Michele Serra: infelice il paese che ha bisogno di eroi-briganti

28 Luglio 2004
Se invece di Lupo Solitario lo avessimo soprannominato Bombolone o Cocorito, non ci farebbe lo stesso effetto. È solo una battuta, ma aiuta a dubitare dell'enfasi in virtù della quale la rovinosa fuga di un emarginato violento rischia di diventare una pubblica epopea. L'epopea della macchia, della latitanza avventurosa, che in Italia ha radici antiche, quelle del brigantaggio romantico, rinverdite da moderni miti cinematografici e letterari, Thelma e Louise, Punto Zero, l'iperbole del fuggiasco che volta le spalle alla mediocrità di massa per immolarsi contro un posto di blocco, per andare a morire malamente dopo essere malamente vissuto. Questo Liboni, a leggere le cronache che lo riguardano, è fondamentalmente un disgraziato, un balordo dei margini diventato assassino, probabilmente, più per la maldestra incapacità di gestire il crimine che per particolari "meriti" di malavita. Non certo un eccellente, tantomeno un principe del Male come altre star della cronaca nera che lo hanno preceduto, non un Cavallero o un Vallanzasca. Neanche un serial-killer, un paranoico da tesi di criminologia: al massino un pericolo pubblico numero enne, da bassifondi della graduatoria, che un caso cruento (l'omicidio di un carabiniere) ha proiettato su tutte le prime pagine, per giunta nella stagione, l'estate, da sempre incline alle grandi chiacchiere nere, da sempre generosa di "casi" da consumare comodamente sdraiati sotto l'ombrellone. Quel famoso, puntuale "giallo dell'estate" che è, ormai, quasi una collana editoriale di autori vari: noi stessi quando apriamo il giornale con le mani ancora unte di olio solare. Ora sappiamo tutto dei suoi mestieri, dei familiari incappati in questo congiunto deragliato già in età verde, del precariato misero e violento che ha preceduto il molto tardivo debutto di Liboni sulla ribalta della "nera" nazionale. A differenza dei nostri avi, che potevano anche credere nella frottola fogliettonesca del bandito maledetto e affascinante, e trasformare un tagliagole alla macchia in un eroe inafferrabile, dovremmo avere strumenti criminologici e sociologici tali da poter ridurre il fuggiasco e ciò che è davvero, un caso umano, un perdente al quale augurare di essere catturato vivo per avere la speranza - che spetta a tutti - di recuperare in carcere un poco di senno e di dignità, pagando il suo prezzo al male commesso (e la morte, se è vero che crediamo di vivere nella civiltà del diritto, non è mai un prezzo equo). Ma non è così, nessuno si preoccupa di sgonfiare il bubbone, di riportare il caso alla dolorosa ma in fondo ordinaria dimensione di una caccia a un omicida armato. Il crescendo dei titoli sta costruendo attorno a Liboni, quasi naturalmente, l'aspettativa di un finale spettacolare e cruento, da apertura di telegiornale. Un clima da ‟Real tv”, quella terribile trasmissione (importata dagli Usa) nella quale la paura e il dolore delle persone diventano mirabilia da baraccone televisivo. Un suo arresto "normale", senza sangue, senza botto finale, deluderebbe le attese di quel pubblico esigente che siamo diventati. Forse troppo esigente, e così abituato a girare la testa verso il televisore solo quando lo speaker annuncia "immagini sensazionali", che vedere un uomo in manette che viene trasportato in galera (immagine che, in sé, sarebbe già abbastanza sensazionale, a pensarci con un minimo di misura umana) ci farebbe lo stesso effetto di un errore di sceneggiatura, o di montaggio. Mi iscrivo alla minoranza che vorrebbe un Lupo Solitario arreso o sfinito, in gabbia e non in una bara. Sfortunato quel paese che ha bisogno di eroi criminali.

Michele Serra

Michele Serra Errante è nato a Roma nel 1954 ed è cresciuto a Milano. Ha cominciato a scrivere a vent’anni e non ha mai fatto altro per guadagnarsi da vivere. …