Giorgio Bocca: Cosa insegna la storia dei ragazzi di Salò

10 Dicembre 2003
La svolta di Gianfranco Fini e l' eco che ha provocato nel suo partito e nell' informazione ha avuto fra i suoi effetti anche quello di risvegliare il mito di Salò, dei «ragazzi di Salò» che si arruolarono nella repubblica sociale di Mussolini per «salvare l' onore della Italia e difenderla dagli invasori anglo americani e titini». Da mettere sullo stesso piano dei partigiani, se proprio va bene e non si passa alla diffamazione di questi ultimi. Ora, visto che di quella umiliante pagina di storia si ricorda poco o nulla, forse conviene ricordarla come è stata fuori dalle nostalgie e dalle celebrazioni. Per cominciare diciamo che il grosso delle formazioni militari della Repubblica sociale italiana la RSI, la cui fiamma arde ancora nei simboli di Alleanza nazionale, venne raccolto dal maresciallo Graziani con una penosa operazione di casta, di corruzione di una casta, pagando lautamente la adesione degli ufficiali e sottufficiali del disciolto esercito regio: stipendi di ventimila lire al mese per i generali, fino alle quattromila per i sottufficiali, al netto di ogni imposta e ritenuta, niente male in un Paese in cui i salari degli operai si aggiravano sulle millecinquecento lire. Aderirono in sessantaduemila e quelli del centro ottennero anche una indennità di seimila lire per trasferirsi al nord. Nei venti mesi della Repubblica ne furono congedati quindicimila, ma tutti gli altri camparono negli uffici o a casa loro senza partecipare ad alcuna azione militare. Ma veniamo ai «ragazzi di Salò», diciamo a quanti si arruolarono nelle formazioni della Repubblica. Una parte erano internati nei campi tedeschi dopo l' armistizio che cercavano di rientrare in Italia, un' altra giovani raccolti dalle chiamate alle armi di Graziani. Quanti volontari veri non si sa. Mancano studi seri in materia, una comune voglia di chiudere la partita sconsigliò le ricerche sia ai vincitori che ai vinti, ci si accontentò della amnistia concessa da Togliatti. I voti dei «ragazzi di Salò» servivano nel referendum contro la monarchia. Era anche un conto difficile da tenere perché i reparti della Repubblica si formavano e si disfacevano in continuazione. Sta di fatto comunque - volontari autentici o assoldati di autorità - che le forze armate di Salò ebbero una parte secondaria, per non dire insignificante, nella guerra contro gli anglo americani. Le quattro divisioni addestrate in Germania - la Monterosa, l' Italia, la Littorio e la San Marco - arrivarono tardi nell' autunno del '44 e l' unica azione fu una puntata della Monterosa in Garfagnana subito respinta dall' aviazione alleata che aveva il dominio totale del cielo. Gli alleati sbarcati nella Francia del sud si disinteressarono dei reparti fascisti che facevano velo sulle Alpi piemontesi e un intervento di un battaglione della X Mas sul fronte di Nettuno non ebbe seguito perché i tedeschi non volevano i fascisti fra i piedi. La nostalgia dei neofascisti italiani per i «ragazzi di Salò» è comprensibile, ma ciò non toglie che dal punto di vista militare quella fu una pagina modesta e per molti aspetti umiliante. Il rapporto fra tedeschi occupanti e collaborazionisti fascisti era stato deciso una volta per tutte nell' incontro di Klessheim dell' agosto '44 fra Hitler e Mussolini. Brutalmente Hitler aveva detto a Mussolini che gli conservava la sua amicizia ma che dei fascisti non voleva più sentire parlare. La alleanza di acciaio si era ridotta a un rapporto personale. E ai generali della Wermacht e delle SS questo rapporto andava benissimo, trattavano i «ragazzi di Salò» come dei servi. Nessun reparto italiano, neppure la X Mas che era il più efficiente, aveva libertà di azione. Tutti dipendevano dal generale Wolf che trasmetteva i suoi ordini tramite il generale Tensfeld. Un rapporto che anche dai sempre fascisti andrebbe ricordato con vergogna. Un giorno dell' agosto del '44, l' aviazione repubblicana scompare, i suoi 450 componenti vengono arrestati dai tedeschi e mandati in Germania. La «marcia sulla Vandea», cui Mussolini e Graziani affidano la loro speranza di liquidare la resistenza finisce nel ridicolo. A Courgnè il segretario del partito e comandante delle brigate nere Pavolini viene ferito mentre se la dà a gambe, i tedeschi stanno a guardare. Il gauleiter della Carinzia, Franz Hofer, arriva a Venezia e obbliga i funzionari del ministero degli Esteri a scavare trincee e un reparto della X Mas che si è spinto a Trieste senza il permesso di Kesselring è rispedito a Castelfranco Veneto. C' è da parte tedesca una volontà precisa di offendere di umiliare, ma i neofascisti o postfascisti italiani la dimenticano anche mezzo secolo dopo, ignorano volutamente la loro storia, lo stesso Fini non più fascista indulge alla nostalgia dei ragazzi di Salò «che si batterono sul Carso per impedire che i titini arrivassero a Trieste». Ma i titini ci arrivarono, e se ne andarono solo quando apparvero i carri armati della ottava armata inglese. Come rastrellatori di partigiani e di antifascisti i «ragazzi di Salò» erano bravi ma come forza militare irrilevanti: milizie di partito e divisioni regolari si squagliarono come neve al sole nella primavera del '45, non furono in grado di mettere in piedi neppure una resistenza simbolica nella fantomatica «ridotta in Valtellina». Ci fu un fuggi fuggi generale, lo stesso Mussolini cercò di riparare in Svizzera, i gerarchi si spartirono franchi svizzeri e dollari e sparirono, il capo della polizia Montagna a Napoli, altri in Argentina dal loro amico Peron. Tanto per dire che il ritorno del neo fascismo o del post fascismo, e la sua ultima proposta di presentarsi come partito democratico di destra, non sembrano davvero raccomandabili in un Paese in cui la democrazia conquistata dalla Resistenza sembra di nuovo alle corde. Che nostalgia si può avere di un periodo della nostra storia in cui abbiamo conosciuto umiliazioni e punizioni durissime e come si può emarginare, processare diffamare chi cercò di far uscire il Paese dal suo buco nero? Ma non passa serata che nella televisione pubblica e in quella privata non ci sia l' immancabile piatto di revisionismo antipartigiano, e di propaganda untuosamente filofascista. Il ventre molle del Paese ha paura anche del più cauto riformismo, gli piace il nero. Ma affidare agli eredi di Salò il futuro dell' Italia ci sembra un "diabolicum perseverare".

Giorgio Bocca

Giorgio Bocca (Cuneo, 1920 - Milano, 2011) è stato tra i giornalisti italiani più noti e importanti. Ha ricevuto il premio Ilaria Alpi alla carriera nel 2008. Feltrinelli ha pubblicato …