Enrico Franceschini: Abu Abbas, la "primula rossa" palestinese

17 Aprile 2003
Gerusalemme - "L´Italia ha donne troppo belle e cibo troppo buono per non tornare a visitarla, dunque spero che prima o poi mi revochi l´ergastolo". Esordì così, Abu Abbas, nell´intervista che mi concesse per "Repubblica" nel maggio '98, a Gaza, a qualche centinaio di metri dall´ufficio di Arafat. Il "cervello" del sequestro dell´Achille Lauro era arrivato nella striscia di terra autonoma palestinese pochi mesi prima, con il permesso di Israele, dopo una solenne abiura del terrorismo. Non sembrava più l´inafferrabile "primula rossa" della lotta armata. Non si sentiva nel mirino della giustizia: israeliana, italiana o americana. Parlava di pace con lo Stato ebraico. Eppure, due anni più tardi, tornò a predicare la violenza e riprese la vita di clandestino, la fuga senza fine attraverso le capitali del Medio Oriente: una rocambolesca odissea che si è conclusa martedì notte a Bagdad, davanti ai mitra della Delta Force. E adesso è improbabile che potrà mai realizzarsi quel suo desiderio di rivisitare le "belle donne" e il "buon cibo" d´Italia.
Nato 55 anni fa ad Haifa, grande e grosso, baffoni spioventi e sorriso gioviale, Mahmud Abbas alias Abu Abbas è stato una delle figure più note e controverse dell´Olp. Capo di una fazione radicale di orientamento marxista, il Fronte per la Liberazione della Palestina, per anni ha seguito gli spostamenti di Arafat in esilio, dando pieno appoggio alla campagna di attentati e assassinii contro Israele. Come raccontò nell´intervista a "Repubblica" (e come confermato dalla Cia), l´operazione a cui deve la sua maggior fama fu il frutto di un errore: "L´Achille Lauro non doveva essere sequestrata. Il commando doveva utilizzarla soltanto per sbarcare in Israele e lì attaccare una base militare. Ma un cameriere aprì la porta della cabina, vide le armi, si mise a gridare, e a quel punto i miei uomini furono costretti ad agire".
Ciò spiega perché, dopo le pressioni del governo Craxi su Arafat, il leader palestinese inviò Abbas in Egitto per mediare il rilascio di passeggeri ed equipaggio: sequestrarli non era mai stato il suo obiettivo. Liberata la nave, venne la sfida a sorpresa tra carabinieri e Delta Force a Sigonella: e mentre i suoi compagni rimasero agli arresti in Italia, lui fu rimesso in libertà, con un volo per Belgrado. Soltanto durante il processo emerse il suo ruolo di mandante, anziché di generoso liberatore, in un´operazione responsabile di un atto di pirateria e della morte di un passeggero, l´ebreo americano Leon Klinghoffer, crivellato di colpi e gettato in mare sulla sua carrozzella di paraplegico.
Condannato all´ergastolo in contumacia dalla giustizia italiana, inseguito da un mandato di cattura per omicidio della giustizia americana, oltre che dagli israeliani del Mossad che gli davano la caccia, Abbas si rese introvabile. Girava tra Beirut, Damasco, il Cairo; ma la sua base era soprattutto Bagdad. Con il "socialista" Saddam Hussein si intendeva bene; pare che appunto dall´Iraq siano sempre giunti i finanziamenti al suo movimento. L´avvio del processo di pace tra Israele e Autorità Palestinese non gli fece cambiare subito idea: accusò Arafat di "tradimento", continuando a sostenere il terrorismo. Ma col tempo, gradualmente, Abbas si convertì al dialogo con il "nemico".
Nel '97 votò a favore dell´abrogazione dell´emendamento della Costituzione palestinese che chiedeva la distruzione di Israele. E qualche mese dopo, nel '98, fece un trionfale ritorno nei territori dell´Autonomia palestinese. Le forze israeliane lo ebbero in mano per cinque ore sul ponte di Allenby, al confine tra Giordania e Israele: poi, a malincuore, lo lasciarono entrare. La Corte suprema di Israele stabilì che non poteva essere incriminato; di conseguenza, l´esercito non poteva catturarlo o eliminarlo. Nello stesso periodo la giustizia americana lasciò cadere il mandato di cattura. Rimaneva l´ergastolo comminatogli in Italia: ma lui era convinto che un giorno sarebbe decaduto anche quello.
Quando lo incontrai, a Gaza, era il tipico esemplare della nomenklatura palestinese: ufficio a due passi da quello di Arafat, Mercedes con autista, orologio d´oro, abiti di buon taglio, una Marlboro dietro l´altra in bocca. Nell´intervista espresse rincrescimento per la morte di Klinghoffer, che "incitando gli altri passeggeri alla ribellione aveva innervosito i membri del commando". E si disse grato per la tenacia con cui Craxi lo aveva difeso dalla Delta Force di Reagan. "Se Bettino è stanco dell´esilio a Tunisi", disse, "gli daremo il benvenuto qui a Gaza".
Poi l´atmosfera cambiò. Nel luglio del 2000 il negoziato di pace, già zoppicante, parve arenarsi al summit di Camp David. In settembre scoppiò l´Intifada. Abbas tornò sulle sue vecchie posizioni, annunciando che i palestinesi potevano conquistare uno stato solo con la lotta armata. Divenne (di nuovo) sgradito ad Arafat; e (di nuovo) un bersaglio per Israele. Alla prima occasione, lasciò Gaza e non vi fece più ritorno, tornando a rifugiarsi nella città dove aveva trascorso gran parte dei 17 anni precedenti: Bagdad.
Sapeva che gli americani lo cercavano: nel dicembre scorso lasciò precipitosamente l´Egitto, dove si era recato per partecipare a una conferenza trai gruppi estremisti palestinesi, perché le autorità locali gli avevano segnalato che la Cia gli preparava una trappola. Ma alla fine la "primula rossa" si è messa in trappola da sola, restando in Iraq ad aspettare la guerra, facendosi arrestare da quella stessa Delta Force che aveva beffato tanti anni prima, sulla pista di Sigonella.

Enrico Franceschini

Enrico Franceschini (Bologna, 1956), giornalista e scrittore, è da più di trent'anni corrispondente dall’estero per “la Repubblica”, per cui ha ricoperto le sedi di New York, Washington, Mosca, Gerusalemme e …