Umberto Galimberti: Il governo delle tre "i" che uccide la ricerca

11 Dicembre 2002
I rettori dell´università italiana hanno deciso all´unanimità di dimettersi dal loro incarico per protestare contro i tagli dei finanziamenti che la legge finanziaria prevede per l´università. Senza soldi, l´università chiude, perché non è più in grado di garantire insegnamento, ricerca e servizi, nonostante l´aumento delle tasse, avvenuto progressivamente dopo l´introduzione dell´autonomia dell´università, e l´aumento medio del 10 per cento con punte del 20 per cento delle domande di iscrizione all´università.
Ma allora l´università è un fallimento? No, se è vero che la produttività per ricercatore in Italia è superiore a quella degli Stati Uniti e comunque tra le prime in Europa come testimonia, ad esempio, per le facoltà scientifiche, il numero dei brevetti, e come risulta per tutte le facoltà dal rapporto studenti-docenti che in Italia è tra i più alti d´Europa.
Dopo la sollevazione dei rettori, che non sanno come chiudere i bilanci per la quasi totalità in passivo e come garantire il funzionamento dell´università da qui a due anni, ieri il ministro dell´Economia Giulio Tremonti ha definito "intempestiva" la posizione assunta dai rettori, dal momento che il disegno di legge finanziaria non è stato ancora definitivamente approvato, per cui ancora si può intervenire con un "adeguato stanziamento" senza che ne venga precisato l´ammontare. Dal che si deduce che senza la protesta dei rettori questo "adeguato stanziamento" non sarebbe mai stato preso in considerazione e verificheremo a giorni se ci sarà e quanto sarà.
In gioco c´è dunque la sopravvivenza dell´università italiana: l´adeguamento degli stanziamenti, come ci ricorda Piero Tosi, presidente della Conferenza dei rettori delle università, "costa annualmente l´equivalente di trenta chilometri di autostrada in pianura". Questi soldi, il governo (che nel suo patto televisivo con gli italiani ha promesso, per bocca del suo presidente del Consiglio, di risolvere tutti i problemi autostradali d´Italia compreso il ponte sullo Stretto di Messina) non li sa trovare e, senza la protesta dei rettori, non si sarebbe neppure messo a cercarli, rivelando così a chiare lettere la sua intenzione, se non politica, certo di fatto, di affossare l´università. Ciò significa, lo capiscono tutti, arretramento culturale del paese, fine della ricerca e mancata formazione della futura classe dirigente, già oggi in declino, come qualche giorno fa denunciava persino Luca Cordero di Montezemolo.
E così l´arretramento industriale del paese denunciato dal presidente Ciampi e dalle classifiche compilate dalle agenzie internazionali che vedono retrocessa l´Italia di numerose posizioni (per non parlare della crisi Fiat che è drammaticamente sotto gli occhi di tutti) si aggiunge l´arretramento culturale del paese cui abbiamo assistito dopo l´introduzione dall´alto della riforma universitaria.
Questa riforma ha ridotto di un anno il conseguimento del diploma di laurea e di molto la quantità e la qualità degli studi per piegarli a quella logica di crediti e di debiti, buoni forse per ottenere un prestito in banca, ma del tutto estranei a valori quali la competenza raggiunta nei propri studi, la formazione della personalità, l´autovalorizzazione, il riconoscimento che (come già ricordavo nel mio articolo "Se muore l´università") sono valori che appartengono a un´altra economia che non è l´economia aziendale, dove ciò che conta è solo il profitto, l´accumulo di crediti e la parziale remissione dei debiti.
Eppure, ce lo ricorda il presidente della Conferenza dei rettori delle università italiane, sembra che per la formazione dei giovani e per la ricerca si stiano cercando, in alternativa all´università, "altre vie basate soprattutto sulla cultura dell´impresa". L´impresa, lo ricordano tutti, è una delle tre "i" che il nostro presidente del Consiglio aveva indicato, accanto a "Internet" e a "inglese", come programma per la riforma dell´istruzione in Italia, ignorando che non è possibile aziendalizzare il sapere, non è possibile codificarlo per decreto ministeriale senza neppure interpellare i produttori di questo sapere che sono i professori universitari, oggi ridotti a impiegati della didattica creditizia con tempi ridottissimi per la ricerca.
Non è possibile calare tutto questo dall´alto come un nuovo codice della strada con l´istituzione di targhe e libretti di circolazione, dimenticando che lo studente non è un veicolo, che il professore non è un sorvegliante del traffico, e soprattutto che il sapere non è una strada molto trafficata. E che comunque l´università non è un´azienda che rilascia patenti di guida.
Oggi con i tagli drastici previsti dalla legge finanziaria si obbliga il sistema universitario a chiudere, come dicono i rettori, entro due o tre anni, a meno che le università, come le aziende, non trovino i soldi sul mercato. Ma qui occorre ricordare che il mercato è sensibile alla ricerca applicata che dà un immediato profitto, ma per nulla a quella di base che si svolge solo all´università e che, anche se è da tutti riconosciuta nella sua essenzialità, è troppo costosa per il mercato e non produce profitti immediati. In questo modo saremo completamente dipendenti dall´estero e dovremo importare tutto quello che qui in Italia non abbiamo trovato perché non abbiamo cercato.
Una volta a rivendicare il diritto allo studio erano gli studenti, oggi insieme a loro sono i rettori, i presidi e i professori. Non più quindi un´utenza contro un´istituzione, ma l´istituzione stessa, quella universitaria che denuncia il suo prossimo collasso, con tutto quello che può significare per un paese la fine dell´università in ordine al sapere e alla formazione dei giovani, che, come avviene nei paesi in via di sviluppo, saranno costretti a emigrare per acquisire quelle competenze che in Italia, se si procede di questo passo, non si troveranno più.

Umberto Galimberti

Umberto Galimberti, nato a Monza nel 1942, è stato dal 1976 professore incaricato di Antropologia Culturale e dal 1983 professore associato di Filosofia della Storia. Dal 1999 è professore ordinario …