Giorgio Bocca: Alpini, missione impossibile

13 Febbraio 2003
Ciò che sappiamo sulla spedizione dei nostri alpini in Afghanistan è poco, confuso e molto preoccupante. Sappiamo che i nostri mille soldati opereranno sulle montagne fra Kandahar e il confine con il Pakistan, la zona in cui le truppe speciali americane e inglesi hanno tentato e fallito la cattura di Bin Laden e la liquidazione dei talebani.
L'ammiraglio James Robb che "pianifica" gli interventi contro il terrorismo parla chiaro: "Sono due gli obiettivi prioritari della missione: dare la caccia a terroristi e talebani per catturarli ed eliminarli".
Tempo della missione? Chi dice cinque mesi, chi otto. Se è vero, le preoccupazioni aumentano: cinque o otto mesi bastano appena a capire dove ci si trova, anche se l'ammiraglio dice che "rispetto a un anno fa abbiamo un numero impressionante di informazioni". Però ammette: "La missione è difficile. Sono consapevole dei timori che ci sono in Italia". Consapevoli lo sono anche il ministro della Difesa, Antonio Martino, e il presidente della commissione Difesa, Domenico Contestabile: dicono che la missione "è la più pericolosa e difficile degli ultimi cinquant'anni".
Sulla preparazione militare si sa poco: quattro mesi di addestramento in Val Chisone dalle parti del Sestriere e qualche settimana sul Gran Sasso, ma solo nei giorni scorsi, ha detto il generale Filippo Cecchi, "è stato provato per la prima volta l'aviotrasporto e l'utilizzo di mortai Thompson da 120 millimetri con canna rigata capaci di colpire un obiettivo a tredici chilometri, adattissimi al territorio montuoso".
Per quel che abbiamo appreso nei 20 mesi della guerra partigiana, i mortai sono i meno adatti alla guerriglia, mai impiegati dalla Wehrmacht nei rastrellamenti e per l'aviotrasporto dovremo dipendere dagli americani e dai loro elicotteri. Ma come vadano in pratica queste collaborazioni lo sappiamo dai nostri otto Tornado che durante la guerra non trovarono un aeroporto in cui sistemarsi.
Nei 20 mesi della guerra partigiana i tedeschi impiegarono nei grandi rastrellamenti non mille, ma dai 20 ai 30 mila uomini in campi di battaglia limitati, forniti di strade, di abitati, cartografati, circondabili; ma i nostri mille dovrebbero dar la caccia ai talebani in territori selvaggi, ignoti, a un nemico con le spalle coperte con zone di rifugio nelle terre pachistane, fuori del controllo governativo.
La missione non è soltanto difficile, come dicono generali e ministri, è impossibile. Non è riuscita all'Armata rossa e neppure ad americani e inglesi e prima, nei secoli, a chiunque abbia tentato l'occupazione e la pacificazione in queste lande ostili.
Ma non basta: ai rischi militari della spedizione, di per sé proibitivi, si aggiungono quelli politici: l'interventismo opportunistico del governo Berlusconi non potrebbe mai affrontare o sopportare una nuova Adua, una delle piccole ma sanguinose disfatte che vanno messe nel conto di una guerra coloniale. Nelle precedenti missioni in Libano, in Somalia, nei Balcani ce la siamo cavata in due modi: limitando al minimo il rischio militare e usando l'intelligence che in pratica consiste nel corrompere il nemico, nel comperare una tacita non belligeranza. Nel caso dei mille alpini pagare i signori della guerra e limitarsi a qualche posto di blocco ben munito e a rapide inutili incursioni.
Le istruzioni date al generale Giorgio Battisti da governo e Parlamento sono chiare nella loro ipocrisia: andate a fare una guerra senza prigionieri, ma senza sporcarvi le mani, quanto a dire senza farla. Mettetevi agli ordini del generale Dan Mc Neill ma se vi chiede fucilazioni, impiccagioni, violazioni della legge internazionale declinate l'invito, state buoni ed esaudite il vostro vero compito, far vedere che una coalizione esiste. Sì la missione è davvero difficile. Per il governo soprattutto.

Giorgio Bocca

Giorgio Bocca (Cuneo, 1920 - Milano, 2011) è stato tra i giornalisti italiani più noti e importanti. Ha ricevuto il premio Ilaria Alpi alla carriera nel 2008. Feltrinelli ha pubblicato …