Umberto Galimberti: Il prezzo pagato dalle siamesi

17 Luglio 2003
La loro vita, che immaginiamo terribile, non le aveva spente. Si erano laureate in legge, avevano progetti per il futuro e anche una carica d´entusiasmo e di vitalità che non hanno nascosto davanti alle telecamere prima dell´intervento, ma insieme avevano capito che proprio la laurea, proprio il progetto, proprio l´entusiasmo, proprio la vita potevano esprimersi solo se il loro futuro avesse avuto i caratteri dell´individualità e della singolarità, fuori da quella condizione fisicamente simbiotica che avrebbe fatto della loro vita un puro quantitativo biologico. Perché in questo caso la morte era preferibile.
Il mondo si è commosso come sempre accade quando la scelta non ha soluzioni intermedie, ma gioca sul registro del tutto/nulla, dove il tutto è la vita e il nulla non è solo la morte, ma quella non-vita che si profila all´orizzonte quando la condizione fisica chiude ogni progetto, preclude ogni amore, spegne qualsiasi futuro.
La storia delle due ragazze iraniane ci riguarda, anche se la nostra condizione sembra così distante dalla loro. Per questo ce ne occupiamo. È una storia che ci dice che per gli uomini la vita non è un semplice percorso biologico da difendere a ogni costo, perché la vita è vita e va comunque difesa. No. La vita è vita se è la "mia" vita, se ha almeno quella caratteristica che Husserl indicava nella "Jemeinigkheit" (Mietà), se, pur tra mille condizionamenti, io posso considerarmi l´autore di quel che penso, di quel che faccio, di quel che progetto e realizzo e non mi vedo ridotto a semplice espressione di una vicenda biologica, dove la natura, nella sua completa indifferenza, esprime la sua vitalità, anche mostruosa, ma non io la mia vita.
Penso che quando i cristiani parlano di "anima" si riferiscano alla vita che ciascun individuo progetta e costruisce al di là e oltre la sua vicenda biologica, per cui quando sento che la vita va difesa a tutti i costi, qualunque sia la sua espressione, avverto una sorta di rinnegamento dell´anima, un misconoscimento di tutti quei valori esistenziali che la parola "anima" porta con sé.
E questi sono che la vita che mi riguarda e mi coinvolge non è quella biologica che ricevo, ma quella personale che costruisco e in cui mi identifico. Solo specchiandomi in questa seconda vita posso chiamarmi per nome e riconoscermi e pormi in relazione agli altri come quell´io che sono di fronte a quel tu che sei.
Certo il corpo organico, sede della vita biologica, mi dà le sue cadenze, ma non l´amore dell´infanzia, l´entusiasmo della giovinezza, la responsabilità dell´età adulta, lo sguardo sereno della vecchiaia. Questi tratti, in cui riconosciamo la vita, anzi la "nostra" vita, non sono eventi biologici, ma figure di quel nostro essere al mondo, non come le piante o gli animali, ma come quelli che sono al mondo per costruirne uno "proprio" in cui riconoscere la "propria" vita.
Perché se la vita non è la "propria" è qualcosa che non ci riguarda. E siccome già sono tante le condizioni che ostacolano la "proprietà" della nostra vita, non difenderei a tutti i costi i diritti della vita biologica quando le sue condizioni rendono impossibile quella esistenziale, l´unica in cui noi ci riconosciamo e, grazie a questo riconoscimento, a noi stessi possiamo dire: "Questa è, o è stata, la mia vita".
Non neghiamo a nessuno il diritto di una vita personale solo per salvaguardare i diritti della vita biologica. Sarebbe bieco materialismo e misconoscimento dell´anima. Questo penso sia stato il vissuto delle due sorelle iraniane alla base della loro decisione di farsi dividere. Una richiesta di vita "propria" anche a scapito della vita biologica.
L´intervento chirurgico non ha avuto successo. La biologia ha dettato la sua legge, corredata come sempre dal suo solito tratto di inesorabilità. Ma non c´è in quella morte, seguita all´insuccesso dell´intervento, un´esigenza di vita, un tentativo di oltrepassare l´inesorabilità della natura? E non è proprio l´uomo il tentativo di oltrepassamento di questa inesorabilità? E non è proprio la parola "anima" a indicare il senso sotteso a questo tentativo? Io penso di sì.

Umberto Galimberti

Umberto Galimberti, nato a Monza nel 1942, è stato dal 1976 professore incaricato di Antropologia Culturale e dal 1983 professore associato di Filosofia della Storia. Dal 1999 è professore ordinario …