto dei 55 anni.
Orania è una pallida e stracciona imitazione dei ghetti per vecchi ricchi che costellano l'America. E però, nella sua forma parodistica, involontariamente, tragicamente comica, Orania ci mostra quanto sia patetica la "difesa dell'identità". Il Sudafrica vive una stagione drammatica. Impallidiscono in un mare di corruzione le speranze nate dalla fine dell'apartheid. Ma certo la crisi dell'identità afrikaner non è il problema più urgente di questo paese. Il New York Times di ieri ricordava che a tutto il 1996 solo il 12 % dei sudafricani viveva in quartieri razzialmente integrati. Vuol dire che l'88 % continuava a vivere in aree segregate. E anche se il censimento del 2001 farà salire un po' questa percentuale, la tribù bianca è ben lungi dal perdere i suoi privilegi, e le sue cattive abitudini.

Marco d’Eramo

Marco d’Eramo, nato a Roma nel 1947, laureato in Fisica, ha poi studiato Sociologia con Pierre Bourdieu all’École Pratique des Hautes Études di Parigi. Giornalista, ha collaborato con “Paese Sera” …