La scienza sotto accusa. Dialogo tra Umberto Galimberti e Umberto Veronesi

27 Maggio 2003
L´etica della scienza. Il trionfo della tecnologia e il pericolo di un nuovo oscurantismo. Il diritto dell´uomo all´autodeterminazione, fino all´eutanasia. Sono i grandi temi affrontati in questo dialogo tra Umberto Galimberti e Umberto Veronesi, alla vigilia della presentazione, a Milano, della nuova "Fondazione Umberto Veronesi per il progresso delle Scienze". Una Fondazione laica, di prestigio internazionale, che nasce con lo scopo di promuovere la ricerca libera, contribuire alla diffusione della cultura scientifica, attirare e trattenere in Italia gli scienziati migliori. Grandi nomi della ricerca mondiale fanno parte del Comitato d´onore della Fondazione, da Michael J. Bishop a Renato Dulbecco, da Luc Montagnier a Rita Levi Montalcini, da Margherita Hack a Carlo Rubbia.

Umberto Veronesi: "Sono preoccupato. Perché vedo una regressione culturale del mondo, che sembra spesso dimenticare la forza della ragione, a favore di visioni un po´ primordiali. Qualche volta mistiche, qualche volta miracolistiche, qualche volta sciamaniche. Sono preoccupato perché sull´onda di questa regressione si stanno sviluppando dei movimenti antiscientifici. Il rifiuto di accettare le novità della scienza, anche se benefiche, per esempio in agricoltura. Oppure, se parliamo delle cellule staminali, penso la difficoltà che abbiamo ad utilizzare gli embrioni che sono lì, destinati ad essere buttati nel lavandino. Vedo un nuovo oscurantismo. Basta guardare sui giornali le pagine dedicate ai maghi, alle chiromanti, molto più lo spazio dedicato agli oroscopi di quello dedicato alla scienza. C´è un ritorno alle madonne che piangono. Siamo alla riscoperta di Satana. Al dualismo tra la potenza del Male e quella del Bene. Per questo ho sentito il bisogno di creare una Fondazione di pensiero illuminato, razionale, scientifico".
Umberto Galimberti: "Dovremmo cominciare a considerare il fatto che la tecno-scienza non è più uno strumento al servizio dell´uomo, perché le sue dimensioni sono diventate tali che i suoi scopi non sono più antropologici. È tipico della scienza produrre effetti non previsti. Perché la ricerca è aperta a tutto campo e tutto quello che si scopre si scopre. Chi avrebbe pensato 50 anni fa alla clonazione? Nessuno. La scienza sviluppa metodicamente, grandiosamente, le sue procedure, le quali sortiscono delle conoscenze che non erano state previste. Hanno questo effetto di imprevedibilità che è quello che mette in scacco l´etica. Come si comporta un´etica quando si trova davanti ciò che non è stato previsto? La fecondazione artificiale era prevedibile cent´anni fa? No. Però abbiamo ancora un´etica di cent´anni fa. Cioè un´etica che si è limitata a regolare i rapporti tra gli uomini. Ma non è mai entrata a discutere, per esempio, degli enti di natura. Non abbiamo avuto un´etica che si è presa cura dell´aria, dell´acqua, del buco dell´ozono. Perché l´etica regolava solo i rapporti tra gli uomini. Ora come si fa a fare interagire una scienza che galoppa, producendo effetti imprevedibili, con un´etica allo stato attuale così arretrata? Le etiche che noi abbiamo in mano sono etiche naturali. Guardano alla natura come il bene. E tutto ciò che fuoriesce dall´ordine naturale diventa sospetto. C´è un enorme problema di ignoranza. E non si può decidere a colpi di maggioranza o di sensibilità comune. Non si può rifiutare l´eutanasia perché il senso comune non vuole la morte e l´eutanasia è inclusa nella morte".
Veronesi: "L´eutanasia non è altro che un´espressione dell´autodeterminazione. Il pensiero laico crede nella libertà di decidere di noi stessi. Mentre il pensiero religioso parla di sacralità della vita. Nell´etica laica il diritto all´autodeterminazione arriva a comprendere anche il diritto a suicidarsi. E l´eutanasia non è altro che un´assistenza al suicidio. Ma tornando alla scienza, è importante dividerla dalla tecnologia. La scienza risponde a dei principi, tradizionalmente quelli galileiani della ricerca della verità, della riproducibilità, della universalità. Penso alla funzione civilizzatrice della scienza, che ha riscattato l´uomo da credenze primordiali. L´uomo vuole conoscere. E´ più forte di lui, è una sua necessità interiore. Un bisogno che ha scritto nel Dna. E la scienza deve conoscere. Questo è il suo scopo. Anche se non ci servirà a nulla di concreto abbiamo bisogno di esplorare l´universo. La tecnologia, invece, risponde solo al mercato. Risponde solo ai consumi. Pensare che le tre grandi aree di sviluppo in questo periodo storico sono le biotecnologie, l´informatica e le telecomunicazioni, mi terrorizza. Rischiamo di mettere il mondo in mano alla tecnologia, che vive una sua vita amorale. Priva di intenzioni e di responsabilità".
