Marco D'Eramo: Madison, Kerry in trionfo tra il Boss e i suoi Red sox

02 Novembre 2004
Gli dei erano con John Kerry per questo comizio a cinque giorni dal voto. Intanto la sera prima la squadra di baseball di Boston, i Red Sox (i Calzini rossi) aveva appena vinto la finale di campionato (4 partite a zero inflitte ai Cardinals di Saint Louis). E quest'evento gioca a favore del Massachussetts in due modi. Il fatto che la finale non si sia prolungata fino al voto accantona una potente distrazione per l'elettorato. E poi erano 86 anni che la squadra di Boston (capitale del Massachussetts) non vinceva il campionato: ormai era diventata una maledizione, tanto che l'anno scorso un commentatore aveva detto: "John Kerry diventerà presidente degli Stati uniti quando i Red Sox vinceranno il campionato (sottinteso `mai')". È lo stesso John Kerry a ricordarlo dal podio: "Ci aveva azzeccato". Anche Giove pluvio è stato clemente: qui, nella capitale del Wisconsin, cittadina universitaria situata all'istmo di quattro laghi, la meteo aveva previsto temporali per mezzogiorno (ora del discorso di Kerry) e invece il cielo, dapprima di un azzurro luminoso si è solo annuvolato trattenendosi da gocciolare. Ma il maggiore appoggio è venuto dalla più potente delle divinità statunitensi - non per nulla è chiamata "il boss": Bruce Springsteen. "Io posso anche diventare presidente degli Stati uniti, ha detto Kerry, ma sappiamo tutti chi è il vero boss". E poi ha aggiunto una rodata battuta: "Quando George Bush ha saputo che il boss fa campagna per me, si è terrorizzato perché ha pensato che parlassi di Dick Cheney (il vicepresidente)". Il combinato composto di questi tre fattori ha trasformato il comizio in un trionfo, tanto che perfino il locale quotidiano conservatore, ‟Wisconsin State Journal” , ha titolato a tutta pagina "Ora questo è un partito politico" sopra la foto dei coriandoli rossi, bianchi e azzurri che piovono su Kerry e una folla sterminata.
"Speriamo in 10.000 persone", mi aveva detto Linda Honald, la segretaria del partito democratico del Wisconsin. "Gli organizzatori dicono 60.000", mi aveva detto in un pub un brizzolato volontario per la campagna di John Kerry; "un'esagerazione", aveva commentato un opinionista. E invece siamo una marea che riempie per un paio di chilometri tutto il viale che scende giù dal campidoglio dello stato, con la sua grande cupola bianca uguale a quella del Campidoglio di Washington. La scenografia è stata scelta apposta: così Kerry sarà fotografato con alle spalle una folla enorme davanti al Congresso (quello degli Stati uniti). Un'ovazione accoglie il governatore del Wisconsin, il democratico Jim Doyle, quando annuncia che siamo in 80.000, forse il comizio più affollato di tutta la campagna elettorale.
La folla è stratificata secondo il colore dei biglietti: chiunque ha diritto a quello grigio, alcuni ne hanno uno giallo, altri uno rosso, e i più fortunati, un paio di migliaia, quello azzurro. Ho preferito non farmi accreditare come giornalista, ma avere un biglietto azzurro e così stare nella folla di attivisti. L'unico svantaggio è che i possessori di biglietti azzurri devono fare una fila sterminata per passare il metal detector e l'ispezione di borse e zaini: c'incolonniamo alle dieci, esco dai controlli dopo le undici. Prima parlano tutte le locali autorità democratiche, la bionda vicegovernatrice Barbara Lawton (l'immigrazione ottocentesca europea in Wisconsin fu a predominanza scandinava e tedesca), il sindaco democratico di Madison, Dave Cieslewicz, i due senatori dello stato, tutti e due democratici, Russ Feingold, che con ogni probabilità sarà rieletto il 2 novembre, ed Herb Kohl il cui mandato scade tra 4 anni (i senatori sono eletti per 6 anni): e il mistero del Wisconsin è proprio il fatto che è tuttora uno stato in bilico per Kerry nonostante il governatore, i sindaci delle due maggiori città (Milwaukee e Madison) e i due senatori siano tutti democratici. Poi canta Dave Grohl della band rock Foo Fighters. Poi tutto si blocca per 45 minuti, tutti in piedi a cercare di non indolenzirsi le gambe, finché all'una il governatore presenta Springsteen e non si può trattenere dall'inanellare titoli delle canzoni del "boss": "Il conservatorismo compassionevole di Bush è una `maschera brillante' (Brilliant Disguise); John Kerry è `nato negli Usa' (Born in the Usa), ci ha dato una `ragione per credere' (Reason to Believe), e con John Kerry `non ci sarà resa' (No Surrender)".
Blue jeans, giacca e maglione nero, Springsteen canta tre canzoni, tra cui naturalmente No Surrender , e parla per cinque minuti in modo piano del perché bisogna votare e appoggiare Kerry che sale sul podio in camicia, cravatta rossa a pallini bianchi, senza giacca: "Bruce canta l'America vera, quella di tutti i giorni, della gente comune, che lavora duro, ma vive negli stenti, l'America reale: è quest'America che voglio rappresentare nella Casa bianca". Poi Kerry elenca tutti i temi della campagna elettorale, lancia frecciate a Bush: "Per dirla semplicemente, il presidente di cui avete bisogno è un uomo in grado di fare più di una cosa alla volta", riferimento a Gerald Ford di cui si diceva che non era in grado di camminare e masticare una gomma americana nello stesso tempo. Le maggiori ovazioni Kerry le raccoglie quando parla del suo appoggio alla ricerca scientifica (in particolare le cellule staminali), della libertà delle donne di scegliere, della sanità per tutti, dell'incentivare le imprese a creare posti di lavoro negli Usa.
Ma non possono mancare Iraq e politica estera in questo stato nettamente pacifista: Russ Feingold è l'unico senatore ad aver votato contro sia il Patriot Act nel 2001, sia la guerra in Iraq nel 2000 e i sondaggi lo danno con 20 punti di vantaggio un contendente repubblicano tosto, che ha speso un sacco di soldi. Kerry ha parlato delle 380 tonnellate di esplosivo scomparse da un arsenale iracheno (proprio giovedì una tv di Minneapolis mostrava un video che poteva essere quello delle munizioni scomparse (si può accedere al video dal portale commondreams.org): "Questo presidente dà la colpa dei fallimenti a tutti tranne che a se stesso". E il comizio diventa kermesse.

Marco d’Eramo

Marco d’Eramo, nato a Roma nel 1947, laureato in Fisica, ha poi studiato Sociologia con Pierre Bourdieu all’École Pratique des Hautes Études di Parigi. Giornalista, ha collaborato con “Paese Sera” …