Marina Forti: Una vita ferita dietro al velo. La grande casa di Monirrieh di Bijan Zarmandili

02 Novembre 2004
La prima scena si svolge nel grande cimitero a sud di Tehran, intitolato ai "martiri della rivoluzione": Zahra si è spenta nella tranquillità di casa sua e ora il marito e la figlia la seppelliscono, con una mesta cerimonia. All'orizzonte i monti Alborz sono imbiancati dalle prime nevicate. Nei viali del cimitero piccole folle rendono omaggio agli shahid, i martiri, con slogans contro Saddam: è il 1987, da sette anni ormai Iran e Iraq sono in guerra. Il marito e la figlia di Zahra offrono dolci ai passanti, come spetta ai parenti del defunto. Accoccolate lungo i muri delle moschee stanno figure silenziose coperte dal chador nero: sono vedove di guerra, si offrono come "mogli temporanee" per qualche ora, per poter campare - una forma di prostituzione sanzionata dalle autorità religiose. La figlia di Zahra conosce la miseria di queste donne, le incontra a volte come pazienti. Lei è medico, ha studiato all'estero ed tornata in Iran, dopo la rivoluzione islamica del `79, perché non voleva perdere il contatto con il suo paese. Ora ripensa alla vita di sua madre, cominciata in un'epoca tanto lontana e diversa per l'Iran - e per le sue donne. La figlia di Zahra rimane una figura appena abbozzata in La grande casa di Monirrieh, romanzo di Bijan Zarmandili. La protagonista è lei, Zahra: una giovane donna che negli anni `30 ha cercato di vivere in modo indipendente e ha pagato in modo amaro la sua libertà. Un romanzo scritto con passione e semplicità, che riesce a dipingere in modo vivo le trasformazioni di un paese che negli anni `30 si affacciava alla modernità e negli `80 compie la sua rivoluzione in nome di un ayatollah. Ma le vicende politiche restano sullo sfondo: in primo piano c'è la vicenda personale di una donna troppo libera per i suoi tempi.
Zahra era poco più che una bambina quando in Iran salì al potere Reza Khan, lo stalliere divenuto ufficiale della brigata dei Cosacchi e poi shahan sha, "re dei re", il primo dei Palhavi: era il 1925 e la sua ascesa inaugurava in Iran un regime dispotico e repressivo, ma avviava anche la costruzione di uno stato moderno, insieme semifeudale e occidentalizzante. A Tehran comparvero allora l'università, l'anagrafe e i primi cinematografi. Negli anni `30 comparve anche il liceo francese per ragazze, e le figlie delle famiglie perbene cominciarono a ricevere un'istruzione moderna. Zahra è stata così tra le prime, poche donne iraniane di quell'epoca che non siano state solo istruite a recitare il Corano e diventare buone mogli.
Le foto di Zahra in quegli anni mostrano una bella ragazza con i capelli corti e la permanente, il rossetto, una camicetta a fiori e grandi occhi neri. Una giovane donna dai modi indipendenti, che si trova a proprio agio nei ricevimenti, discorre di letteratura e di cinema, ha un lavoro e intende sposare l'uomo che le piacerà - nonostante la madre sogni di scegliere per lei un bravo ragazzo musulmano, che vada a chiedere la sua mano prima ancora di rivolgerle lo sguardo, come fanno le persone ammodo. Zahra fa di testa sua: innamorata di un giovane ebreo, ricambiata, fugge con lui a Isfahan e decide di "consumare" la relazione impossibile. Sapeva che le rispettive famiglie non avrebbero accettato di buon grado un simile matrimonio; quello che non aveva messo in conto è che il suo innamorato si sarebbe poi tirato indietro, inchinandosi al volere del padre. Eppure, Zahra è "delusa, ma non pentita". Sposerà infine un uomo affascinante, un impresario di cinema conosciuto a un ricevimento. Anche lui in fondo compie un gesto moderno per l'epoca: è colpito da quella giovane bellissima, colta e piena di verve, e la sposa. E però con il matrimonio Zahra si trova catapultata in una grande casa - a Monirrieh, quartiere centrale di Tehran - condivisa da diversi rami di una grande famiglia tutta discordie e veleni. Si trova sola e isolata, vittima dell'ostracismo del parentado. Poco a poco deve rendersi conto che poco è cambiato nelle mentalità, anche quella del marito.
Comincia così una vicenda che la porterà a cercare la morte dandosi fuoco - si salverà per miracolo. Nelle ultime scene, Zahra è un'altra donna. Ormai nasconde sotto un chador nero non solo le cicatrici fisiche ma anche le ferite dell'anima, e trova la serenità isolandosi dal mondo. Sembra che le vicende del paese non le importino molto. Ascolta, sì, i discorsi della figlia che le racconta cosa avviene fuori delle mura di casa, la rivoluzione, i mullah che sono ormai dappertutto, la lotta di potere tra i religiosi più intransigenti e la cosiddetta sinistra islamica, le esecuzioni pubbliche e le speranze dei "liberali" - quelli che sperano ancora nella democrazia e libertà, si illudono ancora che le frange integraliste saranno ridimensionate. Finché in giorno, alla figlia che incalza, Zahra risponde: "Io la mia rivoluzione l'ho fatta tanti anni fa e ne sto ancora pagando il prezzo".
Questo è La grande casa di Monirrieh: un omaggio a una donna che ha anticipato i tempi, ne ha pagato il prezzo, e probabilmente ha aperto la strada per quelle che sono vissute dopo - e hanno dovuto affrontare nuove turbolenze.

La grande casa di Monirrieh di Bijan Zarmandili

Teheran. Zahra muore circondata dal marito e dalle due figlie: il suo volto sembra finalmente distendersi mentre fuori, inquadrato dalla finestra, appare nel cielo terso il monte Albroz imbiancato dalla prima nevicata ottobrina. Siamo nel 1986. Iran e Iraq sono in guerra. La casa di Zahra è vici…