Giorgio Bocca: Gli 80 anni di Scalfari fondatore di giornali

16 Aprile 2004
Caro Eugenio, alla meta dei settanta ci siamo detti: che resta da capire? A quella degli ottanta, eccoci qui a dirci: tutto resta da capire. Quel gennaio del '76, quando hai fondato Repubblica, sembra lontano anni luce, siamo di nuovo al bivio fra pace e guerra, la democrazia è a rischio, il proconsole americano che vorrebbe portarla in Iraq chiude un giornale che gli è ostile, dimentico di una costituzione, la sua, che dice "la stampa è libera", un raìs moderato come Mubarak avverte che la democrazia importata con le armi può essere catastrofica. Anni luce da quella sera che, sulla terrazza di casa tua in via Nomentana, la redazione al completo, romani più milanesi, festeggiammo la nascita di Repubblica a dispetto di Giancarlo Pajetta che la chiamò Repubblichina, come quella di Salò. Quella sera tu eri un uomo felice. Venisti al nostro tavolo con una caraffa del tuo bianco di Velletri e dicesti: "Questo mi costa più che lo champagne". Disse qualcuno: "Dacci lo champagne che così risparmi". Uno sfottò affettuoso, era nato il giornale senza padroni, il giornale dei giornalisti. Non era proprio così, padroni ce n' erano anche allora ma noi accorsi al richiamo di Eugenio c' eravamo messi in testa che non ci fossero, e le utopie dei giornalisti sono la vera difesa della libertà di stampa. Eugenio era un direttore che si era fatto nei settimanali, al Mondo e all' Europeo, il migliore sulla piazza ma non per i padroni dell' oligopolio giornalistico ideato da Mussolini, ogni quotidiano la sua zona regionale di influenza, niente capricci di concorrenza, tutti zitti e buoni agli ordini del Minculpop, il ministero della cultura popolare per cui esisteva un solo direttore, quello che a palazzo Venezia, di primo mattino, faceva la lettura dei giornali e sottolineava a matita blu o rossa articoli e notizie, in linea o da correggere. Come sai meglio di chiunque c' era nella redazione una tensione da ultima spiaggia, da ultima occasione per rompere il mosaico regionale, la ferrea ripartizione regionale dei lettori, della pubblicità, della distribuzione. Non perché rischiavamo di rimanere senza lavoro, ma perché ci eravamo messi in testa quella idea di un giornale fatto dai giornalisti, buono in tutta l' Italia. L' ultimo tentativo, dopo una serie di sconfitte era stato il Giorno e si era spento nonostante l' enorme appoggio finanziario che gli veniva dall' Eni. E per un anno e mezzo, la sfida, la scommessa sembrò sul punto della resa, la tiratura non si schiodava dalle settantamila copie, la pubblicità non cresceva, il capitale investito, metà dalla Mondadori metà da Caracciolo e da soci minori, era quasi consumato e lì sei stato tu Eugenio a tener duro senza il minimo segno di ansia o di cedimento, sei stato tu a trovare la soluzione nell' allargamento del mercato dall' area socialista a quella dell' intera sinistra, l' area che non era stata capace di darsi veri giornali di informazione. E come il giornale tornava a salire, a prender fiducia, così quelli che erano i suoi limiti strutturali si rivelavano dei vantaggi. La scarsa pubblicità che aveva per essere il secondo giornale nella regione ne raccoglieva di nuova per essere quello a diffusione crescente in tutto il paese, il rapporto con i poteri locali meno subalterno lo liberava da dipendenze soffocanti. Dobbiamo in gran parte a te, caro Eugenio, di aver fatto un giornale politico ma non di partito. Che tu abbia amato fortissimamente il tuo giornale è fuor di ogni dubbio: ti ha reso giustizia, ti ha dato con gli interessi ciò che il sistema regionale ti aveva negato. Avevi delle ambizioni politiche che i partiti, massime il craxiano, avevano trascurato quando non derise e con il giornale sei diventato un punto di riferimento non evitabile. E cadevi anche in tentazione facendo sentire ai redattori, premendo un tasto, le voci di segretari di partito o di ministri in cerca di rapporti privilegiati. Hai avuto le fortune che toccano agli audaci che sopravvivono alle sfortune. Repubblica si è giovata della strada apertale dal Giorno di Pietra, si è trovate pronte le grandi firme che le occorrevano e dai giornali di partito in crisi i giovani cronisti di assalto. Ma tu e Carlo Caracciolo li avete gestiti al meglio ricavandone il massimo: ferie saltate per coprire i vuoti estivi, tour de force oggi incredibili, rischi altissimi negli anni di piombo o nelle terre di mafia. E soprattutto con la sensazione corroborante di far parte di un collettivo di persone per bene. Qualcuno dice che sei stato un padre padrone. Il direttore di un giornale lo è per funzione, per necessità, è il comandante di una nave che deve scegliere la sua rotta ogni giorno anche all' ultima ora. Ma ci sono padri padroni onesti, pazienti, comprensivi e padri padroni carogne. Tu sei un padre padrone che si è stufato di farlo fra il generale rimpianto. Benvenuto fra i nonni rispettabili di questo non sempre rispettabile mestiere.

Giorgio Bocca

Giorgio Bocca (Cuneo, 1920 - Milano, 2011) è stato tra i giornalisti italiani più noti e importanti. Ha ricevuto il premio Ilaria Alpi alla carriera nel 2008. Feltrinelli ha pubblicato …