Marco D'Eramo: Se i liberal perdono la bussola

15 Marzo 2005
Come negli Stati uniti tutti sanno, gli ebrei sono "intrinsecamente" inadatti a fare i contadini, i cattolici a essere banchieri d'investimento, i bianchi a giocare a pallacanestro e le donne a fare ricerca scientifica. A enunciare questi vieti luoghi comuni reazionari non è stato però un neoconservaore bushiano, un razzista dell'Alabama, o un nostalgico cow boy dei bei tempi in cui Berta filava e altro non doveva permettersi di fare. No, questi distillati di sessismo e razzismo volgare sono stati enunciati a gennaio in un pubblico discorso - e non dopo una bevuta a freni inibitori allentati - da Lawrence H. Summers, rettore (presidente) del più autorevole, ricco e prestigioso ateneo del mondo, l'università di Harvard, adagiata proprio di fronte a Boston. Da allora il campus di Harvard è sull'orlo della sommossa tanto che martedì prossimo, il 15 marzo, Summers dovrà fronteggiare una mozione di sfiducia, anche se è improbabile che sia costretto alle dimissioni dal potentissimo e segretissimo consiglio di amministrazione dell'università, che gestisce un bilancio da 22 miliardi di dollari. Sono quasi due mesi che non solo il mondo accademico statunitense e la costellazione femminista degli Stati uniti, ma tutta la pubblica opinione liberal è in subbuglio a causa di queste affermazioni. Summers infatti non è un rettore qualunque: prima di tornare sulle rive del fiume Charles a Cambridge (Massachusetts) nell'università dove aveva ottenuto nel 1982 un Ph. D. in economia e dove aveva insegnato, ha percorso una folgorante carriera a Washington dove dal 1991 al 1993 è stato capo economista della World Bank e dove poi, come protégé di Robert Rubin (già vicepresidente del colosso della finanza Goldmann Sachs e oggi membro del consiglio di amministrazione di Harvard), è diventato l'enfant prodige e uno degli esponenti di spicco delle amministrazioni Clinton: nel 1993 a soli quarantuno anni (è nato nel 1952) fu nominato sottosegretario al tesoro, nel 1995 divenne viceministro dell'economia, secondo solo al segretario al tesoro Rubin, e nel 1999, e per un anno e mezzo, è stato egli stesso ministro dell'economia degli Stati uniti. In quegli anni Summers ha giocato un ruolo determinante nella crisi messicana (1995) e soprattutto nello scatenare e gestire la grande crisi asiatica del 1997. È perciò uno degli uomini più potenti della terra e membro a pieno titolo del Gotha clintoniano; proprio per questo le sue sparate sono qualcosa di più di una caduta di stile e indicano invece un cambiamento di clima culturale e ideologico.

