Simonetta Agnello Hornby: Nessuno riuscirà mai a piegare i Londoner

19 Luglio 2005
Una giornata normale e gradevole, pensavo stamattina. Lavoro a casa, una visita all'ospedale dove è nato tre giorni fa il mio nuovo cliente, un neonato, poi un salto in ufficio, una breve visita ai nipotini e infine cena all'ambasciata. Un solo fastidio: è difficile aprire le finestre dipinte di fresco, devo lamentarmene con l'operaio.
Mia sorella telefona dalla Sicilia: ‟Ci sono state bombe a Londra” dice ‟come state?”
Accendo la televisione e la radio, cerco di ascoltarle contemporaneamente, e mi precipito a telefonare ai miei figli: uno di loro lavora nel centro di Londra. Non c'è linea. Ritento. Provo ancora, disperata. Acchiappo il telefonino: è morto.
Impotente, braccata in casa, ho paura. Alzo il volume della radio e guardo la tv. Mi martellano di notizie. Parlano di 20, 30 morti, di decine di feriti, confermano altre bombe, avvertono che i trasporti pubblici sono paralizzati, E danno consigli rassicuranti: non allarmatevi, rimanete a casa, le procedure di emergenza sono in funzione ed efficaci. Rifiutano di nominare il presunto aggressore e mantengono un tono pacato. "Al diavolo tutti quanti!), penso io. " Voglio sapere dove sono i miei figli".
Giro per casa intontita: sollevo un oggetto e lo dimentico altrove, apro una lettera e la leggo a metà, sfoglio svogliatamente la cartella dell'udienza di domani, vago dal bagno alla cucina, il telefonino tra le mani. Pigio i tasti freneticamente, lo spengo e lo riaccendo, lo massaggio con i polpastrelli, come se potessi rianimarlo, Penso agli autobus che proprio ora portano i feriti al pronto soccorso e mi struggo.
l cellulari rimangono bloccati, al centro di Londra: potrebbero essere usati per innescare una bomba. Dopo un po' riesco a ricevere telefonate sulla linea fissa, ma non posso farle. Amici mi chiamano da tutto il mondo, Rispondo, grata ma impaziente: che succede ai miei figli? Il suono delle sirene è intermittente e lancinante. Un elicottero vola basso: Buckingham Palace è a 300 metri da casa mia. Guardo la televisione, sgomenta. Penso soltanto ai miei figli, Ma poco a poco all'ansia subentra la rabbia: non accetto sconfitte dal terrorismo, la mia giornata deve continuare.
Mi trucco, mi profumo ed esco. È appena mezzogiorno. Victoria street è quasi priva di traffico: gli autobus sono stati requisiti per il trasporto dei feriti. I marciapiedi sono affollati: impiegati che si cimentano nel viaggio di ritorno a piedi, turisti che bighellonano, gente che cerca di usare il telefonino, negozi vuoti. Volti privi di espressione. Tutti.
Passo davanti al ministero di Giustizia. Non c'è polizia, tutto è tranquillo. Mi avvio verso Victoria station. Lì c'è una grande presenza delle forze dell'ordine: decine di ausiliari bloccano la via. "Oggi" mi dice uno, laconico, ‟la stazione è chiusa. Sorry”. La folla muta torna indietro e si disperde. Alcuni trascinano valigie pesanti: torneranno in albergo, forse a casa. Anche loro impassibili. Pioviggina e sento freddo. Entro nella cattedrale di Westminster: pochi fedeli assistono alla messa. Non prego, voglio calmare la rabbia che ho dentro, vorrei urlare e scuotere quella calma surreale che mi circonda.
Esco. Nella piazza due scolaresche scorrazzano ridacchiando, forse ignare. Un tiepido sole ha squarciato le nubi, In una strada secondaria tre giovani prendono il caffè: il velo edi pioggia, sul tavolino, luccica al sole. Chiacchierano animatamente.
