Giorgio Bocca: La pietà per quel BR

07 Marzo 2003
Ci sono vari modi di comportarsi davanti al cadavere del brigatista Mario Galesi ucciso da un poliziotto sul treno Roma-Arezzo. Il più agghiacciante sembra quello dei suoi parenti che non si sono fatti vivi, non sono andati a riconoscerlo, non hanno pianto la sua morte, lo hanno lasciato, come usa dire, come un cane. Ma non conosciamo i rapporti familiari, di convenienza, di paura e altri che stanno dietro a quest´abbandono.
Il secondo modo è quello della pietà cristiana del vescovo di Arezzo Gualtiero Bassetti che ha pregato per la sua anima e benedetto il cadavere. Un terzo modo è quello dello Stato, il modo del ministro degli Interni che ha ribadito la condanna del terrorismo, ma invitato civilmente i rappresentanti del popolo a una umana pietà.
C´è anche il modo dei letterati, il modo di Cesare Pavese, l´antifascista che vede in una vigna del Monferrato i cadaveri dei suoi nemici, i soldati della Repubblica di Salò, e si confessa impari a un giudizio umano. Poi ci sono i vari modi dei poliziotti, di quelli che devono combattere i Mario Galesi e magari esserne uccisi. Il generale Carlo Alberto Dalla Chiesa ne usava diversi nella sua guerra alle Brigate Rosse, anche quello dell´umanità interessata, ma quando il conflitto era ormai deciso. Prima no, prima negli anni senza quartiere i suoi carabinieri soffocavano nel sangue le rivolte carcerarie e nella notte del 28 marzo del 1980 i suoi carabinieri fecero irruzione nel covo genovese affittato dalla Cecilia Ludman e quattro brigatisti vennero crivellati di colpi, anche se la casa era circondata e una resa era possibile.
Quello era il modo dell´antiterrore per far capire ai brigatisti che non c´era scampo. E l´opinione pubblica capì e in certo modo approvò, nessuno chiese che fosse aperta un´inchiesta fin troppo facile sull´operazione. La stessa tacita approvazione dell´azione contro i rivoltosi nel carcere di Alessandria del 1974 guidata da Dalla Chiesa: sette morti fra cui cinque ostaggi. Non era sempre disponibile alla clemenza il generale. Intercessi una volta per il brigatista Naria che era ammalato e non sopportava il carcere duro. "Non me lo chieda - disse lui - ha ucciso un giudice, un servitore dello Stato".
Il generale era come gli si chiedeva di essere; un uomo di guerra uno psicologo, un tecnico. Il controllo poliziesco delle carceri fu l´arma decisiva nella lotta al terrorismo. Il carcere è il solo luogo in cui il terrorismo possa essere infiltrato, intercettato nelle sue comunicazioni, unico sbarramento invalicabile la prova delle armi; non si poteva chiedere a un poliziotto infiltrato di usare le armi per convincere i terroristi. E c´era il modo psicologico. "Lo adottammo" mi diceva il generale "negli ultimi anni. Avevano capito che erano demotivati che non credevano più in quello che facevano. Il mio gruppo usò l´arma psicologica. Erano stanchi delusi avevano voglia di parlare, di scaricare il fardello. Noi li trattavamo con cortesia "vuoi leggere i giornali?". "Hai bisogno di medicine?". "Vuoi scrivere ai tuoi?". Mai una domanda sulla lotta armata, sulla organizzazione. Si aspettavano torture, interrogatori di terzo grado di cui avevano parlato mille volte nella clandestinità. Si aspettavano il poliziotto feroce. E li prendeva anche una sorta di delusione: ma come io potrei raccontare tutto di noi, i covi, depositi di armi, gli indirizzi e questi non mi degnano di una domanda. Quando ci chiedevano di farli incontrare con i parenti capivamo che erano maturi per la confessione, volevano l´approvazione della Mamma".
Parlavano e a volte venivano colti da un perfezionismo poliziesco. Un giudice potrà dire del Viscardi uno dei capi di Prima Linea "sarebbe stato un ottimo poliziotto, ha fatto delazioni precise e accurate, ha partecipato alle indagini. Si era creata una simbiosi perfetta fra lui e i poliziotti".
Si fanno molte discussioni sul terrorismo di oggi, sulle sue motivazioni, se siano o non siano gli eredi delle Brigate Rosse di Moretti. Ma nelle Br di ieri e di oggi si può trovare ogni tipo di uomo. Uno come Tonino Paroli che si rifiutava di accettare una imputazione di furto d´auto, che lo avrebbe salvato da una pesante galera perché mi disse che se ne vergognava con i parenti e gli amici. E c´erano quelli che prima avevano plagiato dei ragazzi delle scuole medie, li avevano convinti ad arruolarsi e poi li denunciavano per godere delle clemenze giudiziarie.
I metodi morbidi o durissimi per far la lotta al terrorismo si conoscono, le ragioni per cui si è terrorista restano un mistero.

Giorgio Bocca

Giorgio Bocca (Cuneo, 1920 - Milano, 2011) è stato tra i giornalisti italiani più noti e importanti. Ha ricevuto il premio Ilaria Alpi alla carriera nel 2008. Feltrinelli ha pubblicato …