Marco D'Eramo: Il terreno degli altri

04 Agosto 2004
Un'America più forte e più sicura, ci ha promesso ancora, e ancora - fino al discorso di John Kerry e fino alla nausea - la convenzione democratica. Se a novembre vinceranno i democratici ci sarà più polizia nelle strade, saranno assoldati 40.000 militari in più, raddoppiate le forze speciali, controllate le navi porta container (è la prima volta nella storia che un discorso di nomination presidenziale parla di prosaiche porta container). Lo stesso candidato alla presidenza ha sfiorato e oltrepassato il ridicolo presentandosi alla convention con un saluto militare e le parole: "Io sono John Kerry e faccio rapporto". L'idea portante è che dopo l'11 settembre gli Stati uniti sono impauriti, anzi terrorizzati dalla prospettiva di nuovi attentati e che i democratici sapranno proteggerli meglio di quanto ha fatto Bush. È evidente la logica di questa tattica (non si può parlare di strategia): negli Usa vi sono 3 milioni di dipendenti del Pentagono e 26 milioni di veterani, il che significa, comprese le famiglie, un blocco di circa 50 milioni di voti virtuali. Ma è assai fondato il sospetto che il blocco elettorale dei militari sia altrettanto insensibile alle avances del partito avversario quanto quello simmetrico dei neri (che votano democratico al 90%).
Per di più, è assai scivolosa l'eccessiva enfasi posta dalla convention e dallo stesso candidato sugli eroici trascorsi militari di Kerry. Un eroico tenente non diventa un grande generale: qui i democratici hanno solo scimmiottato la tattica usata nel 1960 da John Kennedy sul proprio eroismo nella seconda guerra mondiale per contrare gli attacchi repubblicani dopo otto anni di presidenza di un generale (Dwight Eisenhower). E poi, magnificando fino al ridicolo i pochi mesi di servizio militare, la convention ha censurato i successivi parecchi anni di attivismo pacifista di Kerry, la sua militanza contro la guerra in Vietnam: e da qui a novembre sicuramente George W. Bush e Dick Cheney lo chiameranno a risponderne.
Ma un problema più serio è che questa tattica continua a giocare di rimessa, sulla difensiva, cerca di vincere sul terreno dell'avversario - una linea che non ha mai fatto vincere nessuno, come ben sappiamo in Italia. Si dirà che i democratici sono costretti al contropiede perché il pallino ce l'ha in mano Bush: lui può decidere se ritirare due divisioni a settembre, se tirare fuori Bin Laden dal congelatore, se creare il panico per un attentato. E però. Se un elettore vuole un vero militarista, allora vota repubblicano, non democratico. E lo si è visto dalla vaghezza sulla questione irachena. Kerry si è limitato a dire che con lui presidente gli alleati tornerebbero a collaborare con gli Usa. E perché mai? E in cambio di quali contropartite? L'ambiguità è stata tale che - ha notato in un editoriale il New York Times - Kerry non ha avuto nemmeno il coraggio di ammettere il suo errore nell'aver votato a favore della guerra.
E qui arriviamo al secondo serissimo problema: in questo modo Kerry disattende le idee forse non degli elettori, ma certo di quasi tutti i suoi militanti e attivisti, il cui impegno è la sua unica carta a disposizione per vincere a novembre: e questa salsetta né carne pacifista né pesce imperialista non mobilita proprio nessuno.
Di fronte a questi veri e propri svarioni impallidiscono persino gli elementi positivi delle proposte democratiche, l'inasprimento delle tasse sui ricchi, l'alleggerimento di quelle sui redditi medio-bassi, maggiori fondi al welfare, copertura sanitaria per tutti. Kerry si richiama al suo eroe Kennedy persino nelle iniziali (Jfk). La posta in gioco di questa convention era: riuscirà Kerry a mobilitare il riluttante zoccolo duro del suo partito? Per ora, sfortunatamente, la risposta non è positiva. C'è solo da sperare che da settembre in poi l'inaudita volgarità politica repubblicana costringa il ticket Kerry-Edwards a correggere la rotta.

Marco d’Eramo

Marco d’Eramo, nato a Roma nel 1947, laureato in Fisica, ha poi studiato Sociologia con Pierre Bourdieu all’École Pratique des Hautes Études di Parigi. Giornalista, ha collaborato con “Paese Sera” …

La cattura

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