Umberto Galimberti: Aborto. Le nostre anime davanti a quel tabù

29 Novembre 2005
Quando una pratica come l´aborto è antica quanto la storia dell´uomo ha poco senso schierarsi pro o contro. Molto più importante, penso, sia capire, per quel che è possibile, quali significati nascosti e segreti si racchiudono in questo evento tabù che in un istante fa coincidere in modo drammatico la vita e la morte.
"Abortire" viene dal latino "ab-oriri" che vuol dire "non nascere". La natura quasi sempre rifiuta l´aborto perché, per la conservazione della specie, ha bisogno di tanta vita. Non perché la vita sia "sacra". Alla natura non appartengono giudizi di valore. Per questo essa spreca tante vite senza rimpianto. Ciò che deve perire non può essere salvato, perché altre vite urgono.
Per questo la natura non indugia su ciò che muore, perché quello che vive deve la sua vita a molte morti. E siccome questa crudeltà è condizione di vita, la crudeltà, la morte, il dolore non cadono sotto il dominio della morale, ma, nell´ordine della natura, mantengono la loro innocenza.
La natura, infatti, è ciclo crudele e innocente di vita e di morte, dove l´una è concessa a condizione che l´altra accada.
Alla natura i singoli individui interessano solo in quanto riproduttivi. Le loro biografie, le loro storie, i loro progetti, i loro sogni, il senso che essi cercano nel breve tragitto della loro esistenza, alla natura non interessano proprio nulla perché, come vuole l´immagine di Goethe: ‟Nel vortice della sua danza sfrenata la natura si lascia andare con noi, finché siamo stanchi e le cadiamo dalle braccia. La vita è la sua invenzione più bella e la morte è il suo artificio per avere molta vita. Sembra che abbia puntato tutto sull´individualità, eppure niente le importa degli individui”.
Questa, tra natura e individuo, è la grande contraddizione che nel corpo della donna, dove le esigenze della natura e quelle della propria soggettività confliggono, diventa la grande lacerazione che non consente sempre alla donna di coincidere con l´istanza materna e all´istanza materna di essere sempre compatibile con la realizzazione della propria individualità.
L´aborto è solo il drammatico epilogo di questa lacerante contraddizione, che viene prima di tutte quelle giustificazioni razionali, assolutamente da non trascurare, che sono l´età in cui si resta incinte, il numero dei figli già nati, le risorse economiche della famiglia, il costo delle abitazioni, la scarsa disponibilità di nidi e di asili, la sempre maggior difficoltà delle famiglie nucleari di oggi di farsi aiutare.
Tutte queste ragioni vengono dopo, molto dopo. Prima di queste, inconfessatamente, segretamente, inconsciamente, c´è il rifiuto della donna di consegnarsi ineluttabilmente e incondizionatamente alle richieste della natura che guarda gli individui esclusivamente come fattori riproduttivi per la sua autoconservazione. Nella donna, infatti, tra la sua soggettività e il suo essere madre può non esserci coincidenza e l´aborto è il gesto drammatico che sancisce questa lacerante distanza.
I rappresentanti dei vari "movimenti per la vita" che oggi si vorrebbero nei consultori a dispensare i loro consigli, non conoscono questa lacerazione. Con la parola "vita" essi pensano alla vita della natura non a quella dell´individuo, dimenticando che è stato proprio il cristianesimo a far nascere e a far crescere il concetto di "individuo", emancipando la persona dall´ordine naturale per instaurarla come compiuta soggettività, a cui compete capacità di discernimento e libero arbitrio.
E non è chi non vede che la vita e gli interessi dell´individuo non coincidono sempre e in ogni caso con la vita e l´interesse della specie. Non è una faccenda di egoismo, quindi una faccenda morale. È il segno di una contraddizione insanabile tra la vita della natura e la vita dell´uomo che, a differenza dell´animale, non coincide perfettamente con l´ordine naturale. L´aborto, che gli animali non praticano, è uno dei segni evidenti di questa non coincidenza. Si dirà: non è necessario arrivare all´aborto, ci sono i contraccettivi per evitare gravidanze indesiderate. È vero. L´obiezione è ineccepibile e, a parte la riprovazione della morale cattolica anche in ordine all´uso dei contraccettivi, un´adeguata informazione a partire dalle nostre scuole sarebbe davvero auspicabile.
