Giorgio Bocca: Il Cavaliere non regge le domande

29 Marzo 2006
Il capo del governo non sopporta di essere interrogato e contraddetto e se ne va furente e ridicolo dal confronto televisivo con la giornalista Lucia Annunziata. I commentatori politici si interrogano: lo danneggerà o gli gioverà, la gente penserà che è un prepotente, un bullo, un cumenda presuntuoso o che è invece una vittima della faziosità della sinistra? Il fatto che ci si pongano domande di questo tipo è la conferma che la peste nera, il fascismo italico permanente o qualcosa che somiglia terribilmente al fascismo, è tornata a rendere irrespirabile l'aria italiana. Chiedersi se il turpe, l'ignobile, l'anarcoide, l'illegale nuocciano o favoriscano il nostro, significa ammettere che l'opinione pubblica è ammalata, che del fascismo condivide la tendenza al peggio sociale, alla violenza, alla faziosità, alla illegalità.
I peccati autoritari del Cavaliere sono noti e provati. Nessuno, per dire, può ignorare che ha usato il parlamento e le sue leggi ad personam per favorire se stesso e i suoi amici. Tutti sanno che nel nostro parlamento voluto da Forza Italia, cioè da Berlusconi, siedono un centinaio di pregiudicati, gente che è scampata alla condanna per scadenza termini, o indulti, o il fac simile della insufficienza di prove. Tutti sanno che pur di salvare Cesare Previti dalla prigione si sono sovvertite le leggi e i regolamenti, tutti sanno che per Silvio Berlusconi lavorano un'ottantina di grandi avvocati che hanno il compito di eludere la legge. Eppure, ogni volta che la giustizia si muove contro di lui, è un diluvio di proteste e di eccezioni. Meglio lasciar perdere, le accuse ne fanno una vittima.
Ma perché? Perché bisogna tacere sui suoi illeciti e sulle sue arroganze, perché ricordarle fa il suo gioco? Perché la pubblica opinione italica sta sempre dalla parte dell'uomo forte e un po' ribaldo, perché sta dalla parte di chi picchia, di chi ruba, di chi fa i comodi suoi, dalla parte dei ladri contro le guardie e ne ho avuto la conferma con il mio saggio 'Napoli siamo noi', criticato dai molti che fra lo Stato e la Camorra stanno ancora dalla parte dei camorristi, degli uomini di panza, uomini forti che se ne infischiano della legge. L'Italia berlusconiana non è il fascismo, nella storia non ci sono mai ripetizioni totali, ma come gli somiglia. Nelle sterminate platee di Forza Italia, nei raduni oceanici mussoliniani che celebrano il Cavaliere c'è un altro aspetto della sindrome autoritaria: l'adorazione per l'homme fatal, cui tutto è lecito, tutto possibile, anche di far le corna nelle cerimonie europee, anche di raccontare barzellette da caserma, anche di farsi il lifting e di mettersi dei capelli finti. Sotto questo aspetto il paragone con Mussolini è disastroso per il nostro: immaginare il Duce in una scenetta ridicola come quella di Silvio con l'Annunziata, una bizza da capufficio con una impiegata indisciplinata.
C'è anche il rispetto reverenziale per i soldi che nel fascismo arriva alla repubblica di Salò che affida la sua socializzazione, il suo andare verso il popolo, agli industriali miliardari: il Rocca, il Mariotti che stanno con il ministro Tarchi. La pubblica opinione simil fascista ammira anziché detestare il Cavaliere nemico della libera stampa, il Cavaliere bulgaro che licenzia in tronco i Biagi, i Santoro, i Luttazzi. Per questa opinione fetente i giornalisti sono dei servitori, dei pennivendoli, come gli avvocati sono degli azzeccagarbugli: guai a chi prova a uscire dalle tradizioni servili, è un cialtrone. Ma che si credevano i tre impertinenti così come l'Annunziata? Di poter storcere il naso di fronte all'ometto dei 2 mila cactus nel parco in Sardegna?

Giorgio Bocca

Giorgio Bocca (Cuneo, 1920 - Milano, 2011) è stato tra i giornalisti italiani più noti e importanti. Ha ricevuto il premio Ilaria Alpi alla carriera nel 2008. Feltrinelli ha pubblicato …