Marco D'Eramo: Presidenziali Usa. Esercizi di democrazia tra pizza e martello

26 Ottobre 2004
"John Kerry è il mio eroe" sbotta, dopo un po' di tampinamento, Larry Durstin, caporedattore del settimanale alternativo ‟Freetimes”. "Non solo per fare quello che ha fatto in Vietnam, ma dopo, quando ha organizzato il movimento dei veterani contro la guerra. È stato la figura decisiva nel cambiare l'atteggiamento americano nei confronti di quella guerra. Fino ad allora, agli occhi della maggioranza degli statunitensi, i contestatori erano solo una banda di hippies, sovversivi, ragazzini, figli dei fiori, drogati e fautori dell'amore libero. Per la `maggioranza silenziosa', essere a favore della guerra coincideva con il difendere i valori tradizionali dell'America, il duro lavoro, la famiglia, eccetera. Ma quando l'opposizione alla guerra è venuta dai veterani, da chi aveva combattuto davvero, da chi nella giungla c'era stato, allora la musica è cambiata. Qui erano soldati veri, eroi pluridecorati che dicevano `Basta'. E in quel momento non era facile per un veterano opporsi. Non era ancora diventato alla moda essere pacifisti. Ci voleva un bel fegato. E Kerry di fegato ne ha avuto sempre. Non è ancora andato a vedere il film Going Upriver: The Long War of John Kerry? Vada a vederlo ("Risalendo il fiume: la lunga guerra di John Kerry", regia di George Butler, 2004, ndr). Lì si vede, altro che storie che quelle motovedette non erano affatto una pacchia. Il tasso di perdite su quei vascelli era dell'80%. Ma che smettano di denigrarlo, le ha meritate le sue medaglie".

