Gianni Celati racconta la “sua” Venezia

26 Settembre 2005
Venezia per me rimane legata alle prime visite infantili, quando abitavo a Belluno e spesso alla domenica mio padre mi portava a Venezia, in giro per calli a guardare le facciate delle case, e nei musei a vedere i quadri, e nelle chiese a osservare gli stili architettonici. Quella è stata la prima scoperta di un'idea della forma: la forma delle vecchie facciate veneziane, l'ordine armonico delle finestre, dei balconi, delle porte, tutto sorprendente ai miei occhi. Nel corso degli anni le facciate delle case veneziane sono diventate per me il segno di uno stile esotico, decorativo, immaginoso e al tempo stesso sobrio, che mi colpiva molto. Poi ancora più avanti, negli anni, Venezia si è associata in me all’idea d'una cultura diversa e più fantasiosa rispetto a quella scolastica, che includeva anche una lingua e una letteratura che mi attiravano molto. Ho invidiato la gente che parlava in dialetto veneziano, e ho fantasticato su come avrei potuto scrivere in veneziano oppure nella straordinaria lingua di Ruzante. Lo strano esotismo veneziano, credo sia stato l'unica vaga idea di una possibile patria che ho mai avuto in vita mia - forse proprio perche Venezia porta dappertutto le tracce di paesi lontani, dì stili e merci e ricchezze provenienti da un altro mondo.
Anche se non ho nessun ricordo particolare di Venezia. In realtà, complessivamente, ho passato poco tempo in questa città. Non ho nessuna familiarità con molti suoi quartieri, e nei vicoli mi perdo facilmente. Più che altro Venezia è qualcosa come un ideale di città che mi porto in mente, una delle prime città europee dove molte popolazioni hanno convissuto assieme (ebrei, armeni, turchi, dalmati, siriani, etc.), dunque una città di gente che ha come patria il mondo, e non un territorio atavico da cui cacciare via gli estranei. L'insularità di Venezia andava assieme a questa apertura verso l’esterno, che è stata un ideale politico straordinario, dove la mercatura rappresentava il medium di un'armonia del mondo. Adesso tutto questo è fuori moda, perche non è più la mercatura, non sono più gli scambi commerciali, ma la pura astrazione finanziaria a dominare le città e gli uomini.
Eppure esistono differenze tra la Venezia di allora e la Venezia di oggi. Come tutti, vedo che è sempre meno una città per veneziani e sempre più una città quasi esclusivamente per turisti. Un giorno ho incontrato in Piazza san Marco dei conoscenti americani, e da come mi parlavano ho avuto l'idea che Venezia fosse per loro una spe. cie di periferia vacanziera di New York. Può darsi che lo diventi sempre di più. Può darsi da qui a vent'anni nessuno parli più il il dialetto veneziano, e di qui a cinquant'anni si parli quasi soltanto in inglese. Io mi chiedo: come si vive adesso a Venezia? Esiste ancora la vita quotidiana? Oppure esiste solo questo suo sostituto in pillole che è la giornata turistica? Passando da certi quartieri silenziosi e poco frequentati, l'altro giorno ho avuto l'idea che la vita quotidiana senza le eccitazioni turistiche sia ormai anche quello un miraggio d'altri tempi.

Gianni Celati

Gianni Celati (Sondrio, 1937 - Brighton, 2022) ha pubblicato per Feltrinelli: Narratori delle pianure (1985, premi Cinque Scole e Grinzane-Cavour); Quattro novelle sulle apparenze (1987); la trilogia Parlamenti buffi uscita …