Umberto Galimberti: Il folclore e la cultura

24 Febbraio 2003
Cosa pensa Ettore Adalberto Albertoni, ultimo consigliere della tivù pubblica rimasto in carica con il presidente Baldassarre, con la sua proposta di trasferire la rete 2 a Milano? Pensa di essere più vicino all´economia, alla Borsa, alla finanza, all´impresa, all´editoria, alla moda, al design, alla lirica che hanno a Milano il loro centro? Niente affatto. Ettore Adalberto Albertoni pensa a una "tivù con l´accento del Nord", ancorata alla tradizione e alla cultura locale, che trova nella lingua, che è poi il dialetto, la sua naturale espressione.
Io sono lombardo, ma non posso nascondermi che la cultura che trasuda dalla mia lingua è davvero truce. Si pensi che dalle mie parti la parola "godere" significa: "Consumare gli avanzi del giorno prima", l´ossigeno che si somministra a chi fatica a respirare si chiama "Azoto", l´iniezione lombare "lumbarda". Quando una donna partorisce si dice che "l´ha stravacá i busec" (ha rovesciato fuori le viscere), quando uno muore si dice: "L´hem mis via" (l´abbiamo messo via), perché ai lombardi piacciono le situazioni chiare, ben definite. E infine per invitare una donna a un approccio amoroso non c´è espressione migliore che: "Ven sciá che t´ha d´upèri" (vieni qui che ti uso).

Se questo è l´"accento del Nord" che Albertoni vuol far rivivere, forse anche per dare un contenuto al suo ufficio di Assessore alle culture, identità e autonomie della Regione Lombardia, allora vuol dire che l´ultimo consigliere Rai ancora fatica a distinguere una rete nazionale da un´osteria di periferia dei suoi tempi, ma soprattutto fatica a capire la direzione della storia che non si àncora più come un tempo al territorio ma si muove all´insegna della deterritorializzazione.
Se Milano è Borsa, finanza e impresa, queste entità esistono perché si muovono a livello internazionale. Se è moda, design, editoria e lirica è perché queste espressioni culturali partono da Milano, non per restare circoscritte nel territorio, ma per muoversi in tutto il mondo. Questa è la cultura milanese, ma possiamo anche dire veneta se pensiamo alla ricchezza del Nordest creata dall´industria e dal commercio attivato con i paesi satelliti dell´ex Unione Sovietica, o a quella torinese che era fiorente quando la Fiat apriva fabbriche in Russia, nel Nord Europa e in Sudamerica.
La cultura del Nord Italia è tutto fuorché "localismo". È "espansione", apertura ai mercati più lontani. Si pensi ad esempio all´industria tessile del Comasco e ai suoi intensi rapporti con India e Cina, si pensi ai voli che, per ragioni industriali e commerciali partono regolarmente da Verona per Bucarest.
La cultura del Nord è "accoglienza" di manodopera da tutto il mondo a cui una televisione del Nord potrebbe offrire qualche spazio alle culture degli immigrati, per farli sentire un po´ a casa, e non solo disagiati in terra straniera. Ma di questa vocazione "espansiva" e "accogliente" del Nord, Albertoni con le sue proposte e la Lega a cui appartiene non hanno capito niente. Il loro ideale è chiudersi nel localismo, quando la forza del Nord è tutta nella sua proiezione oltreconfine. I tempi, infatti, non sono più quelli della bella Gigogin che, per incontrare il suo amore, faceva a piedi da Lodi a Milano.
Questo repertorio da amici all´osteria non può essere la programmazione della rete del Nord. Perché il Nord non è quello che la Lega pensa o vorrebbe che fosse. Non c´è nessuna cultura a dialettizzare i nomi dei paesi cancellando le sillabe finali. Questo non è recupero delle proprie radici, ma incapacità di parlare con chi abita oltre il confine, anche il confine del proprio paese perché, come dice Beppe De Vecchi, regista di Bergamo Tv: "Nella Bassa è una cosa e in Val Gandino è tutto un altro mondo".
E avanti con questi mondi separati, quando il mondo vero quello dell´economia, quello della cultura non conoscono più frontiere, per non parlare di quello giovanile che, pur nella sua povertà di linguaggio, ha in bocca più slang inglesi che parole locali. E allora che mondo ha in mente Adalberto Albertoni quando propone Gilberto Squizzato di Busto Arsizio e la sua trasmissione Tunnel come una produzione di livello europeo? Che mondo ha in mente quando propone uno sceneggiato sui garibaldini o sulle Cinque Giornate di Milano, come se lì si concentrasse la cultura del Nord, quando all´epoca dei garibaldini e delle Cinque Giornate a Milano c´era un certo Carlo Cattaneo che, contro un´Italia unificata dai Savoia, proponeva un federalismo di ben altra levatura rispetto a quello proposto dalla Lega? Ma Carlo Cattaneo era un filosofo un po´ difficile da masticare, certo più difficile del milanese Duca Lamberti creato da Scerbanenco che Albertoni vorrebbe affiancare ai Promessi sposi e a Il mulino del Po. Per non parlare de El nost Milan di Bertolazzi che per Albertoni è indiscutibilmente al livello di Eduardo De Filippo. E poi basta, continua il nostro consigliere Rai nell´intervista rilasciata ieri al Corriere della Sera, con i giornalisti sportivi romani in trasferta a Milano. "Ci vuole un giornalismo alla Gianni Brera". Assolutamente d´accordo. Senza però dimenticare che, attraverso le sue cronache e i suoi commenti sportivi, Gianni Brera ha insegnato l´italiano a milioni di tifosi che lo parlavano in modo stentato e non ha retrocesso l´italiano al vernacolo. A giudicare dalle loro proposte, vien da pensare che quel che manca alla Lega è la capacità di intercettare la cultura del Nord, perché il localismo, a cui le proposte della Lega tendenzialmente si ispirano, non è l´ideale di nessun economista, di nessun operatore di Borsa o di finanza, di nessuna impresa, di nessuna editoria, di nessun produttore di moda o di design. Ma se il Nord è caratterizzato proprio da queste presenze, crede davvero Albertoni, e con lui i politici della Lega di dar voce a questa cultura riproponendo i dialetti locali, le saghe di paese e le canzoni d´osteria?
Queste cose vanno bene il giorno di festa quando nei paesi si festeggia il santo patrono, ma il Nord è il Nord per i suoi giorni feriali, quando si lavora nelle fabbriche e negli uffici, quando si prende la metropolitana affollata nelle ore di punta, quando agli ultimi piani delle grandi imprese industriali commerciali e bancarie si decidono alte strategie che guardano i quattro angoli della terra. Ne sa qualcosa la Lega di tutto ciò? E allora ben venga a Milano una rete televisiva se si fa interprete di questi scenari, ma non per portare in scena Gilberto Squizzato di Busto Arsizio o il Duca Lamberti di Scerbanenco. Con tutto il rispetto per la loro produzione, questa non mi pare una motivazione sufficiente per spostare una rete televisiva al Nord. E questo per una sola ragione. L´"accento del Nord", la sua cultura è altrove, non dove la vede il consigliere Rai Albertoni, che forse, coi tempi che corrono, ha confuso una rete Rai con una festa di paese.

Umberto Galimberti

Umberto Galimberti, nato a Monza nel 1942, è stato dal 1976 professore incaricato di Antropologia Culturale e dal 1983 professore associato di Filosofia della Storia. Dal 1999 è professore ordinario …