Il deputato pacifista
Quando al telefono gli avevo chiesto un appuntamento, mi aveva detto: "Vediamoci alla `mangiatoia' della Galleria alle 15 per mangiare". La Galleria è uno di quei velleitari complessi commerciali costruiti negli anni `80 a downtown Cleveland nella vana speranza di attirare qui l'industria dei congressi. Oggi, sotto il tetto di vetro, i negozi sono o chiusi o deserti. La eatery, "mangiatoia", è un grande spazio aperto di tavolini e sedie circondato da chioschi di hamburger, di pizza, paninazzi e fast food italiano, cinese e giapponese. Larry è un omone sulla cinquantina che mi costringe a far finta d'ingerire con coltello e forchetta di plastica un orribile pollo tempura in un contenitore di polistirolo da asporto: "Oggi per me era il giorno di chiusura del giornale, adesso ho finito e la giornata è tutta mia", sorride satollo e soddisfatto.
Larry è nato a Cleveland, ha lavorato nei giornali del resto dell'Ohio prima di tornare qui: "Questa è casa mia, è dove voglio vivere". È un tifoso vero delle squadre di Cleveland, in particolare i Browns (baseball), ma segue in trasferta anche i Cavaliers (basket) e gli Indians (football americano). Soprattutto per l'hockey sul ghiaccio, ma anche per il basket, arrivano qui orde di tifosi canadesi, da Toronto, proprio al di là del lago (che però è come navigare da Spalato ad Ancona).
Uno dei due deputati nazionali della città di Cleveland è il democratico Dennis Kucinich, l'unico onorevole a votare contro la guerra nel 2002. Quest'anno ha partecipato da posizioni pacifiste alle primarie per la corsa alla presidenza. "Io lo conosco da tanto Dennis, ci telefonavamo spesso, ma quest'idea di correre per la presidenza mi è sembrata proprio fuori dalla realtà, non ho capito perché l'ha fatto. L'ho scritto in un editoriale e da allora stiamo un po' sul freddino".
Chiedo a Larry come mai oggi l'Ohio ha senatori repubblicani quando ha avuto una lunga tradizione di senatori democratici, tra cui l'astronauta John Glenn. "Perché il repubblicano Voinovich è stato a lungo (1980-88) sindaco di Cleveland, succedendo proprio a Kucinich che lo era stato per due anni (1978-79), e quindi, oltre al pacchetto garantito di voti repubblicani dell'Ohio meridionale, si porta dietro la dote di molti voti della roccaforte democratica di Cleveland". (Ognuno dei 50 stati elegge due senatori, mentre i deputati al congresso sono eletti per circoscrizioni elettorali: i senatori non dipendono perciò dalla popolazione dello stato, mentre i deputati sì e le circoscrizioni sono ridisegnate man mano che cambia la geografia demografica degli Usa).
Di Kucinich mi riparla Cindy Morizette, direttrice esecutiva della sezione del partito democratico della Cuyahoga county (la contea che comprende Cleveland e la traversa, vedi la puntata precedente pubblicata il 19 ottobre). Nel suo ufficio zeppo di volantini, ninnoli, orsacchiotti, bandierine, foto della sua famiglia afroamericana e di tutte le sue nipotine, l'affabile e obesa Cindy mostra sorridente da dietro gli occhiali un entusiasmo di facciata per John Kerry ("È il nostro candidato e deve vincere"), ma ammette che, soprattutto prima del primo dibattito tv, ha incontrato parecchi musi lunghi e facce depresse. Mi consiglia la sera di andare a un comizio politico che si tiene nei locali del sindacato dei carpentieri (lavoratori dell'edilizia, ma più qualificati dei labourers, i manovali edili) dove parleranno Kucinich e gli altri candidati democratici.
La sera alle sette mi presento alla sezione dei carpentieri di Cleveland. Appena sentono che c'è un reporter, si agitano, mi spiegano che prima della seduta pubblica c'è una riunione a porte chiuse cui non posso partecipare. Uno, più accomodante, mi chiede se ho avuto una formazione da carpentiere (nel qual caso forse...). Saputo poi che sono italiano, mi mandano un italoamericano che parla un dialetto incomprensibile per cui comunichiamo in americano e la sua presenza si rivela inutile. Un altro mi si avvicina e mi dice sottovoce che quando il meeting sarà finito, il tesoriere della sezione mi vuole parlare. Lo vedrò di sfuggita, si chiama Robert Peto e, visto che sono italiano, mi chiede: "Lei lavora per il papa? Io vado a messa tutte le domeniche". Gli spiego che non lavoro per il papa. Così aspetto per quasi un'oretta nell'atrio in cui varie lapidi di bronzo ricordano gli eroici carpentieri, uno che salvò i commilitoni in Vietnam, un altro che con la propria vita difese il presidente Reagan quando subì un attentato. Mentre aspetto arrivano alla spicciolata le candidate e i candidati, uno dopo l'altra, con il/la portaborsa chi se lo può permettere. Infine ci fanno entrare nella bianca bassa sala affollata da un 300 persone (un'enormità per gli Stati uniti). Il bello è che ogni candidato si porta i suoi volantini e se li distribuisce da solo/a.
Già, perché non si vota solo per la presidenza, ma in ordine per:- il senato degli Stati uniti,- la Camera dei rappresentanti degli Stati uniti,- la Camera del parlamento dello stato dell'Ohio,- due posti vacanti di commissari di contea (assessori provinciali)- il pubblico ministero della contea- il segretario del tribunale di prima istanza (Court of Common Pleas),- lo sceriffo,- il cancelliere di contea,- il tesoriere di contea,- l'ingegnere di contea,- il coroner,- il presidente della corte suprema dell'Ohio,- i due seggi vacanti della corte suprema dell'Ohio,- quattro giudici della corte d'appello dell'ottavo distretto,- 13 giudici per la corte di prima istanza,- tre giudici per la divisione degli affari interni,- tre giudici per il tribunale dei minori.
E queste sono solo le cariche più importanti da eleggere, ma ve n'è una miriade di altre: "La lotta più accesa è per i rappresentanti del distretto scolastico: a causa del calo delle entrate, sono stati licenziati un sacco di maestri e le classi sono superaffollate, con 50 alunni in un'aula, perciò bisogna decidere un aumento delle tasse e non sarà facile", mi aveva detto Larry Durstin.
La serata comincia ufficialmente quando il segretario dei Carpenters presenta ognuno dei candidati che poi si autopresenta e, con molto candore (o sfrontatezza), si dipinge come la persona più adatta che la storia ricordi per quella carica. Il discorso tipo ripetuto da Ellen Connally (candidata alla presidenza della corte suprema), da Jose Villanueva (candidato giudice al tribunale di prima istanza), da Patrick J. O Malley (cancelliere di contea) e da un'altra decina di candidati è strutturalmente (nel senso dell'analisi delle favole secondo Propp) il seguente: "Salve, io sono XX, sono madre/padre di Y figli/e e felicemente sposata/o a Z (battuta sul moglie o marito presente in sala che pronuncia la rituale controbattuta); vengo da una famiglia da sempre legata al sindacato: mio padre, mio nonno, mia zia militavano nell'Unione dei ... (insegnanti, tappezzieri, pittori, inservienti..); per le posizioni che ho occupato in precedenza (a seconda dei casi: ho fatto l'avvocato per dieci anni, sono stata amministratrice d'impresa...), sono la persona più adatta a ricoprire la carica per cui mi candido; questa carica è molto importante per la vita quotidiana dei lavoratori, cioè di tutti voi, influisce sul futuro dei vostri figli, sul benessere della vostra vecchiaia; io difenderò sempre gli interessi dei lavoratori durante il mio mandato e io sono tenace e battagliera/o, capace di prendere decisioni difficili e mantenerle. Ripeto ancora una volta che il mio nome è..."

