Michele Serra: I nuovi spendaccioni condannati a sgomitare

23 Agosto 2004
Essere ricchi oggigiorno costa uno sproposito, è un'emorragia incontrollabile di uscite, una progressione geometrica dei bisogni. Rispetto a quando le vecchie famiglie redditiere giravano in carrozza e le baronesse svaporate dilapidavano placidamente intere fortune al gioco d' azzardo, mantenendo ville principesche grazie a eserciti di servitori pagati un tozzo di pane, qualcosa (per fortuna) è cambiato. Oggi, per esempio, si usa (in genere) pagare le tasse, e la servitù, si sa, non è più quella di una volta. Anche i gorilla e i personal-trainer sono sindacalizzati, tocca pagare loro i contributi e le ferie, signora mia. Per giunta - colmo dei colmi - la distinzione, che nell' ancien regime era quasi gratis, bastava il nome e bastava l' aplomb, è diventata una qualità irriproducibile: neanche sette ville in Sardegna (metafora delle proverbiali sette camicie da sudare) valgono il fascino di un cottage nobiliare inglese, di una chartreuse francese. Lo status dei ricchi, per quanto si spenda e si spanda, resta a forte rischio di burinaggine, perfino di derisione, e un De Sica spiantato, nei film e non solo, poteva ben portarsi come un principe senza nemmeno pagare il caffè al bar, mentre c' è chi agita interi mazzi di carte da credito senza riuscire ad ispirare nemmeno un millesimo di quella antica classe. E' la democrazia, baby: era facile, nel mondo contadino e servile, o anche nel vecchio capitalismo padronale, spiccare in mezzo alla laboriosa nullatenenza dei poveri che si scappellavano quando passavano i signori. Quando la villeggiatura era, e solo per pochissimi, un fastoso trasloco di bauli, ai primi caldi di maggio, dal palazzo di città a quello di campagna, impossibile da emulare, neanche in sogno. Oggi le coste sarde sono un ingorgo di panfili, e ogni metro di lunghezza in più costa miliardi e marinai aggiuntivi, e farsi riconoscere è diventato un lavoro massacrante e penoso, per giunta a rischio, sempre, di essere oscurato l' estate successiva dall' ultimo e sconosciuto trafficone di borsa russo o commerciante di cessi arabo, che attracca con un affare più lungo del tuo. Il problema dei ricchi è diventato molto simile a quello dei poveri: essere in troppi, e fare in troppi la stessa cosa, dover sgomitare come impiegati del successo per non restare invischiati nel gregge. Sarebbe anche divertente, vedere gli straricchi arrancare alla ricerca (vana) di una copertina di rotocalco, se questa pacchiana corsa all' oro non costasse anche a noi, in termini di tranquillità sociale e decenza civica. Perché la fame di quattrini è diventata bulimica, insaziabile, e spinge a forzare le regole, a manovrare ai margini della legge, a cavalcioni della truffa. La rissa tra ricchi e nuovi ricchi, nel capitalismo maturo, si è fatta furibonda e planetaria, a colpi di navi, aerei e grattacieli, di valuta che lievita grazie ad additivi sempre più arditi e velenosi. E non è mai finita. Perché tra breve, come nei peggiori incubi dei nostri ricchi degli anni Cinquanta, arrivano i cinesi. Non con il moschetto di Mao spianato contro la nostra preziosa, sudata argenteria. Ma con la Ferrari, e le veline che già progettano di abbandonare il centravanti sfiatato (e mediocremente ricco) per il cumenda di Shangai. Straricco, e in grado di dissimulare la sospettata cafonaggine, tipo il rutto a tavola, dentro i misteri dell' esotismo.

Michele Serra

Michele Serra Errante è nato a Roma nel 1954 ed è cresciuto a Milano. Ha cominciato a scrivere a vent’anni e non ha mai fatto altro per guadagnarsi da vivere. …