Enrico Franceschini: Pausa pranzo, insalata e web. L'internet cafè compie dieci anni

09 Settembre 2004
"Il mondo nuovo della cibernetica si affaccia alle nostre vite, ma scommettiamo che i londinesi, all'ora del lunch, continueranno a preferire fish and chips ai chips al silicone". Era il primo settembre 1994, e la Cnn poteva permettersi di fare dell'ironia sull'apertura del primo "Internet Café" al mondo: l'idea che la gente, in Inghilterra o per la verità anche altrove, fosse pronta a fare colazione davanti al terminale di un computer sembrava piuttosto stravagante. Dieci anni più tardi, quel sarcastico commento suona come la prova di quanto possano essere sbagliate le previsioni dei media. Il termine "Internet Café" è entrato nel linguaggio comune: si calcola che ce ne siano più di ventimila in quasi 200 paesi, da Londra a New York, da Mosca a Hong Kong, e perfino a Timbuktu. Nel breve arco di un decennio il web è penetrato in ogni aspetto dell'esistenza umana, ora fa capolino perfino dal cellulare: non è più strano che qualcuno approfitti della pausa pranzo per navigare. E comunque il fish and chips a Londra ormai lo mangiano soltanto i turisti stranieri. La differenza tra il '94 e il 2004 serve a ricordare quanto sia cresciuto e quanto sia cambiato rapidamente il "cibernetico mondo nuovo" su cui scherzava la Cnn. Una rivoluzione che Eva Pascoe, polacca emigrata in Gran Bretagna per motivi di studio poco dopo il crollo del "muro" del comunismo, non avrebbe certo immaginato, quando decise di aprire un minuscolo caffè nel West End di Londra e di piazzarci dentro, insieme alla macchina per fare espresso e cappuccino, anche una decina di computer. Ex-giocatrice di basket nella nazionale della Polonia, impegnata a ottenere un dottorato in psicologia all'University of London, l'allora 29enne Pascoe era mossa più che altro da obiettivi femministi: la sua tesi di laurea era sul modo in cui le donne interagiscono con l'alta tecnologia, col suo caffè sperava di metterla in pratica. "Ero una cyberfemminista", ricorda adesso, tornando sul luogo del suo esperimento. Ma il ‟Café Cyberia” non le appartiene più. Di donne non ne vennero subito tante, ma di uomini sì: le 20 mila sterline che si era fatta prestare per finanziare il progetto furono recuperate in fretta, il successo le diede una piccola fama, Mick Jagger e il pubblicitario Maurice Saatchi si offrirono di farle da soci come investitori, e i ‟Café Cyberia” si moltiplicarono, diventando una catena internazionale. Ma nel 1998, come molti protagonisti della ‟New Economy”, Eva Pascoe pensò che era giunto il momento di incassare: vendette tutto a una società sudcoreana, che ribattezzò i caffè ‟Be the Reds”, o BTR, lo slogan gridato dai tifosi della loro squadra di calcio nazionale, e con questo nome i caffè continuano a esistere, compreso il primo della serie. Come tutto quello che vi sta intorno, anche il primo Internet Café ha mutato aspetto da dieci anni or sono: ora è su tre piani, ospita una sala per karaoke (l'impronta coreana), videogiochi e 50 pc ultimo modello a schermo piatto della ‟Dell”, mille volte più veloci dei pachidermici ‟Hewlett-Packard” con cui aprì nel settembre '94. Da allora la concorrenza è cresciuta: gli Internet Cafè a Londra sono un po' dappertutto, perfino nei McDonald's, dove li ha messi la compagnia aerea a basso costo ‟Easy Jet”. Ne ha fatta di strada, l'idea dell'ex-giocatrice di basket. Il dubbio è se, nell'era dell'accesso mobile a Internet sui telefonini e sul pc grazie al collegamento Wi-Fi senza fili, prima o poi gli Internet Cafè non diventeranno inutili.

Enrico Franceschini

Enrico Franceschini (Bologna, 1956), giornalista e scrittore, è da più di trent'anni corrispondente dall’estero per “la Repubblica”, per cui ha ricoperto le sedi di New York, Washington, Mosca, Gerusalemme e …