Giorgio Bocca: Piero Gobetti. Una straordinaria avventura politica e intellettuale

17 Febbraio 2006
Piero Gobetti è stato nel nostro approdo all’antifascismo, alla Resistenza, all’incontro fra "Giustizia e libertà" e i comunisti il primo della classe, l’esempio di una superiorità intellettuale e democratica, il nostro campione di tutte le arcane virtù della cultura e dell’intelligenza. E anche un motivo di autentico stupore per la sua castità, virtù sconosciuta a noi che arrivavamo dal maschilismo fascista, dal donne e motori di Italo Balbo, dal grande seduttore D’Annunzio e dalle irresistibili conquiste del Duce, nel vano di una finestra a Palazzo Venezia. Noi arrivavamo da un mondo popolato di prosperose massaie rurali, di giovani italiane cresciute nei saggi ginnici, di crocerossine di guerra, di staffette partigiane e ci ritrovammo in un gruppo di intellettuali laici ma cresciuti nelle minoranze protestanti piemontesi, valdesi o ebraiche o gianseniste, in personaggi casti come Bobbio e Gobetti. Il Bobbio che diceva no all’aborto ed era fiero della sua fedeltà coniugale, come Livio Bianco con la sua Pinella, come Giorgio Agosti. E con stupore leggevamo nell’epistolario di Piero Gobetti: ‟C’è anche altro nel nostro modo di essere. C’è che volenti o nolenti dobbiamo costruirci una famiglia. Ora la moralità della famiglia e dell’amore, la conformazione e concreazione di due spiriti hanno come condizione, per me assoluta, la verginità spirituale e fisica degli individui e naturalmente senza l’oscena divisione di molti, di quasi tutti, fra la verginità femminile, voluta assolutamente e quella dell’uomo che sarebbe invece ingenuo conservare rinunciando agli ambiti piaceri. Tutto questo viene a concludere che per la nostra verginità spirituale bisogna amare una volta sola e fare eterno il primo amore sicché le nozze siano davvero celebrazione, creazione entusiastica e fatta pura”. Erano casti anche i fondatori del comunismo, i compagni torinesi denunciavano al partito Longo e la Noce sorpresi a baciarsi nel giardino della Cittadella. Una vena di castità e d’impegno religioso che si ritrovava nei dirigenti del Partito d’Azione che circondavano e veneravano Ferruccio Parri non solo come loro capo militare ma come maestro di vita. Noi giovani peccatori e maschilisti, noi fatti per la guerra e per le sue volgarità ci fermavamo ammirati e stupiti di fronte a questi maestri così diversi da noi, non capivamo bene se la loro castità fosse religiosa o semplicemente rifiuto della volgarità o dei compromessi o ricerca dell’assoluto. Di fatto la presenza della morte nei mesi della lotta armata di "Giustizia e libertà" non si è tradotta mai nel postribolo squadrista ma in una ricerca d’integrità assoluta. Per questo probabilmente il Partito d’Azione era un po’fuori dal mondo. Comunque quella castità o mancanza di volgarità nelle formazioni di "Giustizia e libertà" c’erano, le relazioni amorose mai ostentate, i capi chiamati all’esempio, l’onestà indiscutibile. Il secondo modo di pensare a Gobetti, di noi arrivati alla democrazia con il lungo viaggio dentro il fascismo, era di stupore e ammirazione per quel nostro primo della classe. Uno che ricordava di sé nel 1920: ‟Interruppi a diciassette anni la pubblicazione di Energie Nove perché sentivo bisogno di maggior raccoglimento e pensavo a una elaborazione politica assolutamente nuova, le cui linee mi apparvero di fatto al tempo dell’occupazione delle fabbriche. Devo da un lato la mia rinnovazione all’esperienza salveminiana, al movimento dei torinesi (vivi di un concreto spirito marxista) e dall’altro agli studi sul Risorgimento e sulla rivoluzione russa che ero venuto compiendo in quel tempo”. Alle prime letture di Gobetti durante la guerra partigiana ci stupiva ed esaltava la tumultuosa ricchezza di interessi di un giovane che identificava la sua giovinezza con la cultura storica e politica: ‟Ho peccato di amore quasi infantile per la cultura, per la filosofia, bisognava bene che amassi qualcosa con tutta la oscura violenza nascosta nella mia originaria volontà di vivere”, scrive in un diario del 1919. E così descrive la sua giornata: ‟Che cosa ho fatto questa mattina? Non ho perso tempo ma ahimè che disordine! Ho letto Paradossi educativi di Prezzolini, ho tradotto una pagina di russo, ho letto un altro capitolo di Gentile La filosofia di Marx, poi ho dovuto scrivere ad editori e amici. Mio Dio! Non riesco a studiare sempre lo stesso argomento. Ho bisogno di riposarmi mutando”. Una intelligenza eclettica, una passione intellettuale bruciante, c’è davvero da chiedersi che cosa avrebbe fatto come editore europeo se non fosse morto a venticinque anni. Ammirati con stupore per la sua rapida ardente vita. Alla sua età conoscevamo la dura esperienza della lotta armata che ci aveva fatto interrompere ogni studio. Eravamo passati dai diciotto di guerra regalatici dal fascismo morente a quelli della nuova Repubblica e per noi la sua travolgente attività letteraria, la sua onnivora cultura non erano un esempio impossibile inimitabile, ma un mito di cui eravamo orgogliosi: anche nella nostra famiglia politica e combattente c’era stato un uomo eccezionale che aveva scritto Risorgimento senza eroi, Scritti sulla letteratura russa, di critica letteraria, di critica d’arte, di critica filosofica e centinaia di lettere, di polemiche, di commenti su tutto: letteratura giapponese, Futurismo, letteratura straniera, Illuminismo, rivoluzioni in Venezuela, la pittura di Casorati, la pittura veneta del Quattrocento, i pittori inglesi Hogarth, Blake, Reynolds, Romney e poi Tintoretto, Mantegna, Bellini, Carpaccio. ‟Prima di dicembre - scrive nel suo diario nel 1919 - leggerò Treitschke, Aristotile, Machiavelli, Pareto, avvierò lo studio sul marxismo, sul bolscevismo minutamente e Sorel, Labriola, Gentile, Croce. Poi prenderò gli economisti liberali e nel frattempo continuerò i socialisti”. Paolo Spriano ha difeso Gobetti dall’accusa di giornalismo ingordo. ‟La robustezza di impianto della sua opera si è confermata alla prova del tempo. Il che non significa che Gobetti non fosse anche uno straordinario giornalista. In molte delle cronache gobettiane si specchia la vivacità della stagione migliore della cultura torinese. Gobetti era il rappresentante di una provincia che sa superare i limiti provinciali carica di utopia e di severità, affacciata senza impacci a una problematica europea”. Chi ha fatto parte di quella esperienza e di quel gruppo ne è, credo, giustamente orgoglioso.

Giorgio Bocca

Giorgio Bocca (Cuneo, 1920 - Milano, 2011) è stato tra i giornalisti italiani più noti e importanti. Ha ricevuto il premio Ilaria Alpi alla carriera nel 2008. Feltrinelli ha pubblicato …