Giorgio Bocca: Gli uomini e la memoria del buio

02 Ottobre 2003
La notte del grande blackout generazioni di italiani hanno scoperto, con eccitazione più che paura, il grande buio che per millenni ha accompagnato la vita degli uomini. Quelli, voglio dire, nati dopo il "miracolo" economico degli anni Cinquanta per cui non c' è più stato il buio vero, il buio ancestrale trapuntato di stelle che a guardarle sembrava di essere sospesi sulla gran ruota dell' universo. Dopo, quel gran buio è scomparso e adesso ogni villaggio, ogni città sono nella notte come nuvole rosa che ti accompagnano, che non ti lasciano mai solo. è un vivere più comodo, il popolo della notte non è poi molto diverso da quello del giorno, c' è chi dorme al mattino e chi si sveglia a mezzanotte, basta fare i turni, le luci del sole come delle lampade sono sempre accese. Si possono fare, giorno e notte, le stesse cose: l' amore, la spesa, il lavoro, il gioco, sembra un gran progresso ma forse la vita si è dimezzata, è scomparsa la misteriosa vita del buio dove c' erano incontri impossibili di giorno. Per millenni sulle colline piemontesi gli ubriachi hanno incontrato le "masche" non si sa se uomini o donne seduttivi e crudeli e di nascosto i ragazzi andavano ai cimiteri per vedere i fuochi fatui uscenti dalle tombe. Nelle campagne e sulle montagne con il buio arrivava il tempo delle "veglie" che costavano niente, a riscaldare le stalle ci pensavano le bestie, si chiacchierava si pettegolava, quello che adesso chiamano gossip, i giovanotti corteggiavano le ragazze, gli anziani si sentivano ancora vivi, a tutti piaceva sentirsi al riparo del grande buio, freddo e imperscrutabile e non si era soli. Non costavano una lira le veglie ma erano una cosa bella che non è più tornata nelle campagne. I giovani, si legge nei memoriali "cantavano e cantavano bene, fra le nove e le dieci dopo il grande rosario passavano per i villaggi e per le stalle, passavano e cantavano". Mi capita di avere paura, adesso del mezzo buio delle nuvole rosa sporco delle città dove le lampade sono sempre accese mentre allora, da giovane, specie durante le guerre, ma c' era sempre una guerra, lo sentivo con un rifugio, in cui nascondersi e muoversi per sentieri noti, per rumori rassicuranti: i latrati dei cani, da una cascina, all' altra, nello sci notturno, nelle marce partigiane. Il buio segnò la guerra partigiana forse più del giorno, il buio e le montagne. Fu il buio a farci uccidere per sbaglio a Carru il misterioso Lulu, un francese, la primula rossa delle Langhe, il nostro Robin Hood, l' imprendibile, l' ubiquo, il multiforme, quella notte lui vestito da ufficiale tedesco. Vedendolo morto capimmo che era esistito davvero e ci prese una gran pena per quel piccolo uomo dai capelli neri e dalla pelle olivastra venuto a morire chi sa perché dalle nostre parti, come quei cavalieri antichi che facevano la guerra per conto loro, per la loro giustizia, per la loro vendetta senza mai parlare. Il buio protesse la nostra anabasi partigiana dalle montagne della Val Maira alle colline del vino la notte del primo dell' anno del '45. Duecento uomini senza carico, con armi leggere, a piedi sulla neve ghiacciata, su due file indiane per i cinquanta chilometri della pianura presidiata dai tedeschi. Quella notte c' era il buio luminoso della luna piena. Si tagliava per i campi seguendo i filari dei pioppi e le bealere. Ogni tanto ci voltavamo a guardare le montagne, ma erano sempre lì, incombenti sempre lì sotto la luna e sembrava ci tenessero per la giacca. Dovevamo fermarci in una cascina dei Murazzi, ma non c' era da fidarsi, proseguimmo verso il guado sulla Stura. Il guado erano due corde d' acciaio tese fra i gabbioni delle rive. Nel buio non faceva