Enrico Franceschini: E´ morto a novant´anni il vero "James Bond"

17 Ottobre 2003
LONDRA - Aveva un nome che sembrava uno scioglilingua, in amore prediligeva la fedeltà assoluta, e non era mai stato al volante di una Aston Martin. Eppure Patrick Dalzel-Job, eroe britannico della seconda guerra mondiale, deceduto ieri all´età di novant´anni, era conosciuto in questo paese come "il vero James Bond": cioè l´uomo in carne ed ossa che ispirò allo scrittore Ian Fleming il personaggio di 007, reso celebre dai suoi romanzi e poi trasformato in icona (o cartoon) universale dal cinema. Essendo scomparso da molti anni anche il romanziere, è impossibile saperlo con certezza. Di sicuro è noto che Dalzel-Job e Fleming combatterono insieme per qualche tempo sul fronte della Seconda guerra mondiale. E che il futuro autore di "gialli" rimase impressionato, come del resto molti dei suoi compagni d´armi, dal coraggio, dall´intuito, dalla perspicacia di Dalzel-Job. Quest´ultimo, del resto, lo dichiarò tempo addietro in qualche intervista: «Quando ci rivedemmo, Ian era diventato un famoso scrittore. Fu lui stesso a confidarmi che si era ispirato a me per James Bond».
Non tutti sono d´accordo. Per esempio, Andrew Lycott, biografo di Fleming, afferma che 007 nacque soltanto dall´immaginazione dello scrittore, e che a influenzarlo furono casomai i suoi colleghi del servizio segreto, dopo la guerra. Ma la stampa britannica, dal Guardian al Times, presenta lo stesso la scomparsa di Dalzel-Job come la morte del "vero Bond". Ricordando che numerosi veterani del suo stesso reggimento, quando apparvero i primi romanzi di 007, non ebbero dubbi: riconobbero nell´agente segreto di Fleming il loro comandante.
Membro dei Royal Marines, più tardi capitano di una corvetta, quindi parà lanciato dietro le linee nemiche in Europa durante l´avanzata angloamericana verso Parigi e Berlino, Dalzel-Job in effetti sapeva fare di tutto: sciare su ghiacciai perenni con un fucile a tracolla, pilotare un sottomarino, buttarsi con il paracadute. Aveva anche, come Bond, più fiducia in se stesso e in genere in chi sta sul campo d´azione che dei burocrati seduti a una scrivania lontano dal fronte. Fu così che, disobbedendo agli ordini dei superiori, effettuò praticamente da solo l´evacuazione di un villaggio in Norvegia: poco dopo i nazisti lo bombardarono e lo rasero al suolo. Il suo intervento salvò 4500 persone e gli valse la più alta onorificenza militare in Norvegia: ma non in patria. E´ in quel periodo che Dalzel-Job conobbe Fleming, anche lui soldato, anche lui nei Royal Marines. Poi, le loro strade si separarono. Dopo lo sbarco in Normandia nel 1943, Dalzel-Job finì in Francia, in Belgio, in Germania, protagonista di missioni segrete e spericolate, spesso in territorio nemico. Tornò a casa alla fine della guerra, fu decorato al valore, e da allora la sua fu una vita "normale". L´unica anomalia saltò fuori qualche anno più tardi, quando Fleming cominciò a pubblicare i romanzi sull´agente dell´MI-6 (lo spionaggio britannico) James Bond.
Andato in pensione si era trasferito con la moglie nelle West Highlands, dove aveva una casetta, e di lì non si era più mosso. Non era certo il tipo che andava a vedere ogni nuovo film di Bond, per vedere quale nuova faccia avesse dato il cinema al "suo" personaggio. Qualche volta, stanco di sentirsi chiedere se era l´ispiratore del personaggio, negava. Anche con argomenti convincenti: «In tutta la mia vita ho amato una sola donna, mia moglie», diceva. «Dunque non posso avere niente a che fare con un eterno seduttore come James Bond».

Enrico Franceschini

Enrico Franceschini (Bologna, 1956), giornalista e scrittore, è da più di trent'anni corrispondente dall’estero per “la Repubblica”, per cui ha ricoperto le sedi di New York, Washington, Mosca, Gerusalemme e …