Galimberti: "Ecco, se riusciamo a mantenere le differenze tra scienza e tecnica, se riusciamo a salvaguardare una differenza tra il pensare e il fare, la scienza potrebbe diventare l´etica della tecnica. La tecnica procede la sua corsa sulla base del "si fa tutto ciò che si può fare". La scienza, che è il luogo pensante, potrebbe diventare, invece, il luogo etico della tecnica. Non l´etica tradizionale, che è troppo arretrata. La scienza potrebbe diventare il luogo eminente del pensiero che pone un limite. Nel senso di dire "tecnica, poniti degli scopi nella qualità delle tue ricerche". Perché la scienza ha un´attenzione umanistica. Promuove un agire in vista di scopi. Mentre la tecnica è un fare senza scopi, è solo un fare prodotti".
Veronesi: "La tecnologia produce splendidi navigators per le automobili. Ma nessuno si preoccupa se avere un navigator sull´auto possa essere il primo passo verso la perdita della libertà. Il giorno in cui, davanti alla paura del terrorismo o della criminalità, si obbligherà ogni automobile ad avere un piccolo sensore sul tetto, con un grande occhio che controlla dal satellite le auto di tutto il mondo, avremo perso la nostra libertà. Saremo tutti rotelline di un immenso ingranaggio. La mia preoccupazione maggiore è che la tecnologia si stacchi dalla scienza, la superi. E la scienza non riesca più a starle dietro con un disegno strategico. Questo è il punto: dobbiamo evitare, in ogni modo, che la tecnologia sia indipendente dal mondo scientifico. Bisogna creare dei limiti e dei princìpi. Bisogna che la tecnologia torni ad essere quello che era: uno strumento della scienza. E non si trasformi, invece, da strumento a fine, come è successo, purtroppo, al denaro. La gente spesso lo accumula e non sa perché lo fa. Il mare che separa il dire dal fare va adesso percorso in senso inverso. Affinché il fare non arrivi prima del dire".
Galimberti: "Certo. Proprio così. Ma la scienza deve fare presto questo lavoro. Imporre la sua etica. Indicare le prospettive da raggiungere. Deve fare presto perché la tecnica, nel frattempo, sta modificando l´uomo. Se io parlo con un computer, invece che con un uomo, già modifico la mia qualità di comunicazione. La tecnica poi, i cui valori sono "funzionalità" ed "efficacia", comincia a strutturare il mio pensiero nella modalità per cui tengo conto solo di ciò che è vantaggioso e svantaggioso, utile, produttivo. Categorie che Heidegger chiamava "pensiero calcolante", pensiero che sa far di conto. Fuor di lì niente. Lo vediamo tra i giovani, che hanno più facilità a rapportarsi tecnologicamente che antropologicamente tra loro".
Veronesi: "Io definisco la medicina un insieme di tre componenti: scienza, arte e magia. Il medico sa di assolvere questi tre compiti. La scienza è il pensiero ideativo. L´arte è il saper fare, la tecnologia. E poi c´è la magia, che è un´altra forte componente: la capacità di influenzare psicologicamente il paziente. Quasi un´ipnosi. Una specie di plagio. Con il rischio di manipolare la sua volontà".
Galimberti: "La salute ha delle grosse parentele con la salvezza. Prima di Ippocrate chi erano i medici se non i sacerdoti? Ma se è vero che la scienza si distacca dalla religione, non è vero che questo distacco avviene sempre nella mente dei pazienti. Nel senso che il paziente investe il medico di una dimensione sacrale. Quando è su un letto, morente, gli chiede la salvezza. Che è troppo. A questo punto non si tratta più di scienza, ma di superstizione scientifica".

Umberto Galimberti

Umberto Galimberti, nato a Monza nel 1942, è stato dal 1976 professore incaricato di Antropologia Culturale e dal 1983 professore associato di Filosofia della Storia. Dal 1999 è professore ordinario …