Attacco al "dream team"
Ma andiamo per ordine: il 16 gennaio, nella sede del Massachusetts Institute of Technology (Mit), Summers tenne un discorso di più di 4.000 parole (assai lungo, circa 13 cartelle) nell'ambito di una conferenza organizzata dal National Bureau of Economic Research sul tema "Diversifying the Science and Engineering Work Force" ("diversificare la scienza e forza lavoro ingegneristica"). Al discorso seguì un giro di domande e risposte per altre sette cartelle (quando la protesta divenne insostenibile, il 16 febbraio Summers fu costretto a rendere pubblica la trascrizione di quella conferenza: per chi è interessato, il testo integrale inglese è reperibile nella pagina web www.president.harvard.edu/speeches/2005/nber.html). La seduta fu tumultuosa. Mentre ancora Summers parlava, Nancy Hopkins, professoressa di biologia al Mit, si alzava e se ne andava: "O sarei svenuta o avrei vomitato", spiegò al ‟Boston Globe” (edizione del 17 gennaio).
Tutto il testo di Summers è consacrato a "spiegare" perché sono così poche le donne in posizione di rilievo nelle carriere tecnico-scientifiche (in particolare ad Harvard è ridicolmente basso il numero di professoresse ordinarie). Il caso delle donne, diceva Summers, non è isolato, perché appunto "i cattolici sono assai sostanzialmente sottorappresentati nelle banche d'investimento, una professione enormemente ben retribuita nella nostra società; i bianchi maschi sono assai sostanzialmente sottorappresentati nella National Basketball Association; e gli ebrei sono assai sostanzialmente rappresentati nell'allevamento e agricoltura".
Il primo elemento che traspare da queste parole è il razzismo latente, camuffato dalla trasparente furbizia di citare la sottorappresentazione dei bianchi : d'altra parte, appena nominato presidente nel 2001, Summers aveva preso di petto quello che era stato definito il ‟dream team”, la "squadra di sogno" dell'intellighentzia nera americana, cioè quel gruppo di docenti che si era riunito a Harvard intorno a Kwame Anthony Appiah e Henry Louis Gates jr..
Summers aveva aggredito in particolare uno dei più famosi intellettuali afroamericani, Cornell West, accusandolo di assenteismo, tanto che quest'ultimo se ne andò sbattendo la porta e tornò a insegnare a Princeton: non è noto che Summers abbia fatto scenate simili con altri docenti bianchi. Ma giustapporre donne, cattolici, bianchi ed ebrei ha un effetto ulteriore: assimila e omogeneizza differenze assai eterogenee tra loro, come quelle di genere, razza e religione, e lascia così trasparire il groviglio di pregiudizi impastati di pseudo buon senso e di riduzionismo positivista con cui Summers vuole "pensare sistematicamente e clinicamente alle ragioni di questa sottorappresentazione". "Su molti, molti diversi attributi umani, peso, propensione alla criminalità, QI (quoziente d'intelligenza) complessivo, abilità matematica, abilità scientifica, c'è un'evidenza relativamente chiara che (... ) vi è una differenza nella deviazione standard tra popolazione maschile e femminile".
Nella sua conferenza Summers indicava tre fattori che con peso decrescente contribuirebbero alla scarsità di donne scienziate: il problema dei "lavori di alta cilindrata", le "attitudini intrinseche" e, da ultima, la discriminazione e la socializzazione. Nel mondo, secondo Summers, le giovani donne sarebbero meno disposte dei giovani uomini "a dedicare ottanta ore alla settimana al loro lavoro" e perciò farebbero meno strada nelle professioni "ad alta cilindrata" ( high powered jobs) che richiedono "una dedizione totale".
Il secondo fattore sarebbe l'"intrinseca attitudine", cioè in parole povere l'"intrinseca inettitudine" delle donne, che sarebbero statisticamente meno portate alla scienza come statisticamente pesano di meno, sono meno criminali e sono meno alte: "nel caso speciale della scienza e dell'ingegneria vi sono problemi di attitudine intrinseca, e particolarmente di variabilità di attitudine; e queste considerazioni sono rafforzate da quelli che sono in realtà fattori secondari implicanti la socializzazione e la continua discriminazione". La socializzazione secondo Summers si riduce al fatto che le bambine giocano con le bambole e i maschietti col meccano (e anche questa era già stata sentita): "in un certo senso le femminucce sono socializzate verso l'allevamento (nursing) e i ragazzini sono socializzati verso il costruire ponti, c'è una qualche verità in questo". La discriminazione poi non è un gran fattore perché se davvero esistesse (cioè se vi fossero grandi talenti inutilizzati), in un'economia di mercato concorrenziale basterebbe che qualcuno smettesse di discriminare per ottenere dipartimenti scientifici di qualità eccezionale, il che non avviene, ergo ... Se la discriminazione è un fattore secondario, allora le discriminazioni positive, le affirmative actions sono inutili e controproducenti perché abbassano gli standard.
Non vale nemmeno la pena di obiettare a queste insulsaggini, smentite innumerevoli volte dalla realtà della ricerca, in tutto il mondo. Il problema non è costituito da queste tesi, il problema è capire come mai sono diventate dicibili da un esponente della cosiddetta intellighentzia liberal , o per lo meno da un esponente dell'ala liberal del gran capitale: Summers stesso ha affermato che durante i due mesi di questa crisi (denominata subito Gendergate ), ha parlato varie volte al telefono con Rubin e ha sentito anche Clinton.

