Marco D'Eramo: Elezioni. Blair si gioca Londra a Baghdad

02 Maggio 2005
‟Per mesi i consiglieri e gli aiutanti del premier laburista Tony Blair hanno cercato di convincere quelli come me che la guerra in Iraq interessa solo la Londra bene, gli intellettuali radical chic, ma che al paese reale, alla Gran Bretagna profonda non frega niente” mi dice di mattina presto John Kampfner, appollaiato sul divano, mentre la gatta si strofina contro i miei pantaloni in una bella casa a tre piani, stile casual con mobilio trendy, nel quartiere di Bloomsbury. John Kampfner è political editor del magazine New Statesman, opinionista di The Independent, autore del libro The Blair's Wars (‟Le guerre di Blair”): ‟Ma adesso si vede che non è così. Guarda il putiferio che si è scatenato da giovedì, quando, ormai messo alle strette, Blair ha deciso di rilasciare il testo integrale del parere del ministro della Giustizia (Attorney General), Lord Peter Goldsmith, sulla legalità della guerra in Iraq, testo che aveva secretato per più di due anni”. Nel male e nel bene è maledettamente inglese la storia di questo ‟parere legale” che fa i titoli dei media britannici: certo il presidente statunitense George W. Bush non si è mai sognato di chiedere pareri sulla legalità della sua ‟guerra preventiva”. Nel male, questo Advice esplicita tutta l'ipocrisia dell'idea di ‟imperialismo umanista”, così cara a Blair; nel bene, è un esercizio estremo di quell'attaccamento alle forme senza cui non c'è stato di diritto.
Nel periodo tra l'autunno 2002 e la primavera 2003 lo stesso Lord Goldsmith appare abbastanza munito di principi morali da mantenere forti dubbi sulla guerra, nonostante le pressioni asfissianti cui viene sottoposto, perfino per mezzo di ‟viaggi rieducativi” negli Stati uniti, ma abbastanza coniglio da espungere ogni riserva dal suo parere nel giro di dieci giorni, tra il 7 e il 17 marzo 2003.
Fatto sta che, a due anni dall'invasione dell'Iraq, la guerra torna sotto i riflettori di questa campagna elettorale che sembrava non avere storia, avviata come era verso una tranquilla riconferma di Tony Blair per un terzo mandato: solo i drogati di politicantismo riescono a entusiasmarsi per la sempre rimandata staffetta a Downing Street, in cui Blair dovrebbe lasciare il posto al suo alleato-rivale Gordon Brown, ora Cancelliere dello Scacchiere (cioè superministro dell'economia).
”Tutto però dipende dalle domande che fai” dice John Kampfner: ‟Se chiedi ai cittadini dove pongono l'Iraq nella scala delle loro priorità politiche, è chiaro che nei sondaggi te lo ritrovi sotto la scuola, la sanità, l'insicurezza, e le questioni dell'immigrazione. Ma se chiedi invece cosa pensano del governo, ecco che salta fuori l'Iraq. E non perché fossero per principio contrari alla guerra, forse lo erano, ma anche se erano favorevoli si sono sentiti gabbati. E per Blair questo è molto più devastante perché è tutta la sua figura di leader che risulta inaffidabile. Guarda i due giornali che appoggiano il Labour, il Guardian e l'Independent. Sono pieni di ‘Blair bugiardo'. E questi sono i giornali che dovrebbero appoggiarlo! Immagina gli altri. Quest'attacco personale a Blair rappresenta la novità della campagna rispetto a quanto ci si poteva aspettare. Che i conservatori di Michael Howard si scatenassero su legge e ordine e sull'immigrazione, era prevedibile. È da una settimana che i media conservatori impazzano sul caso di Abigail Witchalls, un'insegnante part time di 25 anni, carina, con un bel bambino, che passeggiava di mattina in un parco in una zona residenziale ed è stata accoltellata da uno sconosciuto restando paralizzata. La storia ha colpito l'immaginazione collettiva e migliaia di poliziotti stanno braccando l'assalitore. Come sempre, la percezione della criminalità non dipende dall'andamento reale della criminalità stessa: il fatto è che la sensazione d'insicurezza è aumentata terribilmente. Basta vedere la reazione di fronte ai mendicanti: prima la gente che non voleva dare un obolo tirava dritto e basta, ora fa una deviazione e gira al largo perché ha paura di essere attaccata: adesso la sola differenza tra laburisti e conservatori è su quanti nuovi poliziotti vanno assunti, qualche migliaio per il Labour, di più per i Tories. Ed era anche prevedibile che i conservatori cavalcassero l'ondata xenofoba, dopo la paura che si erano presi alle elezioni europee, quando il partito dell'Indipendenza del Regno Unito, violentemente euroscettico, aveva ottenuto il 16% dei suffragi. In tv, quando ha risposto alle domande, Howard è stato attaccato da un immigrato che gli ha detto: `Per voi noi siamo tutti sporchi e cattivi, voi siete razzisti'. E Howard ha avuto un bel ricordare che è figlio di rifugiati ebrei romeni e che quindi è l'ultimo a poter essere razzista: ha dovuto riconoscere che con le leggi restrittive sul diritto d'asilo che propone il suo partito, i suoi non avrebbero mai potuto rifugiarsi qui. La verità però è che ormai anche tra i politici di sinistra è diventato dicibile quel che solo cinque anni fa non era pronunciabile, perché temevano ancora di essere considerati razzisti. Ma c'è una differenza tra seguire i movimenti d'opinione e invece fomentarli. Mi sembra che in questo caso Blair faccia bene a evitare di tacciare di razzismo Howard, e invece ad accusarlo di essere un irresponsabile, un opportunista”.