Ma non basta. L´argomento è ineccepibile, ma purtroppo è solo un argomento razionale. E come ognuno di noi sa e come Freud ha cercato di far capire, la sessualità è la più anarchica fra le attività umane, quella che meno si lascia domare e civilizzare.
Più si cerca di orientare la contraccezione con argomenti solo razionali più si rischia di trascurare quelli arcaici e inconsci che accompagnano ogni atto sessuale, con rappresentazioni immaginarie di fecondazione, del tutto indipendenti da una sua realizzazione effettiva. Dovunque la sessualità viene costretta da regole, essa cerca altre strade per dare espressione alla sua dimensione anarchica.
E se la sessualità agisce irrazionalmente, altrettanto vale per la contraccezione a essa vincolata. Una contraccezione sicura al cento per cento appiattisce la sessualità e la priva di quel fattore di rischio che fa parte dell´eccitazione, a sua volta legata a inconsci e arcaici legami del fecondare e dell´essere fecondate di cui, almeno sul piano psichico, l´atto sessuale non può essere del tutto deprivato.
Se la contraccezione è un evento razionale, tecnico e indiscutibilmente non erotico non è difficile comprendere come mai spesso esso arrivi non prima ma dopo il sesso, nella forma drammatica dell´aborto. E questo lo diciamo non per giustificare chi non usa contraccettivi, ma per capire perché talvolta si dimentica di assumere regolarmente la pillola, di infilare come si deve il preservativo, o perché si preferiscono pratiche e metodi che hanno il "vantaggio" di non essere sicuri al cento per cento. Se la sessualità non è solo evento idraulico ma evento psichico, la sua connessione inconscia con la fecondazione è ineliminabile.
La pillola del giorno dopo - e la RU486 intorno a cui si è aperto in questi giorni un vivace dibattito, quando non un vero e proprio conflitto tra strutture sanitarie e ministero della Sanità - sarebbe forse più razionale e certo più rispettosa del conflitto che esiste tra la natura anarchica della sessualità e la responsabilità richiesta dalla gravidanza.
Si terrebbe infatti in debito conto l´irrazionalità della sessualità e successivamente la determinazione dell´individuo a volere o non volere un figlio. Prima si è festeggiato, poi si fa ordine. Ma per molti questi due tempi aprono un varco all´irresponsabilità, donde le discussioni e i conflitti.
E tutto questo sul corpo della donna, perché all´uomo fin dall´origine della sua storia, ininterrottamente fino a oggi, è stato concesso di uccidere a viso aperto nelle guerre, con tenui riprovazioni e mille giustificazioni. E questa voluttà di uccidere che W. Burkert ha così ben descritto in Homo necans (1972), è giustificata quando avviene a opera degli uomini nei teatri di guerra, e riprovata quando accade nello spazio buio e invisibile del corpo delle donne. Dov´è la differenza tra questi due modi di esprimere la pulsione di distruttività e di morte che, a sentire Hegel e poi Freud, sembra un tratto distintivo della specie umana?
Penso che la differenza sia nel fatto che nella guerra si uccide e basta. Quindi la distinzione tra bene e male resta chiara. Nell´aborto si sopprime l´effetto di un atto d´amore. E questo cortocircuito tra l´amore e la morte resta ancora un mistero che, accostando due situazioni-limite, e tra loro contrastanti, dell´umano, resta incomprensibile al maschio che non vive il dramma nel suo corpo, e secretato dalla donna, che più dell´uomo sa, senza poterlo fino in fondo svelare, cos´è davvero nascere e morire.

Umberto Galimberti

Umberto Galimberti, nato a Monza nel 1942, è stato dal 1976 professore incaricato di Antropologia Culturale e dal 1983 professore associato di Filosofia della Storia. Dal 1999 è professore ordinario …