Backlash di misoginia
In questione è perciò la crisi ideologica del clintonismo , il progressismo moderato che perde la Trebisonda e non sa più quello che dice, cadendo in un mix di determinismo genetico e di razzismo premoderno, il tutto condito da un backlash di misoginia. Di questo disorientamento Summers, infatti, è il caso più illustre ma non l'unico. Un altro esempio ci è venuto da uno dei più autorevoli opinionisti del ‟New York Times”, Nicholas Kristof. Anch'egli un liberal moderato, di quella schiatta che sta sempre a dire che la sinistra deve capire le ragioni della destra, Kristof è l'incarnazione giornalistica di quei ‟new democrats” clintoniani che stanno al partito democratico di Franklin Delano Roosevelt come l'inglese New Labour sta alle riforme laburiste di Attlee. Dunque, a febbraio Kristof ha scritto un editoriale in cui dà largo credito all'idea che "il nostro Dna può predisporre gli umani verso la fede religiosa... La nozione di un'inclinazione genetica verso la religione non è nuova. Edward Wilson, il fondatore del campo della sociobiologia, sostenne negli anni `70 che una predisposizione alla religione può avere avuto vantaggi evoluzionistici. Negli anni recenti è cresciuta l'evidenza che ci può essere qualcosa di vero in quest'idea, e l'evidenza è esplorata in Il gene dio , un affascinante libro scritto recentemente da Dean Hamer, eminente genetista americano. Il dottor Hamer identifica persino un particolare gene, VMAT2, che potrebbe essere coinvolto. Persone con una variante di questo gene tendono a essere più spirituali, ha trovato Hamer, e persone con un'altra variante, tendono a esserlo meno".
La ragione per cui Kristof si emoziona tanto di fronte a questa "scoperta" è che, se c'è il gene della religiosità, allora la sinistra deve diventare molto più religiosa e farsi carico delle istanze dei fondamentalisti cristiani che hanno fatto vincere George Bush il giovane: ma per ottenere questo nobile scopo, Kristof mette in campo lo stesso veteropositivismo di Summers al servizio di un analogo pregiudizio irrazionale.
L'entusiasmo tira però un brutto scherzo all'autorevole columnist del ‟New York Times”, che non si è dato la pena di fare quel che viene imposto come routine a qualunque giornalista alle prime armi, e cioè andare a guardare chi diavolo è il professor Hamer e quali altri libri ha scritto. Da pivello, ho aperto Amazon.com, e cosa ho scoperto? Che il signor Dean Hamer è un recidivo perché, prima di scrivere The God Gene: How Faith is Hardwired into our Genes, aveva già pubblicato un libro in cui individuava il gene dell'omosessualità, Science of Desire : The Gay Gene and the Biology of Behavior, cioè è uno fissato a trovare l'hardware dei comportamenti umani, il gene che ti fa amare gli impressionisti e quello che ti rende un melomane.
Ma forse non è un caso che, da Summers a Kristof, il centro-sinistra americano stia perdendo la bussola: forse fino all'ottobre 2004 sperava che la presidenza di Bush il giovane fosse un'anomalia transitoria, ora gli si para davanti l'incubo di un'egemonia repubblicana di lunga durata, e quindi di una lunga traversata del deserto, di un'insopportabile perdita di potere. E forse l'eminente genetista professor Hamer dovrebbe analizzare il Dna di questi liberal in via di pentimento: troverebbe di sicuro un gene specifico, quello del trasformismo, che è ormai diffuso non solo nella vecchia Europa ma anche nel giovane nuovo mondo.

Marco d’Eramo

Marco d’Eramo, nato a Roma nel 1947, laureato in Fisica, ha poi studiato Sociologia con Pierre Bourdieu all’École Pratique des Hautes Études di Parigi. Giornalista, ha collaborato con “Paese Sera” …