Marco D'Eramo: Torture in Iraq. Imbarazzo su tutti i fronti

06 Maggio 2004
Imbarazzo è la parola chiave per definire la reazione dominante allo scandalo delle torture e delle uccisioni dei prigionieri detenuti dalle truppe Usa in Iraq e in Afghanistan. Imbarazzo dei vertici militari che fino all'ultimo hanno tentato di definire questi eventi come bavures, "deplorevoli eccessi" di qualche "scheggia impazzita", e hanno cercato di confinare il caso a 6 soldati e una generalessa della riserva. Imbarazzo del loquacissimo ministro della difesa Donald Rumsfeld che fino a due giorni fa ha tenuto la bocca cucita sugli "abusi" (qui vengono chiamati così, non "torture"). Imbarazzo del presidente George W. Bush che ha dichiarato "inaccettabili e inammissibili" questi "episodi", ma che ieri ha avuto la faccia tosta di andare a dire alle tv arabe che "la democrazia non è perfetta, ma almeno nella nostra democrazia questi abusi si vengono a sapere e vengono puniti mentre le torture di Saddam erano segrete e continuate". E queste sarebbero le "scuse" (apology) che ha offerto al mondo arabo!
Ma l'imbarazzo è anche del candidato democratico John Kerry che basa tutte le sue (scarse) possibilità di elezione sui propri eroici trascorsi militari e sulla sua capacità di attrarre il blocco dei veterani non conservatori: denunciare le torture come metodo "sistemico" a non pratica "episodica" gli metterebbe contro il Pentagono e il blocco di voti di più di 7 milioni tra militari ed ex, e delle loro famiglie. L'imbarazzo deriva dal fatto che queste rivelazioni non sono spendibili politicamente per nessuno.
Imbarazzo anche delle tv che non hanno mai mostrato le foto più terribili e che comunque hanno sempre trasmesso di sfuggita anche le meno traumatizzanti . Ma non c'è da stupirci: immaginiamo come Emilio Fede e il Tg1 darebbero la notizia di torture commesse da soldati italiani.
Imbarazzo dei grandi giornali conservatori: il Wall Street Journal (2,1 milioni di copie) in questa settimana non ha mai dedicato un articolo in prima pagina all'argomento. Il centrista e "impolitico" Usa Today ieri dedicava la spalla di prima alle "10 morti" (e non 25) "sotto indagine", ma la cover story con articolo a girare e grande foto in prima era dedicata a un eroico soldato con la gamba amputata sopra la caviglia che però "torna a fare sport e a combattere".
Ma anche i grandi giornali liberal (che in fondo sono solo due, il New York Times e il Los Angeles Times) hanno faticato da matti a dare evidenza alla vicenda e hanno dovuto aspettare che succedesse il finimondo nella stampa e nella tv inglese (Bbc), quindi ricevibile da un pubblico anglofono, per dare risalto alla storia, ma sempre con il tono che, prima ci sono stati abusi, ma ora i comandi stanno punendo i responsabili.
Imbarazzo che corrisponde a una realtà più sotterranea: queste immagini contraddicono a tal punto l'immagine che gli americani hanno di se stessi che è difficile per chiunque accettarle o anche mandarle giù, perché se gli americani sono "brava gente", nice guys, e se gli Stati uniti sono la terra della libertà, della democrazia e del rispetto delle leggi, allora queste immagini sono impossibili. Se invece le foto sono vere, viene meno, o almeno viene profondamente intaccata, l'idea di sé degli Stati uniti come nazione che ha una missione unica nella storia umana, quella di portare democrazia e benessere nel mondo. Da mesi si disquisiva dottamente a Washington e a New York se questa guerra è paragonabile a quella del Vietnam. Ed ecco che a fatica filtrano le rivelazioni di torture e morti in carcere: c'è da chiedersi se avranno lo stesso impatto sulla coscienza nazionale americana dell'eccidio di My Lay in Vietnam.

Marco d’Eramo

Marco d’Eramo, nato a Roma nel 1947, laureato in Fisica, ha poi studiato Sociologia con Pierre Bourdieu all’École Pratique des Hautes Études di Parigi. Giornalista, ha collaborato con “Paese Sera” …