Umberto Galimberti: Il silenzio di Dio condanna le armi

03 Aprile 2003
Ieri, all´udienza generale del mercoledì in piazza San Pietro, il Papa, citando Isaia, è tornato a parlare, come già aveva fatto due mesi fa, del "silenzio di Dio" che, di fronte alle atrocità della storia, può generare "perplessità" e, per l´uomo giusto, perfino "scandalo". Ma questa volta il Papa ha aggiunto che "il silenzio di Dio non sta ad indicare la sua assenza, quasi che la storia sia lasciata in mano ai perversi, nell´indifferenza e nell´impassibilità del Signore". Quel tacere, ha proseguito il Papa citando un passo del Libro di Giobbe, "sfocia in una reazione simile al travaglio di una partoriente che s´affanna, sbuffa e urla".
Anche nel dolore, quindi, anche nel dolore più atroce non c´è il buio della cieca insensatezza che talvolta sembra colpire la storia individuale e quella collettiva, ma la trama nascosta di un senso che il silenzio di Dio non indica, ma la sua presenza silente custodisce. Il discorso non è propriamente cristiano, perché il Dio che il Papa indica non è il Padre misericordioso e disposto al perdono, a cui i Vangeli fanno continuo richiamo, ma è il Dio biblico che si chiude nel silenzio, perché le azioni degli uomini non sono buone per sollecitare la sua benedizione, e neppure cattive per provocare la sua maledizione, ma perverse. Il bene e il male rientrano in un quadro di ordine e disordine, dove il senso della storia resta comunque segnalato dalla benedizione o dalla maledizione di Dio, ma la "perversione" abolisce il senso, ne fa perdere le tracce, inabissa la storia nel caos dell´insensatezza, ammutolisce Dio che resta presente come testimone dello spettacolo del male. Non il male che è il contrario del bene e per il quale è previsto anche il perdono di Dio, ma il male radicale, quello che antecede la stessa distinzione tra il bene e il male, perché lo spettacolo che dischiude non è quello dell´ordine o del disordine, ma quello dell´insensatezza che inabissa la storia nella luce nera dell´assenza di senso, dove la parola di Dio non solo non è ascoltata, ma neppure udita. E allora Dio tace. E nel suo silenzio accade il pianto del giusto e la ferocia dell´ingiusto, la morte dell´innocente e la parola vana di chi vuol riordinare la storia dopo aver ammutolito Dio.
Proprio perché non "cristiane", ma "veterotestamentarie" queste parole del Papa non sono di parte, non difendono il cristianesimo contro l´islamismo, perché sia i cristiani, sia i musulmani, sia gli ortodossi, sia i protestanti si riconoscono nel Vecchio Testamento, da cui il papa trae le immagini e le parole che restano dopo che Dio s´è chiuso in quel silenzio che non è assenza, ci ricorda il papa, ma impietrita presenza che vigila sull´accadere fragoroso del Male. Il Papa parla un linguaggio simbolico. Ma che significano le sue parole per un laico, o in generale per chi non crede che la storia sia governata da Dio, lo stesso Dio invocato a giusto titolo dal Papa, ma senza titolo, e quindi con effetti tragici, sia da Bush sia da Saddam? Dico "tragici" perché quando il conflitto tra gli uomini si ammanta di sacralità la ragione collassa, sommersa dalla dimensione simbolica la cui potenza infiamma i cuori e ottenebra le menti. La storia umana è uscita dalla dimensione simbolica solo da due secoli e limitatamente all´Occidente, che con l´Illuminismo ha promosso il primato della ragione e quel suo corollario che è il laicismo, essendo Dio il fondamento di ogni dimensione simbolica. Ora è necessario che l´Occidente non rinneghi se stesso e gli strumenti razionali che ha faticosamente guadagnato nel corso della sua storia, e non ripiombi nel simbolico e nella violenza che sempre accompagna questa dimensione, per la quale il bene sta tutto da una parte e il male dall´altro: "O con noi o contro di noi" come inopportunamente dicono Bush e Saddam, con chiaro riferimento alla lettera e allo spirito biblico.
La cristianità teocratica del Medioevo da un lato e la teocrazia islamica dall´altro avevano trasmesso alla modernità il loro paradigma universalistico. In forza di un privilegio stabilito da Dio toccava all´Islam su un versante e alla cristianità sull´altro difendere le proprie forme culturali fino ai confini della terra. L´Islam è rimasto prigioniero di questa vocazione. Non vorrei che l´Occidente che ritiene di essersene liberato grazie al processo di secolarizzazione che nel suo seno è in corso da due secoli oggi non riprenda, sotto nuove forme e nuovi metodi, la vocazione messianica in cui è cresciuto per diciotto secoli. E con la forza delle armi e del denaro scelga, di fronte a un´aggressione terribile come è stata quella dell´11 settembre, la via della distruzione e dell´integrazione, proponendo se stesso come totalità, invece di cogliere la possibilità di crescita umana implicita nel confronto con la diversità.
Ogni tanto la storia si incarica di rendere la soluzione dei problemi non più rinviabile. E chiede una scelta. Per quanto riguarda noi occidentali la scelta è se proseguire, sia pure in forme laicizzate, la vocazione messianica che fa coincidere l´Occidente con la totalità umana, o se invece non è meglio percorrere l´altra via che visualizza l´Occidente come una parte nell´orizzonte più ampio della totalità umana. Nel primo caso la guerra in corso, anche se non è chiamata guerra santa, in nulla si distinguerà da una vera e propria Jihad, perché quando il bene è tutto da una parte e il male tutto dall´altra il simbolico ha già fatto il suo lavoro più importante e devastante, e l´Occidente avrà rinunciato alla sua prerogativa, che è poi quella dell´uso costante della ragione, da salvaguardare ogni giorno dalla potenza devastante dei simboli che, sotto la protezione delle religioni, ancora regola gran parte dell´umanità. A questo punto il "silenzio di Dio", così drammaticamente segnalato dal Papa, per un laico può voler dire un benevolo tacere della dimensione simbolica, affinché i deboli strumenti della ragione, che il simbolico sopprime, possano di nuovo riapparire per diffondere quella luce che, anche se non è sfolgorante come quella di Dio, può consentire a uomini finora distanti, perché provenienti da culture diverse, di guardarsi in volto e riconoscersi.

Umberto Galimberti

Umberto Galimberti, nato a Monza nel 1942, è stato dal 1976 professore incaricato di Antropologia Culturale e dal 1983 professore associato di Filosofia della Storia. Dal 1999 è professore ordinario …