Michele Serra: Il cavaliere delle tre tavole

13 Luglio 2004
Sui quotidiani italiani il numero degli ospiti annunciati alla solenne Notte delle Tre Tavole variava, e non di poco: da un minimo di trentatré a un massimo di quarantatré, a conferma di quanto sia complicato, dopo anni di monocrazia assoluta, imparare di nuovo a fare i conti con la piccola e festosa folla della politica "collegiale". Prima bastava saper contare fino a uno. L'unico elemento di continuità tra passato, presente e futuro era la presenza di una sola donna, la socialista Chiara Moroni, spersa in mezzo a una foresta di cravatte, copertura involontaria di un maschilismo ottuso e irriducibile, vero elemento anti-europeo, anzi extra-europeo, dell'Italia politica. Per il resto, quantità e qualità degli invitati (tra i quali spiccava, ovviamente, il trionfante De Michelis, riassunto al Tavolo dei Tavoli, quello dei leader) facevano intendere che, effettivamente, il famoso teatrino della politica aveva ufficialmente incorporato il famoso Berlusconi, venuto a Roma per spazzarlo via e divenuto il primo nome in cartellone. Leggendo quella lista di segretari e sottosegretari, di esperti e consulenti, e il mormorio su tattiche e pretattiche, e le possibili mosse e contromosse, veniva spontaneo pensare, con sbalordimento, alla scena politica italiana di appena poche settimane fa, con Lui ritratto e replicato fino allo sfinimento, e tutti gli altri, amici e nemici, ridotti a commentarne le gesta non avendone di proprie. E viene da chiedersi perché mai questo paese debba sempre passare, come si dice classicamente, da un estremo all'altro: dall'ascesa travolgente e paurosa, a furor di popolo, di un miliardario demagogo che proclama di schifare la politica, e intende rimpiazzarla tutta quanta con il suo sorriso facilone, alla vendetta tardiva ma feroce, quasi sadica, della politica che lo costringe a piegarsi alle sue regole peggiori, quelle di una contrattazione mai limpida, di trattative mai chiuse, di patti sempre spergiurabili. Possibile che, in mezzo, nell'immenso spazio vuoto che separa il Berlusconi semiduce, ossesso mediatico, padrone di tutto, dal Berlusconi di adesso, ostaggio dei suoi alleati, il centrodestra non abbia trovato un decente metodo per riconoscergli la leadership, però senza consegnarglisi mani e piedi? Perché, per esempio, i partiti di Follini e Fini hanno sempre votato (sapendo di votarli) leggi e decreti platealmente cuciti sulla silhouette personale del premier, sottoscrivendone gli atti più arroganti (come l'assoggettamento della Rai, che solo oggi, a cose ormai fatte, Follini pone come questione di principio), salvo poi denunciare un eccesso di potere personale che essi per primi hanno alimentato? Se dei paletti dovevano essere piazzati, e non in nome delle poltrone ma della democrazia, o perlomeno della decenza istituzionale di fronte al paese, perché non piazzarne neanche mezzo quando si era ancora in tempo, quando la vittoria elettorale (collegiale) della Casa delle Libertà era ancora fresca, e quando già si cominciava a capire che l'immodestia e l'estremismo del premier cominciavano a disgustare non solo gli elettori del centro moderato, ma perfino una parte consistente del suo stesso elettorato? E se questo, come si dice, è un paese moderato, come è possibile che sia riuscito a inscenare, in poco più di un decennio, prima la decapitazione simbolica (non del tutto) di un'intera classe dirigente, con Mani Pulite, poi la svendita all'ingrosso dell'intera scena politica all'uomo più ricco del paese, infine, storia di adesso, la minacciata restaurazione della prima Repubblica forse non tal quale - ci mancherebbe - ma comunque simile, con partitini di pochi etti che riescono a ribaltare la bilancia, decisioni di ogni ordine e grado impossibili da prendere, intere politiche economiche che franano sulla prima clientela ostile? Che strano paese moderato, quello dove nemmeno i moderati sono moderati~ Non lo sono stati quando hanno accettato di fare solo da codazzo plaudente a Berlusconi (a meno che "pavido" sia un accettabile sinonimo di moderato), si dubita che possano esserlo adesso, nel momento fatale in cui la crisi del Re mette a dura prova la moderazione e la lungimiranza dei cortigiani, finalmente con le mani libere.

Michele Serra

Michele Serra Errante è nato a Roma nel 1954 ed è cresciuto a Milano. Ha cominciato a scrivere a vent’anni e non ha mai fatto altro per guadagnarsi da vivere. …