Marco D'Eramo: Piccole guerre crescono

05 Agosto 2003
Una splendida guerricciola" (A splendid little war), così l'ha definita il segretario di stato. "Benevola assimilazione" è il nome della politica presidenziale che guida le forze di occupazione Usa. "Lo scopo primario e più serio dell'amministrazione militare - scrive il presidente - dovrebbe essere quello di guadagnarsi la fiducia, il rispetto e l'affetto degli abitanti, assicurando loro in ogni modo il godimento totale dei diritti individuali e delle libertà che costituisce l'eredità di un popolo libero, sostituendo a una tirannia arbitraria il mite impero della giustizia e del diritto". "Non male come descrizione degli scopi della guerra e del dopoguerra degli Stati uniti in Iraq", nota il professor Frank Gibney, presidente del Pacific Basin Institute, che però aggiunge: "Ma è alquanto datata. La guerra in questione avveniva nel 1899. Segretario di Stato era John Hay. Presidente era William F. McKinley e l'argomento era l'occupazione americana delle Filippine dopo la vittoria Usa nella guerra ispano-americana (1898). Gli attuali successori di Hay e McKinley dovrebbero studiare più attentamente questo precedente storico. La confusione strategica, lo scarica barile amministrativo, la contradditorietà dei messaggi, e il crescente numero di perdite Usa in Iraq mostrano un'impressionante - e preoccupante - somiglianza con quel che successe nelle Filippine un secolo fa".
Il professor Gibney non è il solo a paragonare la guerra in Iraq (2003-?) con quella nelle Filippine (1899-1902). Scrive Max Boot sulla "Week in Review" del New York Times: "Dopo una serie di schiaccianti vittorie militari, il presidente dichiarò che la guerra era finita. Ma invece di arrendersi, le forze che resistevano all'occupazione americana si dettero alla tattica di guerriglia. Sentinelle isolate furono uccise da assalitori che pretendevano di essere amichevoli civili. Pattuglie di ronda in campagna cadevano in stupide trappole. Un'imboscata accuratamente preparata spazzò via mezza compagnia di fanteria. Le forze americane rispondevano con dure contromisure che portarono ad accuse di brutalità. Potrebbe suonare come un ritratto dell'Iraq di oggi, ma in realtà descrive le Filippine di un secolo fa. Dopo aver cacciato la Spagna, gli Stati uniti decisero di tenersi l'arcipelago per sé. Molti filippini resistettero al potere americano. Il presidente William McKinley ritenne che la guerra fosse finita già all'inizio del 1900, quando l'esercito regolare filippino fu sbaragliato, ma gli ostinati insorti gli dimostrarono che aveva torto. Alla fine gli Stati uniti vinsero, ma fu una sgobbata lunga e dura che costò la vita a più di 4.200 soldati americani, a 16.000 ribelli e a 200.000 civili. Anche dopo la fine formale delle ostilità, il 4 luglio 1902, una resistenza saltuaria si prolungò per anni (fino al 1913, ndr)".
D'altronde, già nel settembre 2002, e cioè quando l'amministrazione orchestrava la campagna per attaccare l'Iraq, un editorialista dello stesso giornale, l'economista Paul Krugman, osservava: "Fino all'11 settembre, pensavamo che Karl Rove (attuale consigliere capo del presidente George W. Bush e vero architetto della sua politica, ndr) ammirasse la strategia politica interna di McKinley. Ma McKinley fu pure il presidente che conquistò possedimenti d'oltremare (anche con l'annessione delle Hawaii nel 1900, ndr). E oggi nell'aria spira di nuovo un preciso profumino di ambizione imperiale. Certo, è ispirata a un alto scopo morale la nuova dottrina Bush - secondo cui gli Stati uniti perseguiranno "cambi di regime" in ogni nazione che a nostro giudizio potrebbe costituire una futura minaccia. Ma anche gli imperialisti dell'era di McKinley pensavano di essere moralmente giustificati. La guerra con la Spagna - che governava le sue colonie con feroce brutalità, ma non costituiva nessuna minaccia per gli Usa - fu giustificata con un apparente atto di terrorismo, l'affondamento della corazzata Maine, anche se nessuna prova mai collegò quest'attacco alla Spagna (come fu poi appurato, lo scoppio che affondò la Maine fu dovuto a un incendio in un vicino magazzino, ndr). E lo scopo della nostra conquista delle Filippine era, come dichiarò McKinley, "di educare i filippini, edificarli, civilizzarli e cristianizzarli".
