Marco D'Eramo: Cola war, il frizzante della guerra
18 Febbraio 2003
"Non bere stupido, bevi impegnato", dice lo slogan della Mecca
Cola, la bevanda gassata che fa furore nei quartieri musulmani delle città
europee. La lattina ha lo stesso colore rosso e la stessa scritta bianca del suo
più celebre modello. La bevanda è un po' meno zuccherosa, ma altrettanto
gassata, con gli stessi ingredienti di tutte le bollicine: acqua gassata,
zucchero, sciroppo di glucosio e fruttosio, un po' di caffeina, un pizzico di
acido fosforico, e colorante color caramello E150D. A lanciarla a Parigi è
stato un rappresentante di commercio tunisino, Tawfik Mathlouthi, che ha ripreso
l'idea dalla iraniana ZamZam Cola (vedi scheda accanto). "Ha lo stesso
prezzo della Coca", ha detto Mathlouthi a Le Monde, "allora se
possiamo evitare di dare tutta la nostra grana a Bush perché attacchi ancora un
po' gli arabi, tanto vale farlo. In ogni caso, è quello che dico ai miei
clienti". E infatti un altro slogan recita: "Non un centesimo per le
guerre di Bush". Il proprietario promette che il 10% dei profitti andrà a
organizzazioni caritatevoli e opere pie europee (tra cui quella dell'abbé Pierre)
e un altro 10% ad aiutare i bambini palestinesi, il tutto attraverso la
"Fondazione Mecca Cola" che possiede un quinto del capitale azionario
della società. Il lancio della bevanda è avvenuto a ottobre e le prime
consegne agli inizi di novembre per sfruttare "l'effetto Ramadan", il
mese del digiuno musulmano. Dopo la prima settimana, Mathlouthi aveva già
venduto 160.000 bottiglie da un litro e mezzo; alla fine di gennaio erano già
divenute 3 milioni di bottiglie e altri 16 milioni erano in ordinazione. Le
previsioni stimano una produzione di 250-300 milioni di bottiglie entro l'anno.
All'inizio la Mecca Cola si è diffusa nei ghetti musulmani di Francia, da
Barbès e Belleville a Parigi, alla Cité des Indes a Sartrouville, a
Vaulx-en-Velin nella banlieue di Lione, a Val-Fourré a Mantes, alla
Casbah di Marsiglia. Poi si è diffusa nelle comunità islamiche in Belgio,
Olanda, Germania. Infine, questo prodotto della diaspora musulmana ha trovato
sbocco nel mondo islamico, in Marocco, in Libia, negli Emirati del Golfo, in
Arabia Saudita, Pakistan, Bangladesh, Indonesia, dove il suo successo, come
quello di Zamzam, è dovuto soprattutto al boicottaggio delle bevande gassate
americane, da CocaCola, a PepsiCola, Fanta, Sprite... Il boicottaggio riguarda
non solo le bevande, ma anche McDonald's, Nike, Starbucks: e tutte queste corporations
ammettono di subire l'impatto del boicottaggio. Un funzionario statale
marocchino stimava al 50% il calo delle vendite di Coca nel nord del paese, che
è un caposaldo dei fondamentalisti. Negli Emirati arabi, le vendite della
locale Star Cola sono aumentate del 40%. In tutta l'area, il calo delle vendite
di CocaCola è stimato intorno al 40%. Secondo il quotidiano arabo al-Watan,
il boicottaggio delle bevande americane prende sempre più piede, mano mano che
l'amministrazione Bush appoggia in modo sempre più incondizionato la politica
israeliana di Ariel Sharon e si prepara ad invadere l'Iraq di Saddam Hussein.
Secondo il presidente del gruppo Zamzam, Ahmad Taheri, il successo di bevande
come la ZamZam, la Star Cola (e ora la Mecca Cola) "è dovuto in gran parte
al boicottaggio arabo e musulmano che ha colpito i marchi americani".
Certo, questo tipo di boicottaggio è solo una puntura di tafano per un colosso
come la CocaCola, il cui capitale azionario vale circa 130 miliardi di euro. Ma
anche i tafani fanno male, tanto che in questi paesi la CocaCola cerca di
distanziarsi dalla politica dell'amministrazione Bush. Paradossalmente, la prima
guerra combattuta -ha scritto la stampa anglosassone -non è quella sul campo
lungo il Tigri e l'Eufrate, ma la cola war nei chioschi e baracchini del
Medio oriente e dei ghetti islamici nelle metropoli europee. È quasi una nemesi
storica che sia l'americanissima CocaCola la prima vittima dell'offensiva dei
falchi dell'amministrazione, il vicepresidente Dick Cheney, il ministro e
viceministro della difesa, Donald Rumsfeld e Paul Wolfowitz, la consigliera per
la sicurezza nazionale, Condoleeza Rice. Quello che è interessante -avveniva da
decenni ma è diventato più visibile dopo l'11 settembre 2001 -è come l'Islam
si sta costruendo una sua americanità islamica in chiave antiamericana.
