Enrico Franceschini: Addio lingue straniere, siamo inglesi

09 Settembre 2004
Comincia con una piccola rivoluzione il nuovo anno scolastico per gli alunni di tutta l'Inghilterra: lo studio di una lingua straniera, dai 14 anni in su, cioè dopo le medie inferiori, non sarà più obbligatorio. Risultato: i liceali vi rinunciano in massa. Solo una ristretta minoranza di iscritti alla "high school", indicano le statistiche, continua a frequentare i corsi di francese, tedesco, spagnolo. Quest'anno, nell'ambito del tradizionale esame che verifica il livello dell'istruzione media superiore, il test di lingue straniere è stato affrontato da 12 mila studenti in meno rispetto al 2003. Tra non molto la stragrande maggioranza dei diplomati, dei laureati, dei professionisti di questo paese, prevede il settimanale l'‟Economist”, saranno incapaci di affrontare an che una minima conversazione in una lingua diversa dalla propria: se dieci anni fa il 44 per cento dei dirigenti d'azienda inglesi parlava una lingua straniera, oggi la percentuale è scesa al 28 per cento e tra un altro decennio potrebbe ulteriormente dimezzarsi. D'altra parte, perché mai gli inglesi dovrebbero sforzarsi di imparare un'altra lingua, quando il resto del mondo sembra impegnato a parlare la loro? Nella nuova Unione Europea a 25 nazioni, dal Baltico ai Balcani tre allievi di scuola media superiore su quattro studiano l'inglese. La ‟Siemens”, una delle imprese tedesche che più investe sui mercati internazionali, ha ufficialmente adottato l'inglese come proprio "linguaggio aziendale". Da Internet alla finanza, dalla diplomazia alla scienza, dall'aviazione al commercio, l'inglese è diventato la lingua franca del pianeta. Al punto che ormai è un "business" da esportare: nello stesso giorno in cui la stampa britannica annuncia la fuga dei liceali inglesi dalle lingue straniere, il ‟Financial Times” riporta in prima pagina la notizie che ‟Harrow”, una delle più antiche e prestigiose scuole private d'Inghilterra, ha aperto una sede a Pechino: per insegnare materie umanistiche e scientifiche, naturalmente in inglese, ai giovani rampolli della nuova élite cinese. Ormai, afferma il quotidiano della City, per le scuole private è più facile fare profitti in Estremo Oriente e generalmente all'estero che in patria: dove il richiamo di eccellenza e snobismo di ‟Eton” e altri simili istituti cari alla "ruling class" non funziona più come un tempo. Non c'è da meravigliarsi dunque se il governo Blair, attraverso il ministero dell'Istruzione, ha ritenuto possibile abolire lo studio obbligatorio delle lingue straniere. Tutto bene, allora? Apparentemente sì: gli inglesi smettono di studiare le lingue straniere perché gli stranieri imparano l'inglese. Un'equazione perfetta. E chissà che, armata finalmente di una lingua comune - l'inglese appunto - l'Europa non riesca a integrarsi e diventare davvero unita, osserva con una punta d'ironia l'‟Economist”. Qualcuno, però, si preoccupa: imparare un'altra lingua, osserva per esempio il ‟Times”, non serve soltanto a comunicare con uno straniero, cosa che a questo punto gli inglesi possono fare tranquillamente in inglese, ma serve pure comprendere meglio culture, popoli, paesi differenti. Non a caso, spronato dagli ambasciatori di varie nazioni continentali (tra cui l'Italia), il ‟Foreign Office” britannico ha indetto per il 27 settembre un "Giorno delle Lingue Europee", con l'obiettivo di spingere i propri connazionali a impararle, o almeno a studiarle. I diplomatici sanno per esperienza diretta che, per capire un altro paese e fartelo amico, sei avvantaggiato se parli la sua lingua. Almeno un poco.

Enrico Franceschini

Enrico Franceschini (Bologna, 1956), giornalista e scrittore, è da più di trent'anni corrispondente dall’estero per “la Repubblica”, per cui ha ricoperto le sedi di New York, Washington, Mosca, Gerusalemme e …