Vado dal mio giornalaio: è un indiano musulmano. Lo vedo turbato. "È terribile quello che fanno" dice. "Io sono un cittadino inglese e mi vergogno di loro: sono della mia stessa fede", Mi rendo conto solo allora di non aver pensato ad Al Qaeda. Si sapeva da anni che Londra avrebbe subito un attentato. Il governo ha anche affermato di avere sconfitto tentativi di attacchi alla città. Ma quando quello che si teme avviene, colpisce sempre di sorpresa. E quando c'è paura, non si pensa all'aggressore, soltanto all'atto di violenza. E ricordo, come in un flashback, che in Sicilia, nel periodo della guerra mafiosa, quando magistrati e mafiosi finivano uccisi a Palermo con ineluttabile regolarità, la prima reazione della gente era: "Chi hanno ammazzato?". Senza mai menzionare la mafia. Sapevamo.
Piove di nuovo e fa freddo. Mi fermo sotto un portico e guardo il palazzo in cui vivo: la facciata è avvolta da impalcature coperte da un fitto reticolato verde, come il bozzolo di una gigantesca crisalide. Prigioniera in quel guscio di ferro e plastica che mi toglieva il sole, sbraitavo contro il condominio. Ora, braccata nella mia città, sono in un'altra prigione: quella che il terrorismo vuole imporre alla nostra civiltà. E non lo permetterò. Come i tanti coraggiosi siciliani che continuano la lotta contro la mafia, io non consentirò al nemico di piegare il mio spirito e aggredire le mie libertà civili.
Torno a casa e subito squilla il telefono. È mio figlio: stanno tutti bene. Prendo un caffè guardando la televisione. Ricevo tante telefonate, molte da amici lontani. La mia segretaria chiede se verrò al lavoro: dovrei camminare per edue ore; le detto alcune lettere. Metto a posto il ricevitore e mi rendo conto che non abbiamo parlato degli attentati. Mi chiama un'amica per disdire un appuntamento. Non c'è bisogno di spiegazioni: è un ministro laburista.
Lavoro, ma non riesco a staccarmi dalla televisione. Il numero dei feriti aumenta ma non danno informazioni sui morti. Al Qaeda ha rivendicato gli attentati. Il primo ministro parla alla nazione: eloquente come sempre, con moderazione e determinazione. Verrà a Londra e poi tornerà a Gleneagles: ‟business as usual!”. La mia rabbia
diminuisce, subentra la volontà di non cedere e di combattere contro chi vuole strangolare la mia civiltà con il terrorismo. Il ritorno alla normalità, non cedere: questa è la grande forza di Londra, I terroristi non hanno fatto i conti con la resistenza della città: una volta rassicurati sull'incolumità dei loro cari, al mio studio hanno lavorato tutti per tutta la mattina. Durante la pausa pranzo hanno guardato la televisione, l'ufficio è stato chiuso solo un po' in anticipo per permettere alla gente di tornare a casa. Altri studi, più facoltosi del mio, hanno prenotato stanze negli alberghi per i dipendenti che non potevano tornare a casa.
Come avvenne durante i bombardamenti dei nazisti, così ora le nuove generazioni di londinesi, appartenenti a etnie e religioni diverse, sono unite nella resistenza ai cambiamenti imposti con la violenza e adottano la flemma inglese. Come il mio giornalaio mantengo le mie radici siciliane e sono fiera di essere ‟a Londoner”.
Esco di nuovo e cammino per Londra. Le nuvole sono scomparse e fa caldo. I pendolari si accingono a un lungo viaggio a piedi verso casa, la folla sembra tranquilla e determinata. Ma manca un sorriso. La bancarella del fioraio non ha clienti. La bandiera a palazzo reale è a mezz'asta, ma continua a sventolare.
Alle 5 del pomeriggio, lavorando incessantemente, la London transport ha riaperto al pubblico la maggior parte dell'underground. Alcune linee di autobus funzionano di nuovo. La città è I tornata alla normalità.

Simonetta Agnello Hornby

Simonetta Agnello Hornby è nata a Palermo nel 1945. Vive dal 1972 a Londra ed è cittadina italiana e britannica. Laureata in giurisprudenza all’Università di Palermo, ha esercitato la professione …