Quello che si sta rivelando è che, anche nei consumi, la globalizzazione sta
subendo un processo di differenziazione, come una lingua che viene diversamente
pronunciata nei vari dialetti. Oggi c'è una "Mecca Cola", ma tutto fa
pensare che domani ci sarà in India una "Kharma Cola" (che è già il
titolo di un libro di Geeta Metha sull'occidentalizzazione indiana). Magari un
BigAli sostituirà il BigMac: in un certo senso, è il processo inverso a quello
che tentano i dirigenti della McDonald's quando lanciano in Egitto il
MacFalaffel: la MeccaCola pone un marchio locale su un prodotto globale, mentre
il MacFalaffel imprime un marchio globale su una tradizione culinaria locale. E
le tecniche mass-mediatiche di cui gli Usa sono stati i pionieri, vengono
replicate, "tradotte" negli idiomi locali, e i serial tv come Miami
Vice vengono via via spodestati dai vari La Piovra, Distretto di
polizia, Il commissario Montalbano (persino la trasmissione di
maggiore successo degli ultimi anni, Il grande fratello, viene
dall'Olanda e non dagli Usa): tanto che di recente il New York Times si
lamentava perché le esportazioni di serial e di telefilm Usa sono in calo, e
comunque anche se acquistate, non vengono più trasmesse in prima serata. C'è
quindi il tentativo di "inventare" una modernità islamica, di
importare alcuni prodotti, beni di consumo, senza necessariamente
adottare tutti i sistemi di vita e gli assunti ideologici dell'occidente.
Sarebbe una prova che, contro Karl Marx, aveva ragione lo storico Fernand
Braudel quando (in Grammaire des civilisations) sosteneva che la
civiltà industriale esportata dall'Occidente è solo uno degli aspetti della
civiltà occidentale; e, accogliendo la civiltà industriale, "il mondo non
per questo accetta l'insieme della civiltà occidentale, al
contrario". In fondo, Al-Jaizira è la copia conforme della Cnn, solo
versione araba: e Al-Jaizira è solo la prima ad essere entrata in questo
settore del mercato tv, l'informazione 24 ore su 24. Come ha scritto il Financial
Times, altri gruppi islamici stanno lanciando concorrenti ad Al-Jaizira. Il
quotidiano finanziario londinese ne cita almeno tre. La rete al-Arabia lanciata
dal gruppo saudita Middle East Broadcasting (MBC), una algerina, e una formata
dalla joint-venture della Lebanese Broadcasting Company e del quotidiano
panarabo (finanziato dai sauditi) al-Hayat. E d'altronde lanciare una
televisione -Tele-Liberté, con programmi in arabo, francese e inglese -è il
grande sogno del brevettatore della Mecca Cola, Tawfik Mathlouthi, che già
possiede una radio, Radio Mediterranée (ascoltabile in Francia sulla frequenza
88,6 megahertz in FM) che ha fondato nel 1992, che dirige e da cui, tra una
pubblicità e l'altra di coraniche bollicine, lancia attacchi virulenti contro
Ariel Sharon. La stessa storia di questo personaggio mostra i viavai tra
assorbimento della globalizzazione e affermazioni identitarie. Le monde
racconta che, nato nel 1956 a Kala Kebira in Tunisia da un padre insegnante e
imam della sua moschea, negli anni `90 Tawfik Mathlouthi riesce a ottenere
l'esclusiva della rappresentanza in Tunisia del corriere internazionale Dhl,
esclusiva soffiatagli da un genero del presidente tunisino. Quest'estromissione
lo spinge, unico di nove fratelli, a emigrare in Francia e a naturalizzarsi
francese nel 1998. In Francia è stato consulente per il Porto di Marsiglia, Air
Corse, Al Amri International Group, ha fondato un magazine finanziario (poi
rivenduto a buon prezzo), due stazioni radio, associazioni, ha lanciato un
premio per l'infanzia e persino, nel 2001, un partito politico, il Partito della
Francia plurale, oggi inattivo. Infine l'avventura di Mecca Cola, lanciata solo
perché son o stati vani i suoi tentativi di contattare i dirigenti di ZamZam
per ottenerne la rappresentanza in Francia: così l'estate scorsa, dice, si fa
prestare 22.000 euro, deposita il brevetto del marchio e si rivolge a una
fabbrica di bevande gassate, per scoprire che ,delle 22 fabbriche esistenti in
Francia, 18 appartengono alla Coca o la Pepsi. Una delle restanti quattro
accetta il suo ordine iniziale di 160.000 bottiglie, poi il successo, persino
inatteso. Come si vede, nulla lo distinguerebbe da un frenetico, iperattivo, un
po' volubile, maneggione nostrano. Solo che Mecca Cola è spuntata fuori al
momento giusto, all'interno di una tendenza più generale. Nel suo piccolo è
un'altra dimostrazione che nel mondo attuale la modernità è declinata al
plurale: non moderno contro antico, ma una modernità accanto e, a volte, contro
l'altra.
Marco d’Eramo
Marco d’Eramo, nato a Roma nel 1947, laureato in Fisica, ha poi studiato Sociologia con Pierre Bourdieu all’École Pratique des Hautes Études di Parigi. Giornalista, ha collaborato con “Paese Sera” …