Giorgio Bocca: Quanti inganni al mercato della paura

18 Giugno 2004
La festa del 2 giugno. Le intenzioni sono buone, i risultati a volte grotteschi. A cosa serve la sfilata militare? A far vedere agli italiani e al mondo che militarmente siamo un paese di terza fila? Ancora i fanti, i marinai, gli alpini, i finanzieri e questa volta, come novità, i nostri carri armati Ariete, i nostri blindati, una decina tirati al lucido. Alla parata militare non resisteva neppure Mussolini alla vigilia della guerra: non avevamo il radar, non avevamo aerei in grado di reggere il confronto con quelli inglesi o tedeschi, non avevamo cannoni anticarro eppure la sfilata militare era d'obbligo.
Sui Fori Imperiali con gli addetti militari stranieri in tribuna d'onore, ad annotare nei loro quaderni che i nostri blindati erano 'scatole di sardine'. Si era alla vigilia della guerra e a palazzo Venezia si tenevano questi colloqui demenziali fra il duce e il capo di Stato maggiore: "Come stiamo ad artiglieria?". "Duce sarebbe da rinnovare completamente". "Perché non lo si fa?". "Duce dovevamo farlo cinque anni fa. Adesso non c'è più tempo e come cinque anni fa non ci sono i soldi". Il duce passa all'aviazione.
A che serve la sfilata militare? A far vedere nel cielo dell'urbe le fiamme tricolori che tanto piacciono al cavalier Berlusconi che continua imperterrito a servire pranzi di gala tricolori ai suoi ospiti, anche ai Bush pasta tricolore e gelato tricolore, crema, pistacchio e fragola.
Le parate militari sono il gioco preferito dei potenti. L'anniversario dello sbarco alleato in Normandia ha rinnovato parate militari di tutti i tipi, nostalgiche e avveniristiche, con baldi giovanotti e reduci ottantenni, con il risultato di far capire a tutti, ai reduci ma anche a chi per sua fortuna non c'era, quale orrendo massacro sia stato quello delle migliaia di giovani mandati a sicura morte sulle spiagge della Normandia. Piacciono ai governanti e magari anche ai sudditi le parate militari che fanno parte del mercato della paura su cui ancora si fondano gli Stati. Piace rimettere in moto l'inganno del falso patriottismo. Durante la guerra partigiana la parola eroe era sconosciuta. Perché quella era una guerra che si faceva perché non si facessero più guerre.
Oggi è tornata di uso corrente, è un eroe anche il cuoco napoletano assassinato in Arabia saudita dai terroristi, al suo funerale è andato mezzo governo, il Cavaliere ha pianto, la famiglia chiedeva i funerali di Stato. È arrivato anche il cuoco Vissani con una delegazione della categoria in berretti bianchi a soufflé. I simboli del potere sono tanto più necessari quanto più il potere è debole, ma oggi corrono il rischio del ridicolo: il povero Ciampi con il braccio al collo (alla nostra età, presidente, non si corre più, soprattutto per le scale del Quirinale che sono marmoree e scivolose), il buon Ciampi in mezzo ai cortigiani di Silvio che quando vanno in visita ai nostri soldati a Nassiriya indossano giacche militari mimetiche e giubbotti anti-proiettile, camminano a passo marziale e persino con qualche corsetta, come i bersaglieri in congedo nelle loro sfilate.
Insomma, l'Italia che ha ridato fiato e tamburi al trombonismo nazionalista. Che risulta particolarmente sgradevole perché continua nello sporco gioco di compiersi alle spalle dei sudditi. Fra le molte dichiarazioni presidenziali di questi giorni c'è stata anche questa: "Manderemo nuovi soldati in Iraq, magari spostandoli dai Balcani". Ecco, il fatto che un uomo di governo possa ostentare il potere di mandare dei giovani a rischiare la vita per i suoi interessi politici, per farsi bello agli occhi di Bush, ci fa ripetere il lamento dei garibaldini: "Ah non per questo dal fatal di Quarto".

Giorgio Bocca

Giorgio Bocca (Cuneo, 1920 - Milano, 2011) è stato tra i giornalisti italiani più noti e importanti. Ha ricevuto il premio Ilaria Alpi alla carriera nel 2008. Feltrinelli ha pubblicato …