Giorgio Bocca: Una guerra senza vincitori

24 Settembre 2004
Il presidente Bush dice che la guerra nell´Iraq non va abbandonata, ma vinta. È un proposito che torna quotidianamente sulla stampa nostrana filo americana. Purtroppo per Bush e i suoi amici trattasi di una guerra che non può essere vinta per ragioni teoriche e pratiche. Come tutte le guerre palesemente impari, decisamente impari, i contendenti non possono vincere o perdere, ma solo separarsi. Altrimenti non restano che l´imposizione della schiavitù o il genocidio, ma nemmeno un neoconservatore americano può chiamarli vittoria. Non ci sarebbe guerra e quindi vittoria se gli Stati Uniti mandassero nell´Iraq un milione di soldati, 10mila cannoni, 50mila aerei.
Ma semplicemente ci sarebbe la cancellazione della nazione, dello stato iracheno dalla faccia della terra. Una ben singolare liberazione, ricostruzione, accesso alla democrazia! L´unico progetto credibile di una occupazione permanente è stato quello nazista in Russia che prevedeva la separazione degli occupanti dagli occupati, chiusi in riserve prive di scuole, di comunicazioni, di relazioni umane, percorse dalle autostrade gigantesche che permettevano ai vincitori di spostarsi, ma non di comunicare con i vinti.
Vi è un´altra ragione per cui le occupazioni moderne non hanno possibilità di successo: che la resistenza degli occupati non è inerte, immobile, ma si adatta continuamente alle offese dell´occupante, per cui si crea una crescita inarrestabile del conflitto, vedi il Vietnam dove il corpo di spedizione americano aumentava continuamente in numero e in armi sino a superare il mezzo milione di uomini, ma non era mai sufficiente a chiudere la ribellione.
L´aumento dello sforzo repressivo si traduce in un aumento dell´impegno e delle responsabilità, la trovata di un gruppo di nostri filoamericani senza cervello di far intervenire in Iraq la Nato, significherebbe trasformare una guerra checché se ne dica coloniale in una guerra fra continenti e fra civiltà, in una vera guerra mondiale. Non basta seminare il mondo di nemici morti per porre fine a un conflitto. La differenza fra coloro che sono nati e cresciuti in un paese e quelli che ci sono arrivati per conquistarlo non scomparirà mai, i primi in quel paese ci devono e ci vogliono restare per sempre, i secondi ci sono di passaggio e malvolentieri, il turn over dell´esercito americano nel Medio Oriente è un enorme ricambio continuo nel giro di poco più di un anno. La resistenza europea ha dimostrato che quanto più cresceva la repressione degli occupanti tanto più si rafforzavano le ribellioni: le armi degli occupanti tendono a finire nelle mani degli occupati, e così le loro tecniche. In Iraq decine di elicotteri sono stati abbattuti da razzi iracheni e non ci sono difese dalle autobombe. C´è un fattore psicologico che gioca a vantaggio delle ribellioni: il successo agisce sullo stato d´animo dei contendenti, incoraggia i ribelli, avvilisce gli aggressori. I primi fanno la guerra per sopravvivere, i secondi per arrivare alla fine del loro turno al ritorno in patria. Si aggiunga che i primi sono volontari e che i secondi sono soldati di mestiere, o comandati e si capirà perché essi facciano mal volentieri una guerra che non è quella della loro salvezza.
Ci sono anche i numeri a far dubitare della vittoria americana. I servizi segreti italiani dicono che sono oltre centomila gli oppositori armati, ai quali vanno aggiunti i fiancheggiatori e i simpatizzanti. Questa era stata la forza della resistenza italiana, il suo tessuto connettivo. Nell´Iraq occupato si è formata una resistenza di massa grazie alla quale la ribellione si muove in Bagdad e nel territorio in sicurezza e di sorpresa, guidata e protetta da un esercito di collaboratori.
Potremmo aggiungere all´elenco anche i motivi economici. Gli Stati Uniti sono il paese più ricco del mondo ma non abbastanza per sostenere le spese di una guerra continua a migliaia di chilometri di distanza. È l´erario americano, sono i soldi dello Stato che devono provvedere a tutto, alle spese militari, agli imponenti e costosi servizi d´informazione, ma anche all´istruzione e al mantenimento degli ottantamila poliziotti iracheni. La povertà dell´Iraq in una simile guerra impari diventa un´arma formidabile per la ribellione armata. Sarà il dispendio folle di uomini e di mezzi a convincere i potenti che la guerra è un pessimo affare?

Giorgio Bocca

Giorgio Bocca (Cuneo, 1920 - Milano, 2011) è stato tra i giornalisti italiani più noti e importanti. Ha ricevuto il premio Ilaria Alpi alla carriera nel 2008. Feltrinelli ha pubblicato …