Gian Antonio Stella, Sergio Rizzo: Le strane spese della Sogin. Dalle scorie ai libri di Dell'Utri

29 Novembre 2005
Cos’hanno in comune l’energia atomica e i libri usati? Nulla, direte voi. Non è esatto: hanno in comune la Sogin, delegata a smaltire le scorie italiane e a smantellare i sottomarini nucleari russi. Dietro la riluttanza del Tesoro a dare l’ok al bilancio della società, concesso dopo un lungo tiramolla solo grazie a un ribaltone ai vertici, ci sarebbe infatti una certa ‟spendaccionità” rivelata da episodi relativamente minori. Come la costosissima partecipazione al Salone del libro usato organizzato a Milano da Marcello Dell’Utri. Ma partiamo dall’inizio. Cioè dalla scelta del governo di perfezionare nel novembre 2003, durante il vertice Ue-Russia, un accordo preso al G8 genovese per dare una mano alla Russia di Vladimir Putin a mettere in sicurezza 117 sottomarini ormai inutilizzati e potenzialmente pericolosi. Spesa prevista: 360 milioni di euro, dei quali 8 milioni già scuciti o da scucire adesso e gli altri 352 a carico (in bocca al lupo) dei governi futuri. La missione è affidata alla Società Gestione Impianti Nucleari che, nata da una costola dell’Enel, incorpora dal ‘99 le competenze sulle centrali nucleari italiane e si è occupata, per esempio, dello stoccaggio delle scorie a Scanzano Jonico poi saltato per la rivolta della popolazione. Il tema, come forse i lettori ricorderanno, è: al di là della scelta forse doverosa di collaborare a un progetto internazionale per rimuovere le armi atomiche degli anni della guerra fredda, l’enormità della somma stanziata (il quintuplo dei soldi italiani dati ai Paesi colpiti dallo tsunami che fece 288 mila morti) esige o no la massima trasparenza? Questa trasparenza non c’è, dissero l’Autorità per l’Energia e il Tesoro chiedendo lumi su come la Sogin aveva speso i soldi e contestando in particolare 4,8 milioni di euro di spese. C’è, rispose al contrario Gianni Letta contestando la ricostruzione del Corriere sugli sprechi in particolare per la festa di inaugurazione dell’ufficio di Mosca, ufficio che oggi sarebbe sceso da una ventina a una manciata di addetti. Come se l’avvicinarsi delle operazioni sui sottomarini avesse reso meno necessaria la presenza del nostro personale. Fatto sta che proprio la chiusura del braccio di ferro sul bilancio, approvato giorni fa con tre mesi e mezzo di ritardo sulla scadenza fissata dalla legge, mostra come la storia meriti davvero la luce dei riflettori. Contrariamente alle versioni più benevole, infatti, Giulio Tremonti (che tra amici bolla sarcastico la vicenda come ‟una bomba atomica”) almeno su questo punto si è ritrovato d’accordo col suo ex amico Mimmo Siniscalco: i conti della società, controllata al 100% dal Tesoro, non sono cristallini. Al punto che la sospiratissima approvazione viene fatta pesare. Il Tesoro la concede ‟pur mantenendo alcune perplessità” ma ‟invita la Società al contenimento dei costi, in particolare quelli relativi al personale, nonché a valutare l’effettiva convenienza economica di ogni nuova iniziativa sulla base di dettagliate analisi economico-finanziarie”. Traduzione dal burocratese: chiudiamola qui, ma d’ora in avanti i soldi vanno spesi meglio. Non basta. Per dare quel via libera che ormai aveva assunto un imbarazzante peso politico, il Tesoro ha imposto un ricambio ai vertici. Lasciando al suo posto il generale Carlo Jean ma piazzando come amministratore delegato Giuseppe Nucci, che viene dall’Enel e sarebbe uomo del direttore generale del ministero Vittorio Grilli, al posto di Giancarlo Bolognini, capro espiatorio col funzionario del Tesoro Fernando Carpentieri, che forse paga anche l’essere di Alvito come Fazio. Quanto al monito sui costi del personale, il riferimento appare scontato: a forza di assumere per (futuri) lavori di stoccaggio, la società sarebbe arrivata a avere seicento dipendenti. Tra i quali spiccano figli di papà (come Pierfrancesco Baldassarri, rampollo del viceministro Mario, proveniente dall’Enel) e figli di partito. Per non dire del consiglio di amministrazione. Lo statuto pretende che ogni membro abbia ‟almeno tre anni di esperienza” in varie attività ‟giuridiche, economiche, finanziarie o scientifiche attinenti o comunque funzionali all’attività d’impresa”? Bene: i posti sono stati distribuiti molto più generosamente. Non solo il Cda è stato raddoppiato in pochi anni da 5 a 9 membri (con automatico raddoppio dei costi) ma ci puoi trovare politici trombati alle ultime regionali come Cosimo Mele. Il quale, perso il posto di capogruppo Udc a Bari dal cui pulpito aveva attaccato la Sogin proprio per la scelta di stoccare le scorie a Scanzano, potrà mettere a disposizione la sua preparazione quale titolare di una società di calcestruzzi (estrazione e lavorazione di pietre per produrre sabbia e pietrisco), di un’altra che si occupa di agriturismo, di una terza addetta al commercio di alimentari e abbigliamento, non pare corrispondere tanto al profilo richiesto dallo statuto Sogin. Tutte materie indispensabili per smantellare sottomarini nucleari russi. Come indispensabile dovette apparire, ai vertici della Sogin, la partecipazione al primo Salone del Libro Usato, il grande mercato di seicento bancarelle organizzato alla fiera di Milano da Publitalia e fortissimamente voluto da Marcello Dell’Utri. Un salone bellissimo, dove le cronache raccontano che potevi trovare il Catullo di Quasimodo illustrato da Birolli, la prima edizione della Bufera di Montale o Fedor, il primo rarissimo poema drammatico di Brancati successivamente ripudiato. Ma che c’entrava lì, tra bibliofili e gli incunaboli, la Sogin col suo ‟decommissioning degli impianti nucleari” e lo ‟smantellamento dei componenti contaminati”? Valeva davvero la pena di spendere, per uno stand, qualche opuscolo, un video e un po’di manifesti, in questi anni di vacche magrissime, 257 mila euro più Iva?

Gian Antonio Stella

Gian Antonio Stella è inviato ed editorialista del “Corriere della Sera”. Tra i suoi libri Schei, L’Orda, Negri, froci, giudei & co. e i romanzi Il Maestro magro, La bambina, …