Marco D'Eramo: Cia-gate. Il vero bersaglio

02 Novembre 2005
La dice lunga su chi è il vero bersaglio del Cia-gate la violenza con cui il vicepresidente degli Stati uniti, Dick Cheney, ha difeso il suo (ormai ex) capo di gabinetto, I. Lewis Libby jr., appena incriminato da un Gran Giurì federale di spergiuro, falsa testimonianza e ostruzione alla giustizia (capi d'accusa che implicano 5 anni di reclusione).
Già, perché negli Stati uniti il capo di gabinetto sta al suo presidente, o vicepresidente, come Gianni Letta sta a Silvio Berlusconi: è più del suo alter ego, è la sua eminenza grigia. E, visto che in quest'amministrazione il vicepresidente di nome è il presidente di fatto, e cioè che le leve di comando sono in mano a Cheney, l'incriminazione e le dimissioni di Libby significano che sempre più si stringe il nodo intorno alla Casa bianca. Per ora rimane in sospeso la sorte del capo di gabinetto di George W. Bush, Karl Rove, che a Washington è soprannominato ‟il cervello di Bush” o, più volgarmente, ‟le palle di Bush” (di certo Rove è l'architetto della vittoria elettorale del 2004). Per lui si prospetta un supplemento d'indagine (è già stato ascoltato quattro volte come testimone dal Gran Giurì), anche se ieri il procuratore speciale Patrick Fitzgerald ha rifiutato di rispondere su nomi precisi (Cheney, Rove...): non è chiaro se Rove l'ha scampata o se il Giurì se lo sta rosolando a fuoco lento.
In Italia appare incomprensibile l'accanimento indagatorio con cui negli Stati uniti s'investiga su un tipo d'indiscrezione che i nostri ministri divulgano a palate. Ma altrettanto incredibile fu che Richard Nixon dovette dimettersi per dei nastri registrati e che Bill Clinton rischiò l'empeachment per una macchia su un vestito. Da questo punto di vista, l'inchiesta in corso rappresenta quasi un risarcimento politico rispetto all'ipocrisia puritana del passato, perché in realtà punta su un crimine ben più letale di un sesso orale o di un'intercettazione negata: mira le falsità che hanno precipitato gli Stati uniti in una guerra, l'irachena, che finora ha causato 2.000 caduti tra i soldati Usa, più di 10.000 morti nella polizia ed esercito iracheno, più di 30.000 vittime civili; una guerra scatenata in base a pretesti poi rivelatisi falsi, come l'atomica di Saddam Hussein. Proprio su questo punto verte in realtà l'indagine di Fitzpatrick: se nel luglio 2003 l'ufficio di Cheney lasciò trapelare alla stampa che Pamela Wilson era un'agente Cia in incognito, fu solo come rappresaglia contro suo marito Joseph, un diplomatico che aveva smentito i documenti secondo cui Hussein aveva comprato uranio in Niger (tesi che il segretario di Stato Colin Powell aveva sbandierato nel suo discorso all'Onu). Al fondo dell'indagine del Gran Giurì c'è dunque la legittimità della guerra in Iraq e, con essa, la legittimità del secondo mandato di Bush, costruito proprio sulla ‟guerra al terrore”: legittimità legale, perché è da un bel po' che Bush ha perso quella politica, del consenso popolare; peccato che il dissenso si sia rivelato solo dopo l'elezione del 2004.
I rovesci si riversano su questo presidente svagato. Ad agosto gli si era letteralmente rovesciato sulla testa l'uragano Katrina. L'altroieri si è dovuta ritirare Harriet Miers, la sua candidata a giudice della Corte suprema. Il presidente della Camera dei deputati, Tommy De Lay, è incriminato per finanziamenti illeciti. Il lobbista Jack Abramoff è sotto inchiesta per i fondi neri passati ai repubblicani. Senza dubbio, assistiamo al tramonto del bushismo. Ma questo crepuscolo può durare altri 36 mesi, fino al novembre 2008, alle prossime presidenziali, senza portare niente all'opposizione democratica che ostenta la selvaggia energia di un'ameba anoressica. I democratici si affidano ai Gran Giurì: già troppe volte, negli Usa, la vittoria contro la destra è stata delegata all'apparato giudiziario o alle sentenze della Corte suprema. E non ha mai portato un gran bene.

Marco d’Eramo

Marco d’Eramo, nato a Roma nel 1947, laureato in Fisica, ha poi studiato Sociologia con Pierre Bourdieu all’École Pratique des Hautes Études di Parigi. Giornalista, ha collaborato con “Paese Sera” …