La crisi dei conservatori
Il fatto è che i conservatori britannici non riescono a riprendersi dalla crisi che li ha colti nel 1992 con l'uscita di scena di Margaret Thatcher (il successivo governo di John Mayor già mostrava i segni del declino). Nel 1997 Tony Blair ha ‟riposizionato” il Labour tagliando l'erba sotto i piedi dei conservatori (un curioso segnale della retroazione tra politica e mondo dell'economia è che due anni dopo la British Airways ha adottato la ‟strategia Blair” per riposizionare la sua immagine). Per ritrovare uno spazio i conservatori si sono spostati ulteriormente a destra, ma senza trovare un vero asse nella loro campagna: non possono neanche appellarsi al conservatorismo stile Bush, visto che i repubblicani Usa si guardano ben dall'andare contro l'unico alleato straniero affidabile che gli rimane.
Così, prima hanno lanciato un attacco con lo slogan ‟Voti Blair, ti prendi Brown”, giocando sulla preannunciata staffetta, ma poi hanno smesso perché hanno visto che all'elettorato quest'idea non dispiaceva, tutt'altro. Adesso si sono buttati sulle menzogne di Blair. Spendono una montagna di soldi e di energie su questo tema, anche se nella campagna elettorale inglese il denaro investito è una quisquilia rispetto al miliardo di dollari che è costata la sola campagna presidenziale 2004. Evidentemente i Tory ritengono che le bugie di Blair siano un tema che rende, anche se non sono i meglio piazzati per sfruttarle. Un sondaggio pubblicato ieri dal conservatore Daily Telegraph mostra che gli elettori ritengono sì Blair un bugiardo (il 58% pensa che in questa campagna stia mentendo, il 26% che no), ma pensano quasi lo stesso di Howard (mente per il 51%, dice il vero per il 24%). L'unico che se la cava è il leader del partito liberaldemocratico, Charles Kennedy (solo il 22% pensa che egli menta, mentre il 46% lo ritiene sincero). Così sincero è Kennedy che è l'unico candidato ad ammettere che vuole aumentare le tasse per migliorare i servizi pubblici: una bestemmia in quest'era di ortodossia mercantilista.
Il risultato del partito liberaldemocratico (Ldp) è il vero interrogativo dell'elezione di giovedì prossimo, 5 maggio. Da sempre nella scomodissima posizione di terzo partito in un sistema selvaggiamente bipolare come quello britannico, ogni vigilia l'Ldp viene dato sulla soglia di uno sfondamento significativo che poi però non si avvera, anche per il consolidato riflesso a ‟votare utile”. Ma questa volta Kennedy può capitalizzare la sfiducia generalizzata nella persona di Tony Blair, una certa disillusione verso il Labour da parte di elettori che però non vogliono votare per un partito conservatore in piena deriva reazionaria. Soprattutto, l'Ldp è l'unico tra i grandi partiti del Regno Unito ad essersi opposto con vigore, e fin dall'inizio, alla guerra in Iraq. Il declino di popolarità di Blair sarà perciò misurato in seggi guadagnati dall'Ldp: ne sono ben coscienti gli strateghi elettorali del Labour che hanno già cominciato a fare campagna dicendo che il partito liberaldemocratico è un cavallo di Troia dei conservatori: un voto per loro, dicono, farebbe rientrare dalla finestra quei Tories che erano stati cacciati dalla porta principale del potere.

Marco d’Eramo

Marco d’Eramo, nato a Roma nel 1947, laureato in Fisica, ha poi studiato Sociologia con Pierre Bourdieu all’École Pratique des Hautes Études di Parigi. Giornalista, ha collaborato con “Paese Sera” …