paura, l' acqua quasi non la vedevi, la sentivi frusciare sotto i piedi. Gli uomini che portavano le mitraglie le avevano assicurate con un moschettone alla corda superiore. E nella luna calante, nel buio che si sbianca vediamo che le montagne si sono allontanate, che laggiù dove albeggia ci sono le Langhe la terra del vino e del pane bianco. Il buio segnò la guerra partigiana e non fu di giorno che si festeggiò la sua fine, fu di notte nel buio che per mesi fiorirono le feste e i balli del ritorno alla vita. Il buio e le lune chi li vede più se non c' è un blackout della rete elettrica? Ma allora, per millenni sono stati il ritmo della nostra vita, il nostro recupero di forza e di sapienza, e ancora oggi nelle campagne, c' è chi gli è rimasto legato e segue i consigli delle lune per piantare, vendemmiare, procreare e persino per tagliarsi i capelli. Il buio ci ha aiutato a superare i lunghi anni di guerra. Lo chiamavano oscuramento e i militi dell' Umpa passavano per accertarsi che fosse rispettato. Ma non ce ne era bisogno in quello gli italiani erano disciplinati, comperavano dal cartolaio la carta spessa blu e la attaccavano sui vetri. Qualche po' di luce trapelava ma era come stare sotto un abat-jour. L' oscuramento era più di danno che di vantaggio, i bombardamenti erano come usava dire a "tappeto" obiettivi militari e civili erano la stessa cosa e gli strumenti di bordo bastavano a trovare le città. Tanto sarebbe valso tenere le luci accese ma quel buio sembrava protettivo. Nel buio dei millenni la umana società ha conosciuto la solidarietà, nelle valli alpine alla prima neve di notte si organizzavano le corvè per l' indomani. I vecchi della Valgrisence se ne ricordano: "Sì, c' era un capo corvè in ogni villaggio, più o meno e quando davano l' ordine bisognava partire, uno per famiglia, mandarne uno per famiglia e voilà. Chi aveva il mulo lo metteva con la slitta. Il mulo contava come una persona, uno con il mulo contava come due giorni di corvè". Nella notte nera del blackout milioni di italiani hanno riscoperto quella dimensione della loro vita che è stato il buio per millenni. E' passato poco più di mezzo secolo da quando il buio era una presenza decisiva della nostra vita, ma gli uomini fanno presto a dimenticare. Nella notte del blackout una parte degli italiani invece di riscoprirlo, il buio, hanno cercato di riempirlo in qualche modo con ciò che sono abituati a fare con la luce, perenne. Sono andati in automobile anche a semafori spenti, si sono trovati anche a lume di candela, più allegri che spaventati, come se il buio fosse un antico gioco riscoperto in una notte settembrina. Un gioco che comunque sarebbe durato poco perché nessuno ha dubitato che la luce delle lampade sarebbe ritornata presto. Ma un' altra parte ha provato come un brivido di angoscia di fronte a quella prova della fragilità del moderno, della nostra dipendenza dalle macchine, della nostra impotenza di fronte agli ascensori fermi, ai computer spenti, alle serrande bloccate, ai cibi che si guastano nei frigoriferi privi di corrente. La società industriale è riuscita per ora a tenere in funzione l' agricoltura dei paesi avanzati, come riserva. Non è riuscita a conservare la autonomia degli uomini rispetto alle macchine. Se manca l' elettricità siamo tutti in brache di tela in pieno inverno, tutti a contemplare con sgomento i congegni bloccati. La divisione del lavoro ha segnato l' eclisse della solidarietà, ma la divisione delle competenze ci lascia alla mercé di un guasto nel nostro macchinario.

Giorgio Bocca

Giorgio Bocca (Cuneo, 1920 - Milano, 2011) è stato tra i giornalisti italiani più noti e importanti. Ha ricevuto il premio Ilaria Alpi alla carriera nel 2008. Feltrinelli ha pubblicato …