Giorgio Bocca: Blair e le colonie d´Oriente

21 Luglio 2003
Il premier inglese Tony Blair sostiene che la guerra all´Iraq è stata una guerra giusta, si trovino o meno le armi di distruzione totale. È un incipit discutibile: mentire ai propri cittadini e al mondo per fare una guerra non di difesa ma di conquista non sembra un esempio di etica internazionale. Ma di ingiusto in quella guerra non ci sono state solo le menzogne degli aggressori, c´è stato il riproporsi di un colonialismo sorpassato, incapace di risolvere i problemi della convivenza contemporanea, capace di aggravarli.
L´ordine internazionale come lo concepiscono Blair e Bush sembra identico a quello delle grandi potenze nelle due ultime guerre mondiali: le nazioni che dispongono della forza delle armi devono mantenere lo status quo, respingere gli assalti al mondo dai paesi emergenti. Si tratta di una concezione ampiamente superata: oggi i pericoli, i rischi che pendono sul mondo sono diversi dagli scontri armati, sono la distruzione dell´ambiente l´effetto serra, le malattie inguaribili ed epidemiche, la fame, le grandi migrazioni.
Ebbene, chi contribuisce maggiormente alla crescita di questi rischi di questi pericoli sono proprio le grandi potenze come gli Stati Uniti e il Regno Unito che si dicono così preoccupati della pace. Gli Stati Uniti che rappresentano il sei per cento della popolazione mondiale, inquinano per il 25 per cento e si rifiutano categoricamente di ridurre l´emissione di gas. «Posso dirvi una cosa certa - dichiara Bush - non permetterò che il tenore di vita degli Stati Uniti venga deciso da altri e non permetterò che gli Usa si assumano la responsabilità di ripulire l´aria del mondo».
La seconda giustificazione della guerra giusta è che essa è una guerra per la democrazia. Questa ricorda da vicino le promesse di civiltà fatte dai missionari che precedevano le spedizioni coloniali. A parte il fatto che la democrazia non è il modello dei modelli della umana convivenza, a parte il fatto che non è esportabile con gli eserciti, si vorrebbe che i suoi promotori la praticassero e la promuovessero essi per primi, ma così pare non sia: gli Stati Arabi alleati degli angloamericani, dalle cui basi è partita la guerra per la libertà, sono non solo autoritari ma medievali, hanno per giudici i teologi, tagliano la mano ai ladri, segregano le donne, non permettono la libertà di culto. E in altri continenti, nel Sudamerica i protettori delle libertà si sono regolarmente schierati dalla parte dei tiranni e dei reazionari. Dunque, lasciamo stare questa favola un po´ oscena della guerra per la democrazia.
Veniamo a giustificazioni meno nobili ma più concrete come la guerra al terrorismo. Questo è un serissimo problema che rischia di mandare in fibrillazione il mondo intero, ma pare accertato che non lo si risolve con la quantità e la modernità delle armi. La fortezza americana, l´isola americana inattaccabile è stata colpita durissimamente da uomini armati di temperini e di quell´arma delle armi che è il martirio. Il Giappone fu sconfitto nonostante i piloti suicidi ma la loro riedizione nel mondo islamico sta come una nera ipoteca sul futuro. La guerra all´Iraq come una risposta al terrorismo di Al Qaeda è stata una risposta impropria e controproducente. Non è stato provato, e non poteva esserlo, che un regime d´ordine come quello di Saddam, sia pure di tipo autoritario e feroce, un regime laico nato contro la teocrazia, abbia avuto interessi e volontà di allearsi con un terrorismo che mira alla distruzione degli Stati arabi, ai tentativi di modernizzarsi. Il rapporto dell´Iraq di Saddam con Al Qaeda e simili organizzazioni non era differente da quello di Gheddafi e degli altri leader dell´area moderata, un rapporto di inimicizia totale. Certo nell´Iraq come in tutti gli Stati arabi c´è un´opinione popolare decisamente favorevole alla lotta armata, come unico modo possibile di un rinascimento musulmano, ma il rimedio non poteva essere e non è una occupazione militare, già fallita in ogni parte del mondo, nel Vietnam, in Somalia, nell´Africa nera, nell´America del Sud. Una delle virtù ma anche dei limiti americani è il bell´ottimismo patriottico, l´incredibile fiducia nei propri mezzi e nella propria stella, l´euforia o irresponsabilità con cui i collaboratori di Bush hanno passato questi ultimi anni a produrre strategie per il dominio del mondo prive di concretezza anche rispetto ai mezzi pur grandi di cui dispongono. Ora veniamo a sapere che il numero dei soldati americani in Iraq non è sufficiente a presidiare un territorio così vasto e una grande città come Bagdad. La sicumera del Rumsfeld, dei Power e di altri proconsoli ha già subito durissimi colpi e altri ne subirà perché l´aritmetica non è un´opinione neppure per lo Stato più potente del pianeta, le teorie sulla guerra preventiva e continua sono interessanti per i dottor Stranamore come lo erano per i generali di Hitler o per i marescialli di Napoleone ma finirono in disastri. Neppure le necessità economiche e strategiche sembrano convincenti. La necessità del rifornimento petrolifero presentata come una condizione inevitabile di sopravvivenza è vera solo in parte: il petrolio è una merce, chi la produce deve venderla, chi ne ha bisogno ha i soldi per pagarla. E la quantità di petrolio che dal Medio Oriente arriva in America non supera il 15 per cento del totale. C´è il controllo del mercato petrolifero che è un´altra importante questione di soldi, ma che non basta a spiegare una guerra giusta.
Prima ci sarebbe la riduzione dei consumi in alcuni dei paesi civili a dir poco deliranti e da relegare fra gli incubi, i piani della marcia cristiana verso Oriente.

Giorgio Bocca

Giorgio Bocca (Cuneo, 1920 - Milano, 2011) è stato tra i giornalisti italiani più noti e importanti. Ha ricevuto il premio Ilaria Alpi alla carriera nel 2008. Feltrinelli ha pubblicato …