Antonio Tabucchi: Di Sofri, di lodi, di Bella

18 Luglio 2003
Il ministro della giustizia Castelli, in libera uscita a Parigi, ha dichiarato che solo a sentir parlare di grazia a Sofri perché è un intellettuale gli vengono i brividi. Ho pensato alla rivalità che in Italia esiste fra gli intellettuali. Perché ho il sospetto che anche Castelli sia un intellettuale, nonostante faccia di tutto per nasconderlo, riuscendoci benissimo: quando si dice la modestia. Deve aver fatto difficili studi giuridici (è anche ingegnere) e la sua maniera di esprimersi rivela un pensiero di formazione umanistica, quell'Umanesimo di cui può andar fiera la cultura italiana che ha prodotto Galileo, Pico della Mirandola, Leonardo, il Rinascimento, le corti signorili, i Medici, gli Estensi, le città e le opere d'arte per cui ogni anno milioni di turisti visitano il nostro paese, senza trascurare, si spera, nei loro circuiti di istruzione, l'ambiente naturale dove vive il ministro Castelli. Come è auspicabile che costoro, insieme ai fondamentali testi italiani di filosofia della politica e del diritto che derivano dalla tradizione dell'Umanesimo (Beccaria, Gobetti, Bobbio, Einaudi) si istruiscano anche sui discorsi dell'ingegnere Castelli. Discorsi che per ora circolano alla buona, ma per i quali si auspica un'edizione commentata dell'Università di Heidelberg. Prima o poi ce la devono, questi tedeschi, invece di fare solo i turisti, e si accorgeranno cos'è un pensiero di razza.
Ma sul caso Sofri l'ingegner Castelli, lasciandosi rapire dalle sue profonde riflessioni giuridico-filosofiche, rischia di dimenticare dei dettagli tecnici che pertengono al suo ruolo di ministro di grazia e giustizia, e rischia anche (cosa che spiace) che il suo ragionamento possa essere scambiato per la spacconata di certi suoi amici di paese, quelli che dicono che gli extracomunitari devono essere presi a fucilate come i conigli selvatici. Pensieri certamente lontanissimi da un uomo di studi come l'ingegner Castelli. Per questo, con tutto il rammarico di riportarlo alla banale realtà, mi permetto di ricordargli "tecnicamente" i suoi obblighi di ministro. Il primo obbligo che compete al ministro di grazia e giustizia allorché nel Paese una considerevole parte dell'opinione pubblica si manifesta a favore della grazia di un condannato (e con Sofri, esclusa qualche rara voce neo-nazista, siamo praticamente al plebiscito) è di istruire il procedimento di grazia. Il procedimento è obbligatorio ma non vincolante, nel senso che il ministro Castelli una volta istruito ciò che deve istruire può metterlo in un cassetto, chiuderlo a chiave e lasciarlo perdere (c'è un vocabolo celtico che rende bene l'idea, amato dal ministro Bossi: fottersene). Ma deve istruirlo. Tale procedimento consiste in una richiesta di pareri. Che nel caso specifico sono:
1) il parere dei magistrati di sorveglianza del condannato in questione.
2) il parere del procuratore generale presso la corte di appello dove è stata emessa la sentenza;
3) il parere della famiglia della vittima o delle vittime.
Vengo al dunque: molti cittadini italiani desiderano sapere se il ministro Castelli ha fatto quanto era di suo dovere e competenza. Dopo di che si attenderanno i risultati della cura Di Bella, come è stata tradotta in italiano l'espressione inglese "moral suasion". Alle meditazioni di Castelli si è aggiunta la riflessione di un deputato post-filantropo che propone uno scambio fra Sofri e Priebke. Insomma, la liberazione di una persona condannata dopo una decina di sentenze contraddittorie (scusate se insisto a ricordare che il processo Sofri è un processo indiziario basato sulla parola di un pentito) "bilanciata" dalla liberazione del responsabile del massacro delle Fosse Ardeatine. La proposta mi pare istruttiva, non tanto per il numero delle vittime (non è il caso di fare contabilità mortuaria) né per la difficoltà di chiedere il parere della famiglie delle vittime (forse il post-filantropo passerebbe personalmente di casa in casa, sacrificando i suoi alti impegni istituzionali) quanto perché essa mi pare la flagrante dimostrazione di una mia affermazione apparsa di recente su questo giornale: che l'Italia non ha mai fatto né pulizia né ammenda del suo passato. Affermazione che Mario Pirani sulla Repubblica ha definito "uno svarione storico". A Pirani avevo pensato di rispondere per chiarire meglio la mia idea, poi mi è passata la voglia (a volte nella vita la voglia passa). Come vuole il buon uso del giornalismo, penserei dunque di non rispondergli sul giornale dove ho fatto le mie azzardate affermazioni. Anche perché penso che a Pirani, giornalista che stimo (e che approfitto per ringraziare per averci finalmente informati che Ciampi non ha fatto la Resistenza) e al quale Pirani, come sappiamo, sta a cuore Sofri, la mia idea potrebbe essere chiarita meglio dall'onorevole a cui sta a cuore Priebke. Per comprendere bene la Storia che viviamo a poco servono i signor nessuno come me, fra l'altro istituzionalmente irrispettosi, come è noto a Pirani. È più utile rivolgersi direttamente alle istituzioni, cioè agli onorevoli priebkiani che rappresentano legittimamente la continuità storica della nostra Italia al governo o in parlamento.
Una proposta di scambio per Sofri ce l'avrei anch'io. Solo che è impraticabile perché la persona in questione, per prendere eventualmente il posto di Sofri, dovrebbe prima essere giudicata da un tribunale italiano, cosa resa impossibile da un "lodo" firmato dal presidente della repubblica. Il quale presidente (ma Pirani nella sua difesa presidenziale omette questo dettaglio) aveva a sua disposizione trenta giorni, prima di firmare una delicatissima legge sulla quale grava un forte sospetto di incostituzionalità. Invece l'ha firmata a spron battuto e così chi doveva essere giudicato da un tribunale italiano è stato salvato in extremis e inviato in Europa a far fare bella figura all'Italia. Pirani sostiene che se Ciampi non firmava le leggi di Berlusconi doveva dimettersi. Un presidente della repubblica, come ha scritto Rossana Rossanda, può tranquillamente respingere una legge alle camere per dimostrare che non gli piace, o pensarci sopra tutto il tempo che gli è consentito. E non per questo deve dimettersi. Secondo me, se un presidente firma una legge a tutta velocità, vuol dire che quella legge gli piace. O che se la deve far piacere. Scegliete voi. Ma io sono una persona semplice, e ragiono per logica elementare. E probabilmente la logica delle istituzioni italiane attuali non corrisponde alla mia. Per questo avrei voglia di dimettermi. Ma non so da cosa. Forse dal prendere la parola. Ma sarebbe anch'essa una dimissione inutile: la parola in Italia oggi non conta niente, e trovare dove dirla è un calvario. Tanto varrebbe abolirla del tutto. Ovviamente ci vuole una legge, anche meno di un lodo, un lodino. Ma a farla ci vuole poco. Anzi, la stanno già facendo. Attendiamo la cura Di Bella.

Antonio Tabucchi

Antonio Tabucchi (Pisa, 1943 - Lisbona, 2012) ha pubblicato Piazza d’Italia (Bompiani, 1975), Il piccolo naviglio (Mondadori, 1978), Il gioco del rovescio (Il Saggiatore, 1981), Donna di Porto Pim (Sellerio, 1983), Notturno indiano (Sellerio, 1984), I volatili del Beato Angelico (Sellerio, 1987), Sogni …