È straordinario come il paragone corrisponda nei minimi dettagli, linguistici, ideologici e militari. La "benevola assimilazione" di McKinley richiama in modo irresistibile il "compassionevole conservatorismo" che è stato lo slogan di Bush nella sua campagna del 2000. Di fronte ai fallimenti dei militari e del "governatore Brennan", oggi Bush il giovane vuole mandare a Baghdad James Baker, l'ex segretario di stato di Bush il vecchio, proprio come McKinley mandò a Manila William Howard Taft a governare "i nostri fratellini scuri" (our little brown brothers). Anche McKinley riteneva che - come gli iracheni di oggi - i filippini "non potessero essere lasciati a se stessi perché sono impreparati (unfit) per l'autogoverno".
Comune è anche la totale ignoranza del paese da conquistare. McKinley dovette cercare sul mappamondo dove si trovavano le Filippine, e disse che voleva "cristianizzarli" quando l'arcipelago era a grande maggioranza cattolico. Erano considerati "aborigeni", ma avevano già una letteratura nazionale (da pochi anni José Rizal aveva pubblicato Noli me tangere, considerato il capolavoro della letteratura filippina). Allora come oggi, si trattava di esportare la "democrazia" e lo "stato di diritto". Per ragioni di "correttezza politica", Bush il giovane non può più dirlo, ma anche lui ritiene imprescindibile farsi carico del "fardello dell'uomo bianco", come lo aveva chiamato il letterato colonialista inglese Rudyard Kipling: "Il fardello dell'uomo bianco raccogliete.../ le guerre selvagge della pace.../ Riempite le bocche della fame, /Arrestate le malattie/ E quando il traguardo è vicino/ La meta per altri perseguita/ Guardate l'ignavia e la follia pagana/ Annullare ogni vostra speranza".
Altra similitudine: la guerra filippina spaccò gli intellettuali Usa. All'inizio Mark Twain si schierò a favore: "Un tempo ero un ardente imperialista, volevo che l'aquila americana sorvolasse il Pacifico. Perché non sulle Filippine? (...) Mi dicevo: ecco gente che ha sofferto per tre secoli. Possiamo renderli liberi come noi siamo, dare loro un governo e un paese tutto per loro, mettere a galleggiare nel Pacifico una miniatura della costituzione americana, varare una repubblica nuova di zecca che entri nel consesso delle libere nazioni del mondo. Ma ho letto il trattato di Parigi e ho visto che noi intendiamo non liberare, ma soggiogare il popolo delle Filippine. Siamo andati per conquistare, non per redimere. Ci siamo impegnati nel paese per mantenere e proteggere l'abominevole sistema stabilito nelle Filippine dai frati" (New York Herald, 15 ottobre 1900). È straordinario come i destini si ripetano e ora in Iraq gli Usa siano costretti a salvaguardare e proteggere il potere della gerarchia sciita e dei mullah che tanto aborrono, almeno quanto i puritani detestavano papisti e "fratacchioni".
La guerra con la Spagna segnò l'ingresso degli Stati uniti nella scena mondiale, oltre oceano. In Iraq il secolo americano si chiude nello stesso identico modo con cui si era aperto, con una guerra espansionista motivata da un atto di terrore. E il nuovo secolo americano (il XXI) comincia come era iniziato il vecchio (il XX), con una lezione di democrazia contro cui gli allievi si rivelano straordinariamente recalcitranti, e quindi con una guerriglia endemica.
Ma non è vero che gli Stati uniti non imparano mai nulla dalle disavventure precedenti. Come ha ricordato Max Boot, negli anni `30 un gruppo di ufficiali dei Marines pubblica un Manuale delle piccole guerre (ristampato negli anni `80) con l'intento di trarre partito dalle battaglie che gli autori hanno combattuto contro i "banditi" (così li chiamano) ad Haiti, Santo Domingo, Nicaragua e altrove. Il manuale consiglia di 1) mantenere sempre l'offensiva contro i ribelli: "Rinviare l'uso della forza sarà sempre interpretato come segno di debolezza"; 2) accoppiare al bastone la carota: "Nelle piccole guerre, tolleranza, simpatia e gentilezza, dovrebbero essere la chiave dei nostri rapporti con la massa della popolazione"; 3) lasciare i compiti sgradevoli alle forze locali: "Le truppe indigene, sostenute dai marines, devono essere usate sempre più e il più presto possibile perché i governi locali possano assumersi le loro responsabilità nel restaurare la legge e l'ordine nei loro paesi". Vi ricorda nulla?

Marco d’Eramo

Marco d’Eramo, nato a Roma nel 1947, laureato in Fisica, ha poi studiato Sociologia con Pierre Bourdieu all’École Pratique des Hautes Études di Parigi. Giornalista, ha collaborato con “Paese Sera” …