Michele Serra: Il calcio si gioca per decreto

24 Luglio 2003
È probabile che l'opinione pubblica, calciofili compresi, abbia seguito fin qui senza eccessiva passione il pazzesco "caso Catania". Considerandolo, al massimo, una pittoresca bega, di quelle che nascono e muoiono all'ombra dell'eterno campanile italiano. Sbagliato: perché la sassata tirata dal (non solo pittoresco) presidente Gaucci sul calcio italiano è di quelle che fanno deragliare i treni.
Giova ricordare il casus belli: un minuscolo cavillo regolamentare (un giocatore del Siena che ha giocato una partita di troppo nel campionato Primavera) al quale Gaucci si è appigliato con una raffica di ricorsi alla magistratura ordinaria, con lo scopo di mandare a monte e la partita tra il Catania e il Siena e l'intero campionato di serie B. Con ottimi risultati: il Catania, che secondo la logica e l'etica sportiva era retrocesso in C, rientra in serie B a cavallo di una carta bollata, come Aladino sul tappeto volante.
Ne esce del tutto sconvolto, e scusate se è poco, il principio di autodeterminazione dello sport, fin qui intoccato. Perfino nei gravissimi casi di corruzione e doping (ricordiamo lo scandalo del Calcioscommesse, con i carabinieri in campo, e le inchieste di Guariniello sulla disinvoltura di certa farmacopea da spogliatoio), l'intervento della magistratura ordinaria non ha mai influito su risultati e classifiche. Solo la giustizia sportiva, avendone il diritto e il dovere, poteva cambiare il responso del campo. Gaucci è riuscito a far passare il nuovissimo ed esiziale principio secondo il quale buoni avvocati valgono più di buoni giocatori.
E non è tutto. A rendere incerto e incompleto il cast dei prossimi campionati, come se non bastasse il ripescaggio coatto del Catania, sono anche le tare finanziarie di alcune società (di turno Roma e Napoli), la cui iscrizione dipende dalla generosità degli istituti di credito. Cecchi Gori e la Fiorentina furono la ruvida eccezione, al momento decisivo nessuno versò l'obolo e società e squadra sprofondarono. In altri casi, fin qui, è valsa una poco trasparente intercessione di banche e cordate finanziarie che spesso stravolge gli assetti proprietari e crea sinergie non certo commendevoli tra società che sul campo dovrebbero essere rivali, e dietro le quinte magari sono legate a doppio filo. Quanti derby tra squadre "gemellate" in banca si giocano, in Italia? Di alcuni si è al corrente, di parecchi altri probabilmente no.
Pateracchio dopo pateracchio, sgambetto dopo sgambetto il governo del pallone si ritrova di fatto a subire pressioni esterne le più varie, con un'autonomia dimezzata (a essere ottimisti) dalla destrezza dei più furbi e da interessi economici che la crisi del sistema-calcio ha reso perfino più rapaci: rimpicciolendosi la torta, si ingrandiscono le ganasce.
Ieri, pomeriggio umiliante, Federcalcio e Lega si sono rivolte al governo, nella persona del ministro Urbani, per chiedere tutela e garanzie, nonché un decreto che le autorizzi a gestire i campionati secondo i propri crismi e senza dipendere dal primo ricorso al Tar dell'ultimo presidente infurentito da una sconfitta. La ridicola prospettiva, dopo il ridicolo caso-Catania, è varare una specie di serie B bisestile, a 21 squadre, disgustando per giunta le venti che hanno conquistato sul campo l'iscrizione: molti club hanno già fatto sapere, ed è una reazione emotiva ma comprensibile, che rifiuteranno di incontrare il Catania. Che farà Gaucci, chiederà ai Tar di tutta Italia di costringere i giocatori avversari a scendere in campo, tradotti dai carabinieri?
Comunque vada a finire, il clima è quello di un sostanziale commissariamento del paese-calcio, i cui abitanti sono sempre meno uomini di sport e sempre più affaristi inveleniti dai rovesci economici, incapaci di sopportare una retrocessione, per giunta in patente e scandaloso conflitto di interessi qualora abbiano le mani in pasta in più società. La forza dello sport, nonché la sua rispettabilità etica, risiedono da sempre nella sua sostanziale autonomia: va bene il business, va bene lo spettacolo, ma quello che resta e che interessa, alla fine, è il risultato, nero su bianco. Minando il risultato, tra l'altro, si finisce per disgustare il pubblico e dunque minare anche spettacolo e business. Ma questo, pur essendo un concetto squisitamente utilitaristico, sfugge ai malaccorti padroni del pallone. Quelli alla Gaucci, per dirla nel modo più semplice e diretto, non hanno la vista lunga. A furia di tirare la corda, finiranno per spezzarla. Chi la ricucirà, il Tar? O il figlio di Gheddafi?

Michele Serra

Michele Serra Errante è nato a Roma nel 1954 ed è cresciuto a Milano. Ha cominciato a scrivere a vent’anni e non ha mai fatto altro per guadagnarsi da vivere. …