Paolo Rumiz: Amiata, taglialegna slavi per far risorgere il bosco

13 Ottobre 2003
Grosseto - Escono dalla foresta tutti insieme, verso le cinque; si calano dalle colline come i Sioux nel film "Ombre Rosse". Camminano in silenzio sulle strade, tornano ai villaggi nel tramonto, popolano i bar della briscola. Un esercito, ma non di italiani. Li conosci dal passo dondolante dei Balcani. Sono i nuovi boscaioli della Maremma. Macedoni, bosniaci, kosovari, serbo-montenegrini. Esuli di un Paese che non esiste più, ricostituiscono, senza volerlo, la Jugoslavia all´ombra del Monte Amiata. E riscrivono, senza saperlo, sulle stesse alture, in un´altra lingua, un capolavoro del Novecento. "Il taglio del bosco" di Carlo Cassola.
Torniella è un villaggio sulle Colline Metallifere, le stesse dove lo scrittore ha ambientato la sua storia. Aveva perso quasi tutti gli abitanti. Solita storia italiana. Niente bambini, emigrazione, fuga dalle campagne, negozi chiusi. Ora, da quando sono arrivati i boscaioli dai Balcani, il villaggio ricomincia a vivere. Hanno aperto una bottega di alimentari, due forni del pane, un centro di telefonia mobile, un piccolo bazar, un bar finalmente pieno la sera, persino un negozietto di caccia e pesca. E´ tornato il giorno di mercato, alla processione c´è molta più partecipazione di dieci anni fa, le case hanno riacquistato valore. "Ma soprattutto sono tornati i bambini" fa notare Leonardo Marras, giovane sindaco ds di Roccastrada, il paese capoluogo.
Comincia con i bosniaci, nel '92, con la guerra a Sarajevo. Arrivano alla spicciolata, sono in gran parte musulmani in fuga dalla pulizia etnica, seguono non si sa quale misteriosa catena migratoria. Uomini chiusi nel trauma dello sradicamento, ma decisi a lavorare. Popolano i villaggi dall´Amiata a Massa Marittima, al confine tra Siena e Grosseto. E poiché vengono da una zona forestale, tra Doboj e la valle della Sava, la cultura perduta del taglio del bosco si riattiva, l´economia si rimette a girare. "Agriturismi, vigne, uliveti, coltivazioni biologiche: tutto ha ripreso a tirare" spiega Teresa Monachino, antropologa da prima linea prestata allo sportello socio-educativo del Comune di Roccastrada.
Storie che vorrebbero la musica di Bregovic. Come quella di Husein Dubinovic, 43 anni, di Doboj. L´inizio della guerra lo sorprende in Slovenia, dove ha un lavoro di capotreno. Non sa che fare. Lubiana non gli dà il visto, in Bosnia non può tornare. Capisce che è meglio andarsene. Così fila in Italia, per preparare la strada alla famiglia. Ma nel settembre del '96 ha un brutto incidente. Il camion con rimorchio, lasciato senza freno, si mette in movimento da solo, lo travolge e gli trancia una gamba. Husein racconta sorridendo, senza emozione. Ora ha una pensione di invalidità, gli daranno una protesi. La moglie è con lui, ha un figlio di otto anni nelle scuole italiane e un secondo baby in arrivo.
E c´è Edin Mujkic con la sua Nermina, sposati durante la guerra, un figlio nato sotto le bombe. Lui ce l´ha fatta, il bosco è stato solo un trampolino. Ora pavimenta strade. Lei spera in un lavoro, ma per le donne è tutto più difficile. Oppure ancora Muriz Salic, di Daruvar, boscaiolo già in Bosnia, un pezzo d´uomo biondo occhi azzurri le cui mani dicono da sole la fatica di un lavoro duro, che non è solo taglio ma anche pulizia, sgrossatura, smacchiatura, caricamento, trasporto. Ha tre figli, Alna, Amir e Samira, tutti con un perfetto accento toscano. E poi Mufid Okic, qui da undici anni, scappato con la moglie incinta di sei mesi.
Di giorno sono presenze invisibili, la boscaglia li inghiotte. Macchia mediterranea fitta, roba da istrici e lupi, che invade tutto, entra tra sugheri e ulivi, riempie querceti e boschi di castagno. "Forteto" si chiama qui, a significare quant´è ostica e dura, come la selva dell´Alighieri. Profuma di erbe aromatiche tenaci, dai nomi antichi, nociarello e pisciacani. Manco il cinghiale ci passa, tranne quello tarchiato di razza maremmana. Il Grossetano è tutto così: spazio vergine, arcaico, terra brada di butteri. Senza i bosciaioli venuti da Oriente il suo inestimabile patrimonio boschivo diverrebbe terra d´ortiche. Collasserebbe non soltanto l´economia, ma anche il territorio.
Carrara - che non ha la stessa storia di manutenzione del territorio - ha imparato a sua spese cosa vuol dire taglio del bosco. A fine settembre, dopo l´estate della sete, ha avuto un nubifragio che ha catapultato dalle Apuane una bomba d´acqua. Un disastro, con case allagate e smottamenti. Il giorno dopo i giornali parlavano di "vendetta di un territorio dilapidato". Parlavano, anche, di foreste devastate da incendi, abbandonate dall´uomo. Pochi ricordavano che altrove in Toscana analoghi disastri si erano potuti evitare solo grazie alla presenza di Alien. E che gli italiani, sui sentieri narrati da Cassola, non ci vanno quasi più.
Vento forte, uliveti, cipressi, villaggi arroccati, il cono verde dell´Amiata isolato tra Cassia e Aurelia, Trasimeno e Mediterraneo. Da una parte il giallo pallido delle Crete Senesi, dall´altra il giallo bruciato della Maremma. Poi Santa Fiora, ai suoi piedi, con tremila abitanti e cento boscaioli. Di loro, uno su cinque è straniero. "Impossibile fare a meno di loro, il lavoro manuale è ormai scartato dall´italiano" brontola Stefano Martini, un pezzo d´uomo che sta a capo della Ctm, Cooperativa Tosco Montana, specializzata nel taglio del bosco. "Se glielo proponi ai nostri, quasi s´offendono. Non dicono nemmeno: sì, ma quanto mi dai. No, non ci vengono proprio. E oggi, con gli stranieri, la situazione è peggiorata. Brontolano: non voglio far fare al mi´ figlio il lavoro di un albanese. Capito?". Capito.
Dopo i bosniaci sono arrivati gli albanesi, i kosovari, i macedoni, e il paesaggio più italiano d´Italia è diventato una succursale dei Balcani. Un giorno è arrivato qui l´equipaggio di un´intera motosilurante in fuga da Durazzo. Boscaioli pure loro. Nebi e Seidy Ibrahimi sono fratelli macedoni di lingua albanese che Martini ha preso in ditta. Ne è contento: "Sono arrivati avendo già esperienza, Nebi in particolare. Una testa da ingegnere". Nebi abita pure lui a Santa Fiora, dal '95. Ha moglie, un figlio e un secondo pargolo in arrivo. Se n´è andato ai primi segnali di guerra. Con gli studi superiori, s´è adattato subito a un lavoro manuale. Ma a fare il boscaiolo ha imparato in fretta. In ex Jugoslavia tutti sanno arrangiarsi con la terra. Oggi è contento. "Qui la gente – dice – mi vuol bene".
A Campagnatico, un bel villaggio sulla collina retto da una giunta di destra, i vecchi che battono briscola davanti alla gelateria Mazzini e sono inquieti per questa presenza straniera. Specie quella albanese. Ma provate a dir loro di fare a meno della manodopera in tempo di vendemmia o di raccolta frutta. Non se ne parla nemmeno. Grosseto sarà anche di destra, ma qui a nessuno va a genio la Bossi-Fini. Per forza: ieri la Maremma era amara, tutti ne scappavano a gambe levate. Oggi è una risorsa, agriturismi e vigne spuntano dappertutto. E tutti, grazie anche agli immigrati, sentono la terra come un affare.
Oggi nel Grossetano si raccontano storie nuove. Per esempio la leggenda turca secondo cui un albero può morire al posto di un bambino malato. "E´ capitato anche a me – conferma Fatima Neimarlija, mediatrice culturale di Sarajevo – mia madre mise su un tronco la formula scritta in arabo da un muftì, io guarii e la pianta si seccò. Davvero". Oggi ritrovi la credenza anche nel sito del Comune di Roccastrada. Ormai sta nel folclore locale come le leggende dei butteri o le gesta del brigante Tiburzi.

Paolo Rumiz

Paolo Rumiz, triestino, è scrittore e viaggiatore. Con Feltrinelli ha pubblicato La secessione leggera (2001), Tre uomini in bicicletta (con Francesco Altan; 2002), È Oriente (2003), La leggenda dei monti …