Antonio Tabucchi: Quel che resta della rivoluzione dei garofani

23 Aprile 2004
Nel fare andare all' indietro la pellicola della memoria, la prima immagine della "Rivoluzione dei garofani" che mi viene in mente è quella del mio amico Alexandre O' Neill, grande poeta dal verso beffardo la cui vita di antisalazarista fu segnata da arresti, perquisizioni, ritiro del passaporto, fuoriuscite limitate. Siamo a casa mia in Italia, è il 26 aprile del 1974, il giorno prima i militari sono entrati a Lisbona, hanno arrestato il primo ministro Marcelo Caetano, la sua guardia del corpo e tutti gli agenti della polizia politica, hanno occupato la televisione e chiuso gli aeroporti. Alexandre si trovava a Ginevra e doveva rientrare in Portogallo. Ha preso un treno ed è venuto a casa mia. Siamo seduti davanti al televisore, Alexandre ogni tanto balza in piedi e abbraccia le persone che appaiono sul teleschermo. La Rai sta ritrasmettendo le immagini della televisione portoghese, le persone che Alexandre abbraccia stanno uscendo dalla prigione di Caxias, una fortezza vicino a Lisbona dove Salazar mandava "in villeggiatura" gli oppositori del regime. I prigionieri politici hanno l' aria smarrita e quasi incredula, mentre la folla li accoglie lanciando loro dei fiori. Molti sono intellettuali, scrittori, artisti, attivisti politici di ogni corrente democratica. Alcuni li conosco anch' io, ho avuto modo di incontrarli nei miei dieci anni di conoscenza del Portogallo. Alexandre li chiama per nome, piange, ride, si mette a ballare. Ballo anch' io. è bello festeggiare gli amici che tornano "dalle ferie", anche se solo in televisione. Appena fu possibile andammo a festeggiarli di persona. Quando ero arrivato in Portogallo, dieci anni prima, avevo trovato un Paese con un sistema politico che Salazar aveva copiato pari pari dallo Stato corporativo di Mussolini. Un Paese fascista dotato di una polizia politica efficientissima (la P. I. D. E., Policia Internacional Defesa Estado) che negli anni Trenta Salazar aveva fatto organizzare dai nazisti; una censura preventiva implacabile che prevedeva responsabilità rischiosissime per direttori e giornalisti e da cui erano esclusi solo i tipografi, chiamati alla corresponsabilità solo nel 1969 dal delfino di Salazar, in piena guerra coloniale; e le carceri affollate di prigionieri politici. I campi di concentramento, per non disturbare i pochi turisti, erano ubicati nelle colonie africane, per esempio a Tarrafal, Capo Verde, zona desertica e quaranta gradi all' ombra, dove passò le "ferie" per una quindicina di anni uno dei maggiori scrittori di lingua portoghese, Luandino Vieira, che ora vive in Portogallo perché la sua Angola "libera" è in mano a satrapi spaventosi molto ben visti dal democratico Occidente. Anche Mario Soares, segretario del Partito socialista clandestino, cui il Portogallo deve l' assetto democratico del dopo rivoluzione e l' ingresso nella Comunità europea, passò lunghe ferie in un campo di concentramento a S. Tomé, prima di riuscire a rifugiarsi in Francia. Se il Portogallo si era dimenticato dell' Europa, anche l' Europa si era dimenticata del Portogallo. Quanto agli americani, a quel tempo non avevano la fretta che hanno oggi di abbattere i tiranni, anzi, Franco e Salazar erano due alleati preziosi e ai presidenti degli States di allora non sarebbe mai venuto in mente di "liberare" Lisbona o Madrid. I portoghesi si liberarono da soli. Il 25 aprile del 1974, restato nella Storia come "Rivoluzione dei garofani", in realtà fu un colpo di stato alla rovescia, al contrario di tutti quelli conosciuti: le Forze Armate che si sollevarono contro un regime totalitario per ristabilire la democrazia: e questa fu la vera rivoluzione, politicamente parlando. Ne seguì anche una "rivoluzione" popolare, ma essa fu soprattutto un' adesione entusiasta, un' esplosione di gioia collettiva, una sorta di ubriacatura di libertà per un popolo che era stato oppresso durante quarantotto anni (il fascismo portoghese detiene il primato della durata in Europa). L' euforia di quella "rivoluzione" si propagò rapidamente, era contagiosa, e da Lisbona raggiunse in un batter d' occhio tutto il Paese. Perché l' oppressione che il Portogallo aveva subito non era solo politica, naturalmente: era sociale, culturale, antropologica, e aveva ridotto i portoghesi a un popolo triste e depresso, deformando la natura di una gente spontaneamente allegra ed espansiva. E ora quell' allegria negata esplodeva in una festa collettiva. Ma era anche la festa per la fine di una lunga guerra coloniale che aveva insanguinato il Portogallo dell' Ultramar (così erano definiti Mozambico, Angola e Guinea), che aveva quasi decimato una generazione di portoghesi (quella nata negli anni Quaranta), che aveva stremato un Paese riducendolo in lutto e miseria per l' interesse di quei pochi che dall' Ultramar cavavano fortune. E poiché la consapevolezza di essere carne da macello, e successivamente l' acquisizione di una coscienza antifascista e infine l' idea della rivolta contro il regime nacque proprio fra i militari inviati nelle colonie, si può dire che paradossalmente fu l' Africa ancora coloniale a "liberare" il Paese che la colonizzava. La decolonizzazione fu il primo problema che la Giunta Militare Provvisoria dovette infatti affrontare dopo quei primi giorni di festa popolare. E altri problemi gravissimi, di natura sociale e culturale che dopo la festa si presentarono in tutta la loro drammaticità. Soprattutto il rischioso passaggio da una gestione militare improvvisata a libere elezioni e a una democrazia parlamentare. E infatti non mancarono momenti in cui la delicata fase di transizione verso la democrazia corse alcuni pericoli. Prima, per il tentativo di restaurazione del generale Spinola, rifugiatosi con alcuni fedelissimi nella Spagna ancora franchista; più tardi con le manovre di una sinistra antidemocratica e sovietizzante che ambiva a un colpo di stato alla praghese o remava verso avventurosi terzomondismi alla cubana. I militari democratici del 25 aprile seppero stroncare entrambi i tentativi: il secondo, forse il più insidioso, fu fermato con un' abilità politica straordinaria, senza ricorrere alla forza, grazie a un manifesto, detto "Documento dei nove", perché firmato da nove ufficiali democratici, che scoraggiò il tentativo avventuristico degli stalinisti e dei rivoluzionari improvvisati. Lo concepì il colonello Ernesto Melo Antunes, un ufficiale leale verso il suo Paese, intellettuale finissimo, che della democrazia portoghese fu un saldo garante e della "Rivoluzione dei garofani" uno degli ideatori. Mi piace ricordarlo in questa mia breve evocazione di quell' epoca. è stato un mio caro amico e il Portogallo gli deve molto. Ma credo che tutti noi dobbiamo qualcosa a chi ha vissuto per rendere migliore la nostra Europa. Ciò che resta di un fatto storico determinante per un popolo è la capacità di quel popolo di serbarne memoria.

Antonio Tabucchi

Antonio Tabucchi (Pisa, 1943 - Lisbona, 2012) ha pubblicato Piazza d’Italia (Bompiani, 1975), Il piccolo naviglio (Mondadori, 1978), Il gioco del rovescio (Il Saggiatore, 1981), Donna di Porto Pim (Sellerio, 1983), Notturno indiano (Sellerio, 1984), I volatili del Beato Angelico (Sellerio, 1987), Sogni …