Paolo Rumiz: La Cina rivaluta Colombo. "Non scoprimmo l’America"

24 Gennaio 2006
Ci son voluti i cinesi a farci capire che la storia dell’America scoperta dai cinesi era una bufala. Sparata con dispendio di mezzi e martellante crescendo mediatico da uno scaltro businessman inglese, ex sommergibilista della Royal Navy e sedicente storico, la notizia che ribaltava la storia del mondo stava già consolidandosi nell’immaginario globale.
Sfruttando la benedizione della Royal Geographical Society di Londra e un ipnotico silenzio della scienza, era passata indenne sui giornali d’Europa. Se l’era bevuta persino il Paese di Cristoforo Colombo: l’Italia, esterofila e prontissima, come sempre, a perdere le sue primogeniture.
Il segreto, continua a sostenere imperterrito Gavin Menzies, il rocambolesco signore di cui sopra, sta tutto in una carta settecentesca del Globo acquistata da lui medesimo. Una copia, egli dice, di un mappamondo del 1418, precedente di tre anni la leggendaria - e mai provata - circumnavigazione mondiale di Zheng He, grande ammiraglio del Celeste impero.
Una carta ad altissima precisione per le conoscenze dell’epoca; con dettagli apparsi sulle mappe occidentali solo alla fine del Cinquecento, cioè solo dopo i viaggi di Magellano, Vasco de Gama e Bartolomeo Diaz.
"Figurarsi se i cinesi andranno mai a smentire questa storia", aveva scritto con sufficienza il ‟Times” di Londra; sono "troppo nazionalisti per credere che i loro antenati non abbiano scoperto l’America". E invece, con uno scatto d’orgoglio, sono stati proprio loro - i figli della potenza emergente del secolo ventuno - a dare una bella lezione agli europei creduloni. Appena la mappa è stata presentata a Pechino, pochi giorni fa, sono usciti dal silenzio e ne hanno contestato seccamente la forma, le scritte, la lingua, la grafica e persino il titolo.
La raffigurazione del mondo impostata su doppio globo, per esempio. Inverosimile. Ci ricordano amorevolmente i cinesi: ma come? Ma se siete stati voi europei, attraverso i missionari gesuiti del Seicento, a insegnarci latitudine, longitudine e le nuove tecniche della proiezione reticolare sui mappamondi? E che dire delle scritte dei nomi di luogo, non plausibili linguisticamente? E del titolo della carta, decisamente inconcepibile nella visione del mondo del quindicesimo secolo? Persino su Zheng He a Pechino non si sbilanciano. Troppo veloce - due anni appena - quel suo viaggio attraverso tre oceani con le navi più lente della storia dell’uomo, le giunche.
"I nostri studiosi hanno dimostrato di saper superare il nazionalismo ed esprimere un’analisi oggettiva" commenta l’autorevole quotidiano ‟Dongfang Zaobao” - il "Mattino d’Oriente" - in risposta al ‟Times”, ed elenca nel dettaglio i motivi per cui è inverosimile che una flotta della Terra di Mezzo possa aver circumnavigato il mondo e conosciuto le Americhe prima di Colombo.
Come dire: cari amici d’Europa, non avete solo scoperto l’America, ma anche la geografia moderna. Prendetene almeno atto.
Il bello è che i migliori geografi e i sinologi italiani sapevano perfettamente - e inutilmente proclamavano da tempo - che la carta di Menzies era al novanta per cento una patacca. Ma non avevano il fiato per dirlo.
Troppo forte era stato il clamore della notizia, sparata su siti web, su libri tradotti in decine di lingue, giochi interattivi, videogiochi e persino sceneggiati tv; e troppo debole sarebbe stato, al confronto, il peso della smentita. E poi nel mondo angloamericano - scientificamente egemone - era forte anche la voglia di smentire Colombo: un italiano, figlio di un popolo di immigrati con valigie di cartone. Non poteva essere lui il padre prima potenza mondiale.
Già in passato gli americani, forse traditi da questo bisogno provinciale di radici più "nobili", si erano fatti rifilare dei falsi. Il più clamoroso fu del 1965, nel Columbus day, quando un costoso volume curato da quattro studiosi Usa di fama internazionale sparò la cosiddetta "Vinland Map", acquistata a un antiquario a cifre da capogiro dalla Yale University. Col nome di Vinland, i vichinghi avevano battezzato le coste nordorientali d’America al tempo delle esplorazioni di Erik il Rosso, e la carta, datata 1440 dai curatori, venne definita figlia di un prototipo vichingo del dodicesimo secolo.
‟Qualcuno, come mio padre, vide subito che era un falso - racconta Ilaria Caraci, docente di cartografia all’università di Roma e figlia di Giuseppe, uno dei padri nobili della geografia italiana contemporanea - ma la notizia era troppo ghiotta perché le smentite fossero prese in considerazione. I norvegesi, vuoi mettere con gli italioti. Ci vollero, molti anni dopo, le analisi chimiche degli inchiostri, fatte da un italiano, per dimostrare che la carta era stata disegnata nel secolo ventesimo. Il falsario era un gesuita austriaco, padre Josef Fischer, che negli anni Trenta la disegnò su una pergamena strappata da un volume del 1440”.
I cinesi sono maestri di falsi, sanno riprodurre qualsiasi cosa.
Anni fa hanno rifilato per cifre da capogiro al museo di Cleveland un bel vaso-bidone facendo credere che fosse di epoca imperiale.
Il mappamondo sbandierato da Menzies, invece, ha poco di credibile. Al confronto, padre Fischer era un professionista. Gli manca completamente la "Terra Australis", il continente mitologico che sarebbe stato tolto dai mappamonti solo nel Settecento, dopo le esplorazioni di Cook. E poi, ‟com’è possibile che l’ammiraglio Zheng He, che inizia il suo viaggio nel 1421, avesse avuto a disposizione una carta così completa realizzata prima, già nel 1418?”, ‟Diciamo da tempo che questa storia è inverosimile, ma nessuno ci ascolta”, lamenta la Caraci, che esprime i suoi dubbi da ben prima dei geografi cinesi. In fondo è tutto così ovvio. Basta aprire un volume di mappe cinesi del Settecento, dipinte su carta di riso tre secoli dopo quella di Menzies. Sembrano più antiche, non più recenti. Niente reticolato geografico; una visione simbolica, primitiva, quasi infantile, dello spazio terrestre, con la Terra di Mezzo che occupa tutto lo spazio e gli altri continenti inesistenti o ridotti al minimo. Se davvero nel ‘400 la Cina aveva scoperto l’America, come mai tutte quelle conoscenze erano successivamente scomparse? Si erano abolite per decreto, come fece l’imperatore del Giappone? In tanti, ti ricordano alla Società Geografica Italiana, hanno calcato il suolo americano prima di Colombo - polinesiani, vichinghi, popoli siberiani - ma la storia del mondo è cambiata solo col suo viaggio, il 12 ottobre 1492.
Per questo lo scopritore è considerato lui e solo lui, il gran genovese.
Ammesso dunque che i cinesi fossero arrivati davvero in America prima di Colombo, che importanza può avere una scoperta che non lascia traccia nella storia dell’umanità, non cambia le conoscenze, i flussi di traffico, e scompare persino dalle cartografie?
La lettura delle scritte cinesi sulla mappa presentata a Pechino conferma alla grande i dubbi dei geografi. ‟C’è soprattutto una cosa che non convince: la parola Mediterraneo”, osserva il sinologo Federico Masini, docente alla Sapienza di Roma. ‟Il termine era sconosciuto nella Cina nel Quattrocento. Ma non basta: se quella carta è stata davvero perfezionata sulla base del famoso viaggio di Zheng He, allora va detto che la sua flotta non è mai passata per il Mediterraneo. Si afferma che abbia navigato gli oceani, ma non il Mare di Mezzo. E allora, da dove viene quel nome? Può venire solo da Occidente”.
Anche le due Americhe, sulla carta, sono chiamate col loro nome, il che da solo taglierebbe la testa al toro. Ma quei nomi, si giustificano Menzies e i suoi, sono stati aggiunti dopo, nel rifacimento settecentesco. Sì, ma allora cosa impedisce di dire che l’intero mappamondo è settecentesco? ‟Tutto l’impianto della carta - chiosa Marini - è chiaramente copia di un modello occidentale ed è posteriore al passaggio in Cina, nel Seicento, del gesuita Matteo Ricci, che ha insegnato ai mandarini com’era fatto il mondo. Il nome dell’Europa, riportato nella mappa, è arrivato in Estremo Oriente solo con lui. Questo i cinesi lo sanno benissimo”. Gli italiani, magari, un po’ meno.

Paolo Rumiz

Paolo Rumiz, triestino, è scrittore e viaggiatore. Con Feltrinelli ha pubblicato La secessione leggera (2001), Tre uomini in bicicletta (con Francesco Altan; 2002), È Oriente (2003), La leggenda dei monti …