Giorgio Bocca: Il disincanto del nord

07 Luglio 2004
Quali strumenti abbiamo per capire gli umori politici del Nord nella crisi generale del berlusconismo? Pochi, ma quanti bastano per capire che il grande amore per il Cavaliere è finito, che alcuni dei legami forti si sono spezzati. Per sempre. Procedo per sensazioni più che per scienza. L'Italia benestante non ha avversato il regime berlusconiano ma non lo ha fatto suo. Il discorso sul regime e su Berlusconi ha consumato i toni passionali degli urli e degli insulti, e poi è scivolato verso le prudenze, le convenienze, le storielle di regime. Più che i pro e i contro si sono allargati i silenzi, il parlar d'altro. La stessa propaganda berlusconiana, l'uso impudente dei media, le esibizioni dei cortigiani si sono per così dire politicamente disinnescati, le provocazioni, le menzogne sono state accolte come il fuoco d'artificio risaputo e mediocre. Con la passione politica se ne è andata anche la mitologia del re Mida che tutto ciò che tocca diventa oro. Non perché Berlusconi abbia cessato di aumentare in modo geometrico la sua ricchezza, ma perché tutti ma proprio tutti hanno capito che giocava a un altro gioco, non quello dell'intrapresa ma quello dell'unione fra intrapresa e politica, fra buoni affari personali e di gruppo e servizio dello Stato. Non tutto ciò che aveva toccato era diventato oro, aveva abbandonato l'edilizia, si era bruciato nella grande distribuzione, si era rilanciato solo nelle televisioni grazie alle protezioni politiche e alle debolezze della politica spettacolo verso il denaro. Ma questo successo di pubbliche relazioni e di furbizia non è bastato a farne l'uomo della fortuna per tutti gli italiani. Il suo recente proclama di voler assumere di persona la guida dell'economia ha spaventato la pubblica opinione più che rincuorarla. Il Nord è diviso sul tema del fascismo e dell'antifascismo, come tutto il Paese, diviso anche sul tema del comunismo e dell'anticomunismo: quelle furono lacerazioni profonde, ferite non ancora completamente rimarginate. Ma credo che l'Italia ricca e pragmatica non approvi l'irresponsabilità di chi ha riaperto queste pagine drammatiche solo per opportunismo politico, solo per assicurarsi una maggioranza numerica. Suona falso l'allarme per una minaccia comunista che non c'è più, come suono falsa una campagna contro la Resistenza che ha riportato la democrazia in Italia e che non ha neppure tentato di aprire le porte a una dittatura rossa, non è piaciuto questo tentativo di riaprire le divisioni faticosamente chiuse nei decenni della Repubblica. A che pro? Per andare al governo con l'aiuto degli ex fascisti? Ma questo lo si era già fatto, dai tempi di Covelli e poi di Almirante, in questi giorni pubblicamente e festosamente ricordato nelle manifestazioni palermitane. Il Cavaliere assumendo il potere affermò di voler "rovesciare l'Italia come un calzino". In parte e in peggio ci è riuscito. L'uso della politica per i buoni affari non ha più limiti. La distruzione del territorio per le speculazioni private ha lasciato il segno nell'intero paese e anche qui più che opporsi, più che resistere l'Italia ricca ha preferito la parte del socio. Ma l'Italia ricca e civile non ha capito perché si dovesse pagare un prezzo così pesante e odioso come il sistematico attacco alla democrazia e ai suoi istituti, la fine della pace sociale, il disfacimento dello stato sociale. La stessa borghesia di ordine che vota Forza Italia non lo ha capito e non lo approva; la vicenda elettorale della provincia di Milano ne è la conferma. Ha vinto non solo un comunista, ma un comunista di apparato, ex sindaco della roccaforte rossa di Sesto San Giovanni, segno che al comunista che mangia i bambini non ci crede più nessuno, salvo forse il satirico Forattini. L'Italia ricca, il vento del Nord non sono oggi portatori di valori etici, e neppure simbolici. Il rapporto fra informazione e classe sociale, è stato sommerso dagli interessi economici. Non ci sono più giornali partito, tutti dedicano decine di pagine alla Borsa, alle aziende, ai consumi, e agli svaghi, ma rimane una richiesta di serietà. In questo senso penso che l'Italia ricca e moderna si sia stufata della mancanza di serietà berlusconiana, della sua politica economica demagogica, delle sue ville in Sardegna e alle Bermuda, del suo americanismo pacchiano, del suo europeismo ballerino. La ricreazione è finita. è tempo di licenziare i guitti e i suonatori di mandolino e di fare bene i conti.

Giorgio Bocca

Giorgio Bocca (Cuneo, 1920 - Milano, 2011) è stato tra i giornalisti italiani più noti e importanti. Ha ricevuto il premio Ilaria Alpi alla carriera nel 2008. Feltrinelli ha pubblicato …