Retorica martellante.
L'insistenza sul nome, soprattutto da parte degli aspiranti giudici, deriva dal fatto che, sul bollettino di voto, per la loro carica non è indicato il partito che li candida, quindi gli elettori fanno un sacco di confusione.
Infine il clou della serata: parla Dennis Kucinich. Visto da lontano sembra un ragazzino, piccolino, magro, col ciuffo nero ribelle. Solo da più vicino si vedono le rughe e l'avvizzimento del viso. La sua retorica è quella della reiterazione: "Noi ci battiamo per questo, noi ci battiamo per quest'altro, noi ci battiamo, noi ci battiamo...". Tutti durante la sera attaccano Bush e l'amministrazione repubblicana, ma lui è l'unico in tutto la serata che dedica molto tempo a Kerry ed Edwards. "Bush chiede altri quattro anni, ma a ci riserva altre quattro guerre". Il discorso finisce in modo quasi istrionesco quando afferra un martello (classico strumento dei carpentieri) e ritma la sua conclusione martellando il tavolo: "Noi costruiremo un'America più forte (martellata), noi costruiremo una vita migliore per i lavoratori (altra martellata)" Entusiasmo in sala.
Molto più pacata e converservole l'altra deputata democratica di Cleveland al Congresso di Washington, Stephanie Tubbs Jones, un donnone nero in tailleur pantaloni nero che ringrazia la sala per la solidarietà all'inizio di quest'anno quando le è morta la madre. Poi elenca tutti i diritti che hanno i votanti: "È importante votare, ma se avete sbagliato a riempire il bollettino, non preoccupatevi: potete chiederne un altro, e se sbagliate ancora, chiedetene ancora un altro, avete diritto fino a tre. Portate a votare la vostra famiglia. Basta che ognuno di voi convinca un conoscente, un collega di lavoro, e ce la faremo". Con ironia conclude il suo discorso: "Qualcuno si chiederà perché mi sono presentata qui con attorno al collo un foulard a stelle e a strisce (la bandiera americana). È semplice: perché mi sono stufata dei repubblicani che pensano di essere gli unici depositari della nostra bandiera e che ci si arrotolano dalla mattina alla sera. La bandiera americana è anche la nostra, ma non è una bandiera dell'odio. I repubblicani ci si spalmano con i "valori di famiglia", ma non valorizzano la famiglia".
La serata elettorale si conclude con trance di pizza grassissima e lattine di birra Budweiser: torna in mente quel che aveva detto John Ryan, presidente della camera del lavoro di Cleveland: "Per qualcuno mobilitazione elettorale significa solo fare atto di presenza a un raduno, ascoltare, sbafare la pizza, farsi un cartoccio di pasticcini da portare a casa e poi è finita qui. Ma gli dico sempre: le campagne elettorali non si vincono mangiando pasticcini".

Marco d’Eramo

Marco d’Eramo, nato a Roma nel 1947, laureato in Fisica, ha poi studiato Sociologia con Pierre Bourdieu all’École Pratique des Hautes Études di Parigi. Giornalista, ha collaborato con “Paese Sera” …