Marco D'Eramo: Boston incorona Kerry e Edwards

04 Agosto 2004
Stamane all'alba (ora italiana) la Convention democratica ha incoronato il senatore del Massachusetts, John Kerry, candidato alla presidenza degli Stati uniti nelle elezioni del 2 novembre. Si è così conclusa con la tradizionale pioggia di palloncini rossi, bianchi e blu la 4-giorni (meglio dire 4-notti) di Boston. Nell'ultima sessione i discorsi più rilevanti sono stati (nell'ordine) del presidente del sindacato Afl-Cio John Sweeney, del generale Wesley Clark, dell'ex candidato (di destra) alla vicepresidenza Joseph Lieberman, quelli della capogruppo (di sinistra) democratica alla Camera Nancy Pelosi, dell'ex segretaria di stato Madeleine Albright, delle due figlie di Kerry Vanessa e Alessandra e del figliastro Andre Heinz, e del portavoce di una schiera di commilitoni di Kerry in Vietnam. Dopo il discorso finale di Kerry, il tutto è stato concluso dall'omelia del padre paulista (cattolico) John Ardis, visto che tutti i cardinali Usa si erano rifiutati di venire sul podio a causa della posizione abortista di Kerry (ma, mentre scrivo, tutto ciò non è ancora avvenuto, anzi proprio in questo momento John Kerry in camicia grigia sta provando il suo discorso nell'anfiteatro vuoto: perciò solo nel giornale di domani sarà possibile una valutazione politica di questi ultimi discorsi). Una conclusione provvisoria è però possibile tracciarla, ed è sulla profonda natura di classe di questo partito. Basti pensare che il 40% dei delegati alla Convention appartengono alle minoranze, il 50% sono donne. Più del 10 % sono insegnanti (e quasi tutti sindacalizzati). Impossibile sapere quanti sono gli iscritti ai sindacati, ma di sicuro una maggioranza (in un paese dove solo l'8% della forza lavoro è sindacalizzata).
Il deputato dell'Ohio e candidato pacifista alle primarie, Dennis Kucinich, ci ha spalmato sopra un bello strato di retorica populista (che cito per esteso per rendere l'idea dell'ampollosità che dilaga nella politica Usa), ma non era lontano dal vero quando ha così iniziato il suo discorso: "Noi, i democratici, in convention uniti. Noi che costruiamo questo paese con il sudore della fronte, noi i metallurgici, i metalmeccanici, i minatori, i lavoratori dell'industria aeronautica, delle comunicazioni, i giornalieri, noi che insegniamo ai bambini, che coltiviamo la terra, che guidiamo i camion, che puliamo le strade; noi che bramiamo giustizia, che curiamo i malati, che rappresentiamo gli oppressi, che serviamo i pasti, che stiamo dietro ai banchi, che costruiamo i ponti, che dormiamo sotto i ponti, che siamo affamati di cibo; noi che spegniamo gli incendi, che pattugliamo le strade, che proteggiamo questa nazione e le libertà, noi celebriamo stanotte: i soldati, i marinai e gli aviatori...".
Sembra di rivedere la famosa "lista della spesa" berlingueriana, quando il leader del Pci cominciava i suoi discorsi con l'interminabile elenco dei "soggetti sociali" rappresentati dal suo partito. Ma davvero i pilastri dei Democratici sono le donne, le minoranze, i neri, gli ispanici, i sindacati, i dipendenti pubblici (comunali, statali, federali): è questo il blocco storico che ha la sua origine nel New Deal rooseveltiano. In questo senso, la natura di classe dei Democratici statunitensi è molto più marcata e autocosciente di quella dei Ds nostrani. Perciò sui temi sociali la piattaforma democratica è più a sinistra, più "sociale" del nostro centrosinistra che non ha programma.
In disordine, e senza pretesa di esaustività, ecco alcune delle misure che la piattaforma democratica propone: aumento a 7 $ della paga oraria minima; messa in atto reale del diritto di sindacalizzarsi (assai aleatorio negli Usa); maggiore finanziamento della scuola pubblica; riforma del sistema sanitario per garantire la copertura universale; aumento delle tasse per le famiglie con redditi superiori ai 200.000 dollari l'anno e sgravi fiscali per le famiglie di ceto medio; crediti fiscali per consentire l'accesso all'università delle famiglie del ceto medio; altri sgravi fiscali per consentire l'uso degli asili nido ai figli di genitori che lavorano entrambi; incentivi fiscali per le imprese che creano posti di lavoro negli Usa e aggravi fiscali per le imprese che esportano posti di lavoro (outsourcing); fine dei sussidi alle grandi corporations; leggi anti-inquinamento più severe; ratifica dei trattati internazionali contro le emissioni; revoca di tutti i provvedimenti pro-inquinamento varati dai repubblicani; ripristino di parchi naturali e aree protette; revisione dei trattati internazionali commerciali per condizionare l'esportazione dei posti di lavoro al rispetto dei diritti sindacali dei lavoratori... Ma ve l'immaginate in Italia un centrosinistra che chiede un aumento delle tasse per i redditi sopra di 180.000 euro? O che penalizza le imprese che esportano forza lavoro o che inquinano?
Certo, non è oro tutto quel che luccica: naturalmente, a elezione avvenuta, quest'elenco ha tutte le probabilità di rivelarsi una lista dei sogni. In primo luogo perché, anche in caso di vittoria di Kerry, i repubblicani manterranno con ogni probabilità il controllo della Camera, costringendo i democratici al compromesso su ogni codicillo di ogni legge. Poi perché, come in tutti i partiti di massa, tra vertice e base c'è uno scollamento profondo (quasi tutti i senatori Usa sono miliardari del proprio) e quindi, ancor prima di contrattare con i repubblicani, i democratici devono barattare con la propria ala filopadronale. Infine perché le varie lobbies colpite da questi eventuali provvedimenti sono sempre in grado di fare shopping bipartisan di senatori per sabotarli.
Resta il fatto in nessun'altra assise politica degli Stati uniti - il regno della proprietà e dell'iniziativa privata, la terra promessa del capitalismo selvaggio - potrete mai ascoltare una difesa della sanità e della scuola pubbliche, l'elogio dell'aumento della spesa pubblica e dell'inasprimento progressivo fiscale. Nella Convention repubblicana di fine agosto ascolteremo tutt'altra musica, per quanto mascherata da un'ipocrisia filantropica (il "conservatorismo compassionevole" del Bush annata 2000). Lì per i repubblicani la parola "sindacato" sarà pronunciata con disgusto, come a indicare una gang del crimine organizzato; di neri e di asiatici tra i delegati se ne vedranno pochissimi (ma saranno accuratamente messi in mostra); le delegate saranno tutte sul modello suburbana casalinga e subnormale, contro il generale profilo combattivo delle delegate democratiche; l'America che lavora sarà quella dei padroncini. Neanche la sinistra radicale che nel 2000 votò Nader (quest'anno è ancora tutto da vedere) aveva una tale natura di classe, innanzitutto perché tra i suoi sostenitori i neri erano quasi del tutto assenti, e poi perché il nucleo duro di quel movimento era costituito dalla gioventù universitaria bianca. Tra liberals, radicali, progressisti e sinistra, non c'è sovrapposizione in America (né in Italia). Si può essere radicali senza essere "di sinistra", si può essere di sinistra ma a favore della lobby delle armi (molti operai Usa sono cacciatori accaniti). Sono queste "differenze in seno al popolo" a rendere così difficile per il blocco rooseveltiano il ritorno all'egemonia.

Marco d’Eramo

Marco d’Eramo, nato a Roma nel 1947, laureato in Fisica, ha poi studiato Sociologia con Pierre Bourdieu all’École Pratique des Hautes Études di Parigi. Giornalista, ha collaborato